C’è forse tra i doveri anche quello di essere semplici creature umane
È questa la prima antologia organica di Daniela Musumeci, divisa per argomenti: gli amori, l’impegno politico, il mestiere di scrivere, la corrispondenza con la natura, il ricordo di chi non c’è più e, infine, la meditazione. Ciascun percorso si sviluppa diacronicamente dalla metà degli anni Settanta a oggi: si va dalla Padova degli anni di piombo (riconoscibile anche se non nominata) alla morte di Karol Woytila, passando per le manifestazioni non violente contro i missili a Comiso e per le stragi di mafia.
Non è un diario, né un testamento spirituale oppure è entrambe le cose. Rappresenta, ad ogni modo, una sorta di viaggio interiore che dalle emozioni profonde ascende, lentamente e dolorosamente, verso il rasserenamento e il distacco: dov’era anima viene facendosi, a fatica, spirito. Le piccole scene di vita quotidiana, suggestive di un qualche desiderio o di una riflessione, si alternano a rapidi, taglienti aforismi; gli squarci di paesaggio agli enigmi della coscienza, senza alcuna pretesa didascalica.
Nonostante le spezzature dei versi, la musica resta quella dei ritmi classici, endecasillabi e settenari, lievitati nel cuore di chi ha cari innanzi tutto i lirici e i tragici greci; ma ci sono poi rimandi, seppur non espliciti, a Lorca, Neruda, Ungaretti, come pure a poeti della beat generation e infine alle voci femminili; le più amate, Emily Dickinson e Cristina Campo. Uno sguardo libero, di fronte alle vicissitudini storiche e ai tormenti personali, insieme alla immedesimazione con la natura, sono il frutto della consuetudine con le filosofie orientali, con gli haiku giapponesi, per esempio, che ispirano l’omaggio a Kiarostami: aspirazioni a una trasparenza mai perfettamente realizzata e di cui si va continuamente in cerca.
C’è una sorta di nodo tra poesia e filosofia che diventa inestricabile proprio quando è più lento: «la poesia è la dimora dell’Essere», avvertiva Heidegger; è dall’ ascolto della poesia (Dichtung), che ci viene dettata, che nasce la filosofia. Scrivere è dunque un modo di distillare esperienze per farne archetipi condivisibili, occasioni di compassione.
Un modo per suggerire a chi legge, attraverso la delizia della fatica ermeneutica, un lavoro di scrittura. E allora forse è così che si piega l’ossimoro nel titolo: abbiamo tutti un dovere d’allegria nei confronti di ciò che esiste e di ciò che accade, dovere di gratitudine e di levità, che può farci tornare in mente altrettanto bene Violetta Parra o Giobbe.
Vera Da Giuliana
Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 57.
Lascia un commento