Angela Scandaliato-Maria Gerardi, La Giudecca di Sciacca. Gli Ospedali della città, Castelvetrano, Edizioni Mazzotta, 1990.
Il testo, scritto a due mani, è uno spaccato della storia di Sciacca tra il XIV, XV, XVI e XVII secolo, la cui narrazione pesca nell’humus dei diversi strati sociali e nei rapporti di gerarchie e dominanze, sottomissioni e sfruttamenti, lotte aperte e clandestine, diplomatiche e non per il controllo del potere.
Il lavoro, corredato da opportune note, rimandi in appendici, riproduzioni di documenti d’epoca già noti o inediti, indicazioni bibliografiche d’obbligo e da una inequivocabile chiave di lettura che si rifà alla storia come “lotta di classe”, affonda il bisturi dello stilo ricostruttivo nelle “zone d’ombra” e nella “microstoria” della Sciacca dei secoli sopra indicati.
Da un confronto con il presente, verrebbe voglia di rispolverare Giabattista Vico con i suoi “corsi e ricorsi” o quanto meno ripensare a certe devianze delle istituzioni come a una costante piuttosto che come a un fatto “congiunturale”.
Sono gli ebrei e il loro rapporto con il potere politico-economico laico e religioso-cattolico locale, i poveri, le prostitute, i vagabondi e il loro rapporto con le logiche ideologiche forcaiole e torchianti della classe dominante del tempo e i relativi ricambi, il vero soggetto che processa e giudica un’epoca e i suoi cosidetti governanti, più della sapiente ricostruzione delle autrici che a quelli hanno prestato la penna per dare loro voce e possibilità di memoria storica per gli altri.
I capi d’imputazione: assenza dello Stato, clientelismo, compravendita del potere, compreso quello di far giustizia col “privilegio” – legge privata -, favoreggiamento della prostituzione anche come propaganda di “antitodo” contro la peste, sfruttamenti e peculati nelle istituzioni assistenziali (vedi ospedali), dominio di un’ “etica” improntata al più cieco e abietto clericalismo cattolico, che additava ebrei, poveri, prostitute e vagabondi come causa dei malesseri più diffuse perché “diversi”: gli estranei come male irriducibile al bene e alle “buone norme”.
Senza misconoscere l’apporto della Gerardi, ci sembra che la mano della Scandaliato, ricca anche di una sua esperienza nella “microstoria” degli eventi della poiesis, sia quella che più abbia dato luce e filo alle “zone d’ombra” della storta di Sciacca del periodo preso in esame, anche perché la sappiamo versata in questi studi, senza nulla togliere, peraltro, ad altri che perseguono obiettivi analoghi.
Nel segnalare l’evento editoriale consigliamo la lettura dell’opera che, fra gli altri pregi o difetti che altri possano trovarvi, sicuramente non ha accademismi da officiare.
Antonino Contiliano
Da “Spiragli”, anno IV, n.1, 1992, pagg. 81-82.