L’ultimo canto di Domenico Fiore, poeta agrigentino
Partendo dalla prefazione di Enrica Di Giorgi e dal saggio introduttivo di Pietro Mazzamuto vorrei soffermarmi sul contesto filosofico della poesia di Domenico Fiore, poeta siciliano di notevole spessore, venuto meno nel 2004. Il suo verso è una dichiarazione di pensiero, carico dei dubbi dell’umana esistenza, ma fiducioso nella misericordia di un Dio dell’Oltre che spesso l’Autore cita quasi ad evocarne una fine alla quale si sente destinato precocemente.
La ricerca morale che anima molti versi lo spinge alla conoscenza del suo animo aperto agli altri. disponibile al dialogo ed alla conoscenza, che cerca di approfondire in un discorso che diventa ricerca dell’humus umano, parola che si fa pensiero e pensiero che diventa costrutto, anche se spesso è celato dietro l’analogia di certe espressioni, di nude confessioni, che mutano il verso in pura vocalità, nell’esame della fragilità umana e nella compiutezza addensata (cioè carica di impulsi e di rifrazioni) delle vanità umane, delle passioni e della continua ricerca dell’Eterno.
In molti versi traspare una vocazione all’ermetismo, come definito da Francesco Flora (nei confronti di Giuseppe Ungaretti): <<in fondo, un rifugio di difesa>>; ed è dalle ripetizioni di alcuni temi che si rivelano nati da una certa intemperanza nel voler ampliare a tutti i costi la notazione descrittiva ed analogica, che invece nella base dello scritto sorge spontanea.
È questa una caratteristica di Fiore e non si può disconoscere che merita una particolare attenzione di originalità. Forse il poeta vuole lasciare al lettore il compito di trarre dalla parola tutto ciò che va oltre, fuori dalla realtà contingente e umana, quasi un neoimpressionista della realtà, che produce però fascinanti giunture che legano il verso con una musicalità accennata, ma viva verso un profondo sentimento politico religioso.
Peccato che questo filosofo del verso ci abbia lasciato così presto. Lo ricordiamo con rinnovata stima, anche per le sue sillogi poetiche Un’ora dopo l’altra (Ila Palma), 1967) e Sosia e uomini verosimili (Ags, 1995).
Giovanni Matta
Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pagg. 64-65.
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