Una esperienza didattica emozionante nella testimonianza di Camilla Santoro
«Educare – scriveva Platone – vuole dire resuscitare esistenze morte ed aiutare a nascere esistenze, nasciture, indurre l’altro alt’ auto-educazione per entrare nella realtà piena di se stesso». L’ultimo racconto di Camilla Santoro rappresenta la metafora del genere umano che spazia, nella sua molteplice diversità, alla ricerca della luce, la luce di una cultura che accolga tutti all’insegna dell’appartenenza alla «famiglia umana » quale parte insostituibile del tutto.
È quasi un romanzo denso di emozioni, che descrive un’esperienza didattica di laboratorio teatrale nel grigiore di un’aula del «profondo Sud», con lo scopo di proporre una riflessione sulle possibilità e modalità di partecipazione di insegnanti e studenti alla gestione della vita nella classe come comunità sociale. Protagonisti gli studenti di un ipotetico gruppo-classe, accomunati da un potenziale di umanità, che se da un lato ne scopre la fragilità, dall’ altro ne potenzia la forza nel valore «solidarietà» ritrovato grazie al credo e al potenziale volitivo della giovane insegnante Adriana, pronta a favorire l’autonomia personale, l’autostima, l’acquisizione del sé e l’appartenenza ad un gruppo con le sue regole e le relative responsabilità.
L’esperienza di Adriana fornisce, nel suo semplice percorso, validi spunti di riflessione. Attraverso la rappresentazione teatrale della pirandelliana «Giara», che ha il potere di avvicinare i giovani al piacere della lettura e alla personale rielaborazione del sapere, propone ai suoi studenti di riappropriarsi dell’ orgoglio della identità nazionale, che viene evidenziato da ognuno, anche da Filippo, portatore di handicap, nel tentativo di usare correttamente la lingua italiana. Ne consegue l’abbattimento dei separatismi che hanno spesso afflitto i ragazzi dal Nord al Sud e, in un momento ormai plurietnico, il riappropriarsi della lingua comune rafforza la loro identità.
L’esperienza di laboratorio teatrale e l’accuratezza nella scelta dei ruoli da interpretare rappresenta, per gli studenti, una delle rare occasioni per esprimere liberamente il proprio io, «un io che spesso non ha la capacità di rivendicare il suo semplice diritto all’ esistenza, ad uno spazio vitale che lo vedesse indiscusso attore della sua vita»; come nel caso di Filippo che, sia pure con una minima particina, riesce a sentirsi, finalmente, integrato nel gruppo-classe e a trovare espressione di sé nell’uso della varietà dei colori. L’aula diventa, così, una sorgente di identità, il luogo della civile convivenza e del reciproco arricchimento, in cui «l’io esisto» trova riscontro e nutrimento nel mondo relazionale del gruppo-classe. Uno spaccato della società che abbraccia un mondo variegato e multirazziale e che fa intravedere, grazie alla ritrovata umanità, la speranza nel domani.
Maria Angela Cacioppo
Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pagg. 57-58.
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