Carmelo Pirrera (nato a Caltanissetta nel 1932 ma vive a Palermo) è un autore versatile che ama «distribuire- il proprio estro grafico nei diversi settori della scrittura (la poesia, la narrativa e la critica), senza subire alcuna difficoltà di impostazione. In questa epoca letteraria dai labili e scadenti «costumi creativi» spacciati per «genialità di pensiero» è un fatto raro, degno di attenzione.
Tra le numerose pubblicazioni segnaliamo: Racconti: Il colonnello non vuole morire – Palermo 1978: Poesie: Il miele di maggio – Itinerario antologico – Palermo 1985; Pergamo la cenere – Palermo 1986.
C’è da aggiungere la collaborazione di Pirrera con riviste specializzate e l’impegno con cui dirige una casa editrice siciliana (in particolare una collana di «presenze nella poesia») per la quale ha realizzato alcune raccolte antologiche, inoltre, le sue poesie sono state tradotte in svariate lingue. Questa ultima silloge ha registrato notevoli riscontri positivi.
Il libro, suddiviso in varie e ordinate argomentazioni che hanno una loro precisa collocazione strutturale, permette una lettura scorrevole e coordinata. La composizione sviluppa il suo reticolo lirico traendo origine dal ricordo. La memoria, con l’infinito bagaglio di immagini remote, accende la mente che si abbandona all’onda costante del confuso smembrarsi di episodi, sentimenti, persone e sensazioni riemersi improvvisamente dal silenzio più profondo dell’anima. Il passato e il presente si «attraversano», incrociando un muto e onnipresente ascoltatore («l’altro io»), sicuro e indiscusso giudice del «muoversi» quotidiano nel bene e nel male.
«Esigenza dialogante» primaria per il poeta che rievoca senza tregua, in uno sfogo intimo e solitario, la metafora trascendentale dell’essere, lievitando così in un possibile sollievo spirituale. Anchise, personaggio emblematico, controfigura dell’autore che aleggia in tutta la raccolta («Da vecchio, Anchise riscoprì le lacrime ed il gusto del pianto. Il miele era ricordo di una bocca e di seni di luna, ed era già finito quando sciami d’api scesero a pungerlo negli occhi»). Definisce il modulo tecnico della comunicazione espressiva, non necessariamente legata al verso, stimolando il metodico sciogliersi di un «canto» spontaneo che sommerge il volo radente delle parole, in perfetta simmetria con il «suono» grammaticale.
Ma figure evanescenti appaiono e scompaiono in un silente e ininterrotto colloquio con il poeta (•.. .Inutile tirarsi il lenzuolo sulla faccia. Mi stanno guardando tacendo È per orgoglio. soltanto per orgoglio. che resisto alla voglia di urlare il mio disappunto per questa invasione improvvisa e per questa nuova violenza…» “Gerontion”).
Come uno «specchio animato» le percezioni più nascoste ed invisibili della coscienza accennano un ritorno, per essere considerate nel loro intento persuasivo alla riflessione. anticamera di un probabile cambiamento. Non è facile riuscire «sempre» a rimuovere le paure, i dubbi e i timori che «intossicano» con la loro rutilante presenza la vita. La realtà non è certo elusa da Pirrera, che denuncia le «manipolazioni politiche» costruite dall’uomo per avvelenare il libero arbitrio dei propri simili («…non c’erano più rami di mimosa / né ventagli di seta. / ma parole / solo parole di scontata cenere / che crescevano dentro come pena…. “Guernica”) («…scende la barca. / il fiume grigio e pigro. / Il sonno non ci condurrà le fate / ma visioni di piazze-mattatoio…» “Ikebana”).
Il fiore della libertà ha il diritto di sbocciare ovunque sia richiesto, desiderato come riscatto per una civile e armoniosa coesistenza sociale. È dunque irrimediabile solitudine, quella che accompagna il proficuo dibattito interiore dell’autore, un granello di sabbia nel mare delle intemperanze.
Purtroppo, il messaggio di contenuti racchiuso nella poesia è nella maggioranza dei casi, «la voce» che si perde nel deserto dell’indifferenza collettiva.
Maria Giovanna Cataudella
Da “Spiragli”, anno V, n.1, 1993, pagg. 56-57.
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