L’umile verità è il motto che Anna Franchi toglie da Una Vita del Maupassant e trascrive nella prima pagina del suo romanzo Avanti il divorzio (ed. Sandron).
Il titolo contrasta un poco con l’epigrafe, perché manifesta l’intenzione di sostenere una tesi, mentre l’arte del Maupassant, e del Flaubert suo maestro, e di tutti gli osservatori della realtà, aveva ed ha come canone l’obbiettivismo e l’impersonalità più rigorosi. Il che non vuol già dire che i libri di quegli scrittori non contengano insegnamenti; li contengono bensì allo stato – diremo – latente, inespressi, come li racchiude la stessa vita che vi si specchia. Anna Franchi, invece, non solamente sostiene una tesi, ma combatte una vera battaglia contro l’indissolubilità del vincolo matrimoniale; e, se non ce lo dicesse il titolo dell’opera sua, ce lo direbbe la calda prefazione che per essa ha scritto il Berenini.
Il romanzo diretto espressamente a dimostrare una tesi filosofica corre il rischio di sacrificare le ragioni dell’arte a quelle della filosofia. Per far toccar con mano la necessità del divorzio, l’autrice ha accumulato sul capo di Ettore Streno, marito di Anna Mirello, tali e tanti vizi e colpe e turpitudini e infamie, da farne un essere ributtante e mostruoso. Non è che, sciaguratamente, uomini simili non esistano in quella viva realtà dove l’autrice, con virile proponimento, esercita il suo spirito indagatore; né è da negare al romanziere il diritto di rappresentare, dove occorra, anche l’orrido; ma la rappresentazione ha da essere governata dal gusto artistico, dal senso della bellezza.
Tutta presa dalla tesi, l’autrice bada invece non tanto a produrre un’impressione estetica quanto a dimostrare l’urgenza d’un provvedimento sociale; e il male è che la stessa evidenza della dimostrazione, alla quale ella sacrifica la bellezza dell’impressione, potrà essere negata o semplicemente discussa.
Dinanzi all’opera d’arte, il lettore resta più o meno commosso secondo la maggiore o la minore efficacia dell’artista; invitato a persuadersi d’una verità, egli può discutere, ed osservare allora, per esempio, che se il matrimonio della protagonista è riuscito tanto male, la cosa non era imprevedibile, perché Ettore Streno, fin da quando si presentò ad Anna Mirello, rivelò qualche cosa della sua pessima indole, tanto che la giovane fidanzata provò disinganni, amarezze e qualche moto di repulsione istintiva. Lo sposò, nonostante, con l’illusione dell’amore, per le lusinghe della vanità, in uno stato di mezza incoscienza e quasi d’automatismo; e qui appunto l’osservazione della scrittrice è felicissima; ma il lettore chiamato a pronunziarsi sulla moralità del caso, osserverà, se è avversario del divorzio, che la protagonista non ha tanto da prendersela con le leggi della famiglia, quanto contro la sua leggerezza ed incoscienza.
Un fautore del divorzio obbietterà, al contrario, che appunto perché gli uomini e particolarmente le donne, da giovani, possono essere incoscienti come Anna Mirello, appunto perciò la società deve dar loro la possibilità e il mezzo del rimedio. Il partigiano del matrimonio indissolubile replicherà con altre ragioni, alle quali l’avversario non mancherà di opporre altre; ed ecco nascere un dibattito dove c’era da produrre una commozione.
Ora, a provocare un dibattito utile è lecito credere più adatta l’esposizione dei casi reali e non dei romanzeschi. Dall’opera d’arte, senza dubbio, s’irraggia quella «luce vivificatrice» della quale parla il Berenini; ma disgraziatamente, l’intenzione di far opera artistica non s’accorda con quella di fare nello stesso tempo opera persuasiva; ed a quest’ultima giova molto più la «nuda, arida forma della statistica, e la severa autopsia psicologica e antropologica ».
Federico De Roberto
Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pagg. 32-33.
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