L’essenzialità poetica di Francesca Simonetti
In un tempo che scorre travolgente, minacciato da una forma di barbarie tecnologica e da un nuovo analfabetismo interiore, in cui l’esibizione teatrale sostituisce l’autenticità e la sterilità inaridisce ogni piccola sorgente e spegne ogni scintilla, quale può essere il posto della «più discreta delle arti, la poesia»? Direi che è quello di collocarsi tra la realtà e l’uomo, anzi è quello di stabilire un ponte attivo tra tempo ed eterno, finito e infinito: tra il reale quotidiano, in cui l’uomo necessariamente è immerso, e l’infinito cui l’uomo da sempre aspira. Un «ponte necessario» dunque. Ed è proprio questo il titolo del volume di poesie di Francesca Simonetti, che rispecchia il carattere profondo, la funzione testimoniale della parola poetica. Dell’idea che la poesia sia un valore culturale ed estetico tra i più nobili, la Simonetti è fermamente convinta: è il verso che ci tiene in vita, ed è convinzione che ha alimentato in lei, fin dall’adolescenza, una passione ispiratrice di un’attività poetica sempre più valida, sostenuta da ricorrenti appelli alla musa: il ponte necessario / è sorto insieme all’alba / e mi invita ad andare, /per ritrovare l’ombra / con mani di velluto. E se un giorno dovessi / varcarlo, sarà soltanto / per ritrovare te, musa ribelle,/ che sempre te ne parti, / se pure pellegrina penitente.
Il suo universo poetico trova motivi di canto e di ricerca nell’osservazione del reale e nell’interpretazione di esso; come scrive Salvatore Orilia, la poesia della Simonetti è «quasi una finestra aperta sulla realtà», è strumento per dare senso alle cose, delimitandone i contorni. Una quotidianità immediata che la poetessa trasforma in elevata contemplazione, in penetrazione interiore, in un grande sentire universale.
Una poesia dotta che risente degli influssi di una cultura umanistica di cui Francesca Simonetti si fa scudo contro il materialismo dei nostri giorni. C’è l’amarezza di aver dovuto patire delusioni, la disincantata visione del vivere come deriva / su zattere pietrificate, / e i compagni di viaggio / nulla ti danno per lenire il male. C’è la denuncia delle colpe dell’uomo, in particolar modo di quel suo vizio antichissimo che ha nome egoismo. C’è il bisogno di un mondo in cui regni l’amore.
Una poesia personale dai toni sommessi eppure decisa, ricca di riflessioni, di pensieri e ciò contribuisce a renderla varia ma pure limpida. Versi ben fatti e fluidi che nascono dal di dentro e danno vita a immagini, pensieri, atmosfere poetiche che svelano i diversi battiti della vita ma anche l’intimo della poetessa e le sue convinzioni.
Maria Angela Cacioppo
Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pagg. 59-60.
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