Uno degli ultimi romanzi di Francesco Grisi, poco prima della sua immatura scomparsa, La poltrona nel Tevere è in pratica la prosecuzione di Maria e il vecchio, pubblicato nel 1991.
Personaggio eclettico, quasi vulcanico, Grisi ha avuto ed ha molteplici interessi: narratore, critico, saggista, pittore, già docente nei licei e assistente di Giacomo de Benedetti alla cattedra di Letteratura italiana contemporanea, grande viaggiatore; come scrittore si può definire toco (come direbbe Cernetti) in quanto sa dare come pochi luce alla pagina e la sua scrittura si distingue per forza e potenza.
La poltrona nel Tevere è un’opera di narrativa particolare; presenta cultura seria ed elaborata, ha singolarità di taglio, vigoria immaginativa, fervida ed allucinata fantasia e il supporto primario della memoria. Nel suo Diario Guido Morselli notava che «la memoria è una cosa con la fantasia. Ricordare è credere. E la memoria in noi è continuamente attiva oltre che spontanea. In questo senso la vita nostra si intesse di poesia, cioè di sentimento. Dunque il tessuto è dato da un intreccio di reminiscenza». Nel romanzo primeggiano memoria e fantasia e l’opera è un intreccio di reminiscenze (impasto, dice l’autore). La pagina è illuminata da irradiazioni che provengono dal ricordo che Grisi espone’ con stile inconfondibile e tetragonamente anticonformista. Va detto che il romanzo richiede una lettura attenta e lo stesso autore avverte in prima pagina che ha bisogno della collaborazione del lettore: «La mia vicenda è vera anche se sarà vissuta dal lettore.»
La stessa vicenda è raccontata in prima persona da un postino, Francesco, laureato in Lettere, che ha scelto quel mestiere vuoi per pigrizia, vuoi per l’aspirazione di tanti italiani a diventare statali. Viene coinvolto da un deputato che saluta col roboante quanto decaduto «Avanti popolo alla riscossa». È indotto a violare il segreto postale, aprire con un marchingegno le lettere che il presidente, uomo di potere, fulcro del romanzo, riceve da brigatisti, dai quali era stato catturato e poi inspiegabilmente rilasciato con grande raccapriccio degli avversari politici. Ora riceve lettere dai brigatisti e il partito del deputato, che teme e odia il presidente, intende controllare la corrispondenza, sicché il postino viene invitato (e corrotto) ad aprire la corrispondenza inviata al presidente, fotocopiare le lettere, consegnarle al suo committente e poi, ricomposte, portarle al destinatario.
Questo è l’avvio del romanzo. Il 2 di aprile, giorno di San Francesco di Paola, segna l’inizio delle reminiscenze. Il postino ricorda la natìa Calabria, il suo mare di un azzurro intenso e rievoca il miracolo del Santo che traghetta lo stretto di Messina a bordo di un mantello. Di reminiscenze il lettore ne troverà molte e sono talmente bene inserite che non turbano lo scorrere della vicenda anzi l’arricchiscono o la rendono affascinante.
Tra i personaggi, vibra di lucentezza la terrorista Cristiana, vestale di una lotta che passava per la politica, donna visionaria e passionale che lotta con tenacia pur conscia che la partita è persa. È lei che indirizza missive al presidente, per il quale
sente molta ammirazione. E le pagine di Cristiana sono tra le più calamitanti del romanzo. Il presidente – facilmente riconoscibile – è il perno della vicenda; rapito, affascina i brigatisti con la sua dialettica e con la forza della ragione, e viene liberato con sorpresa dei vari politici.
Qui Grisi inserisce un dialogo tra il presidente, che liberato s’avvia verso casa e attende l’autobus, in piazza Venezia, e Mussolini che s’affaccia al fatidico storico balcone. È un dialogo serrato, imprevedibile, che ripercorre parte della nostra storia. Dopo un certo periodo di libertà, il presidente viene rapito nuovamente e finisce con lo scomparire su una poltrona che veleggia sul Tevere. Accanto al postino narratore la madre, vecchia e malata che inventa sogni profetici, attraverso i quali richiama storia recente e passata e non manca di cantare «Casta diva», «Giovinezza», «Volare». Infine, Chiara, dolce compagna del postino.
Semplice a grandi linee, il romanzo trova il suo epilogo nella scomparsa del presidente, nella cocente sconfitta del brigatisti, nel crollo delle loro utopie e la morte della vecchia madre. Ma alla vicenda Grisi, con una tecnica tanto abile quanto valida, inserisce personaggi del passato, come se fossero tuttora viventi. Con un fare di stampo poundiano, divaga, discetta, medita, richiama personaggi del passato che rivivono, come se fossero protagonisti, con tutti i connotati di bene e di male. Con una tecnica innovativa, fantasia fervida e allucinata, lo scrittore analizza (inserendo sapientemente i dialoghi) temi e problemi che ancora ci fanno giungere il loro riverbero. E l’ analisi è condotta con intenti anagogici e gnomici.
«Se c’erano i Tedeschi da una parte e gli Alleati dall’altra, è anche vero che c’erano gli Italiani che si uccidevano. È mai possibile che due ideologie in contrasto abbiano fatto dimenticare la fratellanza, la famiglia, l’idea comune di patria?» E ancora: «La guerra santa è l’unica frontiera che unì gli Arabi. Il nemico è anche Israele ma il vero demonio sono gli Americani e i Russi che non hanno religione. Operano per politica o per economia. Svincolati dalla religione, sono i figli del male. Non credono neanche nella libertà. Anzi si servono di questa parola magica per comandare e dividersi il mondo.» Di queste considerazioni – che hanno valido fondamento e mostrano la perspicacia dell’autore – il libro è zeppo, talché si può affermare che il romanzo è a un tempo storia, disputa filosofica, meditazione cristiana, teologia, analisi psicologica, sottilissimo gioco di ironia che Rilke avrebbe definito pura parènesi.
La scrittura ha unità di tono, qualche varietà di lessico (sono inseriti frasi dialettali, strambotti, storielle), è glabra e il periodare, generalmente breve, è incalzante. A nostro avviso il romanzo è un invito all’unità e alla concordia, presenta una sorta di filosofia dell’amore, e contiene un messaggio di grande valore: la fratellanza umana è riscattabile soltanto da un anelito verso l’Altissimo
perché la vita è viaggio che si conclude con la morte che unica consente la resurrezione. («La morte è un vivere», scriveva Holderlin.)
Al di là della splendida indovinata allegoria sul potere, l’opera di Grisi è anche atto di fede nella storia, se la storia è esaminata senza spirito di parte o senza travisamenti, oggi frequenti. Come è scritto nel risvolto di copertina, «sarà il senso dell’immortalità la resurrezione, promessa dal figlio di Dio, ad offrire una possibile risposta alla domanda che il postino ripete a se stesso: “Perché la terra è così bella e atroce?”»
Salvatore Arcidiacono
Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pagg. 43-45.
Lascia un commento