Pasian di Prato (Udine), Campanotto Editore, 1997, pagg. 170.
“Gli occhi del pittore” è l’ultimo romanzo dello scrittore macedone, Boris Vishiski, che Matilde Contino ha tradotto in lingua italiana dopo Corona di Sabbia dello stesso autore.
La traduzione ha reso perfettamente l’intreccio dei vari livelli del testo. Ne conserva la fluidità, la freschezza e l’incisività poietica che, tra implicanze di varia natura, articola e struttura il tessuto del romanzo.
Realtà, fatti, eventi, storia, immaginario e immaginale, sogno, razionale e irrazionale, proiezioni psico-affettive e costruzioni “surreali” … sono miscelati e distesi con effetti d’intesa e costante tensione letteraria. Il perno della costruzione letteraria è, ormai, quello che nell’opera di Boris Vishiski può essere considerato un ideologema: un personaggio che vive la propria condizione socio-umana come una differenza di separata alterità, la cui complessa e sicura identità di singolo e di cittadino libero è permanentemente minacciata di distruzione.
Per alcuni aspetti, lo sviluppo dell’intreccio sembra richiamare le tematiche dell’alienazione e della perdita d’identità dei personaggi kafkiani. Ai personaggi di Kafka il potere frustrante e deviante del “Castello” si presentava con l’impenetrabilità comunicativa e quasi metafisica. Al personaggio di Vishiski la violenza del potere, forte e ossessiva, continua e inafferrabile metamorfosi in agguato, si presenta con tutta la visibilità e la volontà dichiarata di annichilimento.
I frammenti della vita di Marco sono la dolorosa allegoria di un ordine che ha distrutto e perso, per volontà di un potere assurdo quanto inaccettabile, a volte oscuro e inspiegabile, il senso delle relazioni umane e politiche plurali.
Per contrasto, il messaggio dell’opera, ci sembra essere, fortunatamente, un invito alla resistenza e all’attacco vigile.
Antonino Contiliano
Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pagg. 50-51.
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