Giustizia, Decentramento, Servizio
Lo Stato risulta dall’organizzazione finalizzata a regolare i rapporti, nella natura e con le persone giuridiche. I principi dello Stato, cioè del vivere sociale, sono fissati nella costituzione. Essa si applica attraverso le leggi; che si eseguono tramite i regolamenti. Il diritto è l’insieme di tutte le norme.
Se ad alcune di esse si vuole dare unitariamente un senso, le si raggruppa in codici. In ogni caso, il senso primario risiede nell’intenzione recata dalla carta costituzionale. Stato di diritto è quello che abbia regole certe (inequivocabili, tali da non potere restare ignote, di assicurata eseguibilità).
Nel linguaggio corrente, ch’è obbligatorio osservare vengono denominati – con locuzione sintetizzante – legge. Si vedeva nelle aule di giustizia (in qualcuna si vede ancora) la scritta La legge è uguale per tutti; per vari motivi – compresa la brevità, favorita dalle persistenti diseguaglianze – quella scritta è spesso raggrumata nella sue parole d’inizio: La legge.
Come spiega Bourdeau, (nelle società democratiche) “La legge è la ragione umana resa manifesta dalla volontà generale, nella quale essa s’incarna, ed espressa dai rappresentanti del popoloK (Arch. phil. et soc. jur.,1939,12 ss.). Questa definizione d’impianto illuministico, comunque la si giri, indica l’elemento essenziale: la legge sia ragionevole; e il modo dell’espressione in legge: traduzione della volontà collettiva. L’irrogazione è prerogativa dei giudici. Affinché sia loro garantita la necessaria indipendenza, i giudici sono costituiti in un organismo autonoma: la magistratura. Chi giudica è magistrato, in quanto istituzionalmente sottoposto a una maggiore responsabilità – quella del giudicare – rispetto agli altri cittadini.
Ancora più assillante la funzione degli avvocati, ai quali non è concesso di sostenere qualsiasi tesi (mistificare i fatti , o fraintendere il diritto) ma è dato almeno l’obbligo di vagliare le circostanze, imprimervi le norme del diritto, trovare i nessi giuridici, condurre il tutto dal cittadino al giudice; poi, dal giudice al cittadino.
Montesquieu avverte che “le leggi non devono implicare sottigliezze: sono fatte per gente di mediocre intelletto” (Esprit. des lois, XXXIX, 16); le leggi, dunque, siano comprensibili da tutti. L’uguaglianza reclama la chiarezza.
Fuori dall’uguaglianza vi è l’arbitrio. Il contrario di esso, il diritto, è invece la trama su cui pullula il vivere civile: che tende a un sempre più ampio sviluppo della libertà, nell’uguaglianza, per dare inveramento – realizzazione meglio compiuta – alle persone e alla collettività stessa.
A un più esteso grado di civilizzazione corrisponde un adeguato decrescere del potere, il quale sgorga dal principio di autorità; questa si esplica in ciascuna delle sue fom1e: istituzionale (governo,ecc.), oppure di fatto (potentati economici).
La funzione del principio di autorità si accresce mutandone l’impulso in dovere di rendere servizio. In questo modo, si raggiunge un concetto di fondata democrazia -e di verità costituzionale – con l’effetto, anche, di annullare le qualità negative (perché impositive) del potere: rinsaldando quelle di consenso, che derivano appunto dall’esecuzione del servizio.
Fra le caratteristiche meglio preziose della democrazia – nell’attuale storia postrivoluzionaria- è il presupposto secondo cui nelle leggi, tutto è già scritto. Ne segue che l’interpretazione si evolve tenendosi in aderenza ai tempi. Se interpretare non basti, le leggi (e la stessa costituzione) vengono modificate riscrivendo le frasi che non siano ancora in evidente sintonia con lo sviluppo, nell’epoca ch’esse devono reggere.
Dal 1865, in Italia, per migliore chiarezza -e nell’intento di eversione del potere per adeguarlo alle aspettative allora presenti – l’organizzazione della giustizia è stata suddivisa non solo riconoscendo il naturale divario della giurisdizione civile da quella penale; ma sezionando quella civile in giustizia ordinaria (giurisdizione civile ‘propriamente detta’), amministrativa, di contabilità pubblica, tributaria.
L’esigenza di fondo aveva creato una baruffa – per così dire – fra gli angeli: in quanto aveva indotto a separare i ‘diritti soggettivi perfetti’ ch’erano decaduti al cospetto della pubblica amministrazione, fulgente nei poteri del principio d’autorità, da quegli altri che rimanevano (tuttora rimangono) ben fermi perché non vengono a contatto con quei poteri.
Lateralmente, vi era anche l’esigenza delle specializzazioni. Dunque, da una costola della giustizia amministrativa è stata presa la corte dei conti; tirando un’altra costola, si è formata la giustizia tributaria.
Tutto questo sarebbe quasi accettabile se le giurisdizioni stessero vicine agli utenti (invece sono variamente accentrate), e se tutte dessero uguale accoglienza. Al contrario, quanto alla procedura, la gran madre giustizia civile ha le proprie regole; la figlia – amministrativa – un po’ ne prende da mamma e altre ne ha per conto suo; le nipoti (o cugine della figlia, non si è capito bene il rapporto abbiatico) ancora di più affievoliscono gli effetti dell’origine.
Resta, intanto, ineludibile che la giustizia – e il diritto – deve offrire certezza: non sfugga, non si travesta, s’è pietra non si trasformi in acqua; ognuno, dunque, sia in grado di prenderla.
La certezza del diritto consiste nella stabilità delle decisioni (per quanto possibile, le sentenze non si contraddicano) e nella limpidezza dello stile, ma innanzitutto nelle regole del procedimento: tali da mantenere i contendenti su un piano di parità. Le norme di procedura sono la vera sostanza del diritto chiesto in giudizio; questa proposizione non ha nulla d’iperbolico: infatti, senza il modo (di procedere) il diritto reclamato resterebbe una vescica inerte.
Ma non vi è soltanto di unificare le procedure. Nel trascorrere del tempo, gli ‘interessi legittimi’ più o meno ‘occasionalmente protetti’) hanno riacquistato la forza – dalla quale erano decaduti – di diritti soggettivi: man mano che il potere ha perso essenza (distaccandosi dall’origine divina, poi regia, del principio d’autorità), e si è messa in procinto di farsi rendimento di servizio.
Peraltro, in ogni caso, la pubblica amministrazione – anche quella che si articola nel ramo fiscale e negli organi del controllo contabile – è già diretta controparte del privato. Se lo è, la sua condizione processuale dev’essere assolutamente paritaria a quella del cittadino. Questo precetto rimane valido se vengono in contrasto enti pubblici, non anche persone fisiche.
Vi è, dunque, da unificare gli organi giudicanti. S’è vero che, nella società civile, l’attività giudiziaria è sevizio primario -tanto meglio se, come adesso, la si chiama ‘azienda giustizia’- le sue ‘agenzie’ devono essere quanto più diffuse, tanto più facilmente accessibili. Non si offende nessuno facendo, a proposito della giurisdizione, un esempio di tipo sanitario (non di aziende sanitarie, ché quelle sono iscritte nell’orbita di un tipo di mafia probabilmente a parte rispetto alla mafia consueta) ma un esempio con le farmacie.
Per prudenza, si è stabilito che si abbia una farmacia per ogni municipio; e, superandosi un certo numero di abitanti, si disponga di una fannacia per ogni detenninata quantità di persone. Si capisce, allora, ch’è giusto – in zone particolannente sofferenti, è del tutto indispensabile assegnare un giudice per ogni dato numero di abitanti.
In teoria è già previsto; ma in una concezione accentratrice di preture, tribunali, corti, commissioni. Nell’animo costituzionale del decentramento, e nell’indicata necessità di unificare le giurisdizioni, in ogni luogo urbano dovrebbe esservi una pretura (competente per ogni processo civile di primo grado, qualunque ne sia il valore monetario) cui siano addetti giudici istruiti in diritto amministrativo, tributario, ecc. L’appello, rispetto ai pretori civili, resterebbe al tribunale.
Svanirebbero le ansie campanilistiche. L’espressione ‘giustizia distributiva’ perderebbe ironia. Cercare giustizia non sarebbe – così l’icastico verso di Lorenzo Stecchetti – giocare al lotto. Ma andare dal giudice come recarsi al pronto soccorso, od entrare in farmacia.
In ciascuna mansione, aumenterebbero i posti di lavoro. L’impatto ambientale sarebbe di estrema gradevolezza: ognuno troverebbe subito il proprio giudice naturale, come la costituzione pretende. Ma non se ne può fare nulla, perché è troppo facile.
Antonino Cremona
Da “Spiragli”, anno IV, n.1, 1992, pagg. 9-12.