GIUSEPPE DI STEFANO, C’era ‘na vota ‘na lumera antica, a cura di Iolanda Di Stefano, lla Palma, Palermo, 2009.
Sfide in lingua e in dialetto con la spada e col fioretto
Giuseppe Di Stefano è un noto autore di poesia in dialetto siciliano e in italiano, nato a Ciminna nel 1903 e scomparso nel 1998. In questa opera, C’era ‘na vota ‘na lumera antica, l’autore ha riassunto (anche se il tenni ne è riduttivo e restrittivo rispetto alla ricchezza del testo) la sua vita vissuta dalla nascita fino al ’68. II libro, così come lui stesso lo definisce, «non è un trattato di storia, né di politica, né di antropologia, ma un po’ di tutte queste cose insieme e qualcos’altro ancora».
È un incredibile tessuto di vita privata con le esperienze fatte, di storia siciliana, di storia italiana e di politica; intreccio creato però da piccoli cenni, da riferimenti che non permettono al lettore di confondersi o di allontanarsi dal filo conduttore del testo. Richiami che spazi ano da Mussolini ad Aldo Moro, dai caroselli agli Ardizzone del «Giornale di Sicilia».
Oltre alla ricchezza contenutistica è d’uopo sottolineare la raffinatezza, l’eleganza e la singolarità che caratterizza lo stile in cui è scritto. Anche la scrittura, così come la storia, è un intreccio di lingua italiana e di dialetto siciliano, di prosa e di emozionante poesia.
Così come la vita dell’ autore fa da filo conduttore e la realtà circostante viene intercalata a questa, così la prosa in lingua italiana fa da colonna portante e le poesie in dialetto siciliano da contorno, da dettaglio, d’approfondimento.
Giuseppe Di Stefano nel libro, infatti, rievoca tutta la sua vita, le circostanze vissute e le spinte interiori che lo hanno di volta in volta portato a scrivere sonetti, per difendersi e per attaccare, e che poi ha riportato all’interno del testo.
Solamente per dare dimostrazione della raffinatezza e della maestria della sua poesia riporto alcuni versi della poesia che ha poi dato il titolo al testo:
C’era ‘na vota ‘na lumera antica
Ca pi lu meccu d’ogghiu sempri china
Lucia comu un faru di marina
Sibbini fussi di statura nica.
A lu so’ lustru ognunu travagghiava
Secunnu lu misteri chi facia
E sulu cocchi gatta si vidia
Ch’attornu di la lampa firriava.
S’allisciava li baffi e cu la scusa
D’allucintari i fila d’a tistera
Si saziava d’ogghiu dda lagnusa.
Cancianu i tempi. .. Sicca è la lumera
Ma prontu, pi sucarisi a micciusa,
c’è u sìnnacu e crisceru i cunsigghiera.
Elisabetta Lipari
Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pag. 64