Maria Pina Natale, Epopea Rog, Marzorati Editore, Milano 1989, pp. 432.
Libro in certo senso inquietante questo Epopea Rog di M. Pina Natale: quanto agevole è la sua lettura altrettanto impegnativa è la sua interpretazione, dato che è senz’altro da escludere una semplice presa d’atto. La fluidità del linguaggio e la linearità della vicenda, per altro convenientemente dotata dell’opportuna imprevedibilità parziale e complessiva, conquistano presto e tengono sempre desta l’attenzione del lettore, aiutandolo a superare qualche iniziale disagio causato da un’articolazione in episodi alquanto autonomi che nella prima parte è piuttosto frequente.
Siccome, poi, le pagine, diciamo così, prevalentemente meditative hanno buona capacità di attrarre, oltre che di stimolare, la lettura procede spedita, nonostante l’alto numero di pagine del volume, e al punto che c’è il pericolo di perdere di vista tanti dei suoi valori, specie a livello di pensiero. E questo è pericolo che il libro non merita affatto di correre.
Costituisce, poi, altro motivo di impegno la ricerca della sua collocazione in uno dei settori canonici della narrativa. Verò è che la poetica dei generi ha ormai fatto il suo tempo, ma, se non si pecca di schematismo, una qualificazione di questo tipo è sempre opportuno farla, se non altro perché aiuta a capire, e quindi a valutare. Proviamoci anche con Epopea Rog.
Articolato in tre parti – che l’Autrice chiama “libri” alla maniera degli antichi poemi epici – e con un “Intermezzo” tra la prima e la seconda, questo testo possiede, come mettono in evidenza segni così espliciti, tutti i numeri per potere stare entro i confini non di un genere soltanto bensì di almeno due: l’epica mitica e il romanzo realistico. Poi, però, ci si accorge che dentro tali confini esso ci sta stretto per il fatto che altre tematiche che tratta e altri elementi che lo qualificano gli conferiscono una personalità tutta propria, per tanti aspetti nuova, e lo portano quindi a sconfinare.
Prendiamo la prima parte. Tutta materiata com’è di racconti di vicende connesse con la lotta partigiana, parrebbe direttamente appartenere al filone della cosiddetta letteratura della Resistenza. Ma se ricordiamo che questa letteratura visse e operò sotto le insegne di una precisa ideologia politica, al tempo stesso sua matrice e suo programma, dobbiamo immediatamente cancellare un simile inserimento, perché Epopea Rog non si alimenta di ideologia politica né a sua volta la alimenta. Certo, si avverte qua e là qualche “condanna” dell’agire e del carattere dei Tedeschi – per altro detti “nazisti” molto raramente – ma questo è un dato ormai sancito dalla storia e come tale, quindi, acquisito pacificamente da quella letteratura. Sarebbe stato un impegno troppo gravoso per M. Pina Natale mettersi contro di esso, cioè, in definitiva, contro corrente; e poi, non rientrava neanche nei suoi programmi. I quali, fondamentalmente sono etici, in senso largamente umano e mai in forma ossessiva. Lo si vede dal fatto che la nostra Autrice inserisce in questa condizione anti-tedesca del suo protagonista certi spiriti umanitari che lo inducono a escludere sentimenti di odio dai moventi della sua condotta e a ispirarla, per contro, e quasi istintivamente, ad un proposito, sentito quasi come un innato bisogno, di “lavorare per tutti coloro che hanno bisogno, senza distinzione di campo, buoni o cattivi che siano.” (p. 359). Lo dichiara proprio in questi termini un suo interlocutore che per lunga frequenza ha avuto modo di conoscerlo assai bene. La Resistenza, insomma, non è altro che il momento cronologico e umano che fa da substrato, da tessuto connettivo, da area storico-geografica in cui e su cui il protagonista compie tutte le sue magnifiche gesta. Senza quei Tedeschi da spiare e da neutralizzare, ma anche da comprendere in certe esigenze individuali, senza quei partigiani da soccorrere e da sostenere, senza quelle montagne da valicare e quelle vallate da percorrere al fine di dare piena attuazione a precisi piani operativi, tanta parte delle ragioni d’essere del protagonista verrebbero a mancare. Vien fatto di pensare che, stando alla natura degli eventi, il protagonista opera sì a favore della Resistenza, ma nella realtà letteraria dell’opera la Resistenza serve solo a dare a lui possibilità di estrinsecare il suo io e quindi di essere. Pare, allora, scontata la conclusione che la Resistenza non è il fine ma il mezzo. Il vero fine è Rog. Un personaggio esuberante, ricco di vitalità. estremamente attivo; un personaggio che ha incontrato nel suo momento storico una copiosa fonte di stimoli, un forte elemento reattivo. un banco di prova delle sue straordinarie capacità operative. È questo aggancio storico che gli dà una certa misura di connotazioni realistiche. Senza di esso, sarebbe un personaggio tutto fantastico, ed ancora più sorprendente perché non si tratta di un uomo bensì di una donna. Rog, infatti, è una giovane che dall’evento della morte in guerra dell’amato marito prende le mosse per la conquista di una personalità tipicamente virile e che della sua femminilità, per altro piacente, si ricorda solo per metterla al servizio della buona riuscita del suo incontenibile e prepotente bisogno di agire. Privata del suo amore, Agata, questo il nome di battesimo del protagonista, perde ogni capacità di amare (“anzi non ha mai amato”, arriva a dire l’interlocutore che ho citato prima) e acquisisce un carattere freddo, pronto, risoluto, che la porta a guardare con distacco, con superiore indifferenza uomini e cose e a dominare, col sostegno di un fisico estremamente agile e robusto e tuttavia non privo di grazie, persino il dolore, un dolore causato da piaghe da tortura sparse in tutto il corpo e restie a cicatrizzare, sì che esso non ferma affatto i suoi voli attraverso i cieli e le sue corse attraverso le boscaglie, anzi neppure li rallenta e neanche li ostacola.
La sua è una pratica di vita che, seppure legata ad un preciso momento storico, originalmente lo trascende per farsi estrinsecazione, come ho detto, di un incoercibile bisogno di agire, esercizio di un’idea, positivamente costruttiva, di nobile altruismo. Quel che conta è l’azione, e non l’azione “contro” ma l’azione “a favore”, anche, eventualmente, di potenziali nemici.
Ad uomini, o donne, siffatti si dà di solito il nome di ‘eroi’, e le loro gesta si qualificano come ‘epiche’, tenuto anche conto della loro eccezionalità. Mettere allora il nostro Rog, considerata anche la cultura della sua ideatrice, in compagnia di Achille, Aiace, Orlando, Ruggero e simili e visto che la sua parte di ‘storicità’ non gli toglie certo ‘leggendarietà’, non mi parrebbe proprio fuori luogo, ma lo sconsiglia senz’altro la sua ostilità verso ogni sanguinarietà, cui invece quegli antichi erano assai propensi. Lo accosterei quindi, più attendibilmente, a quella categoria di eroi che sono più famosi per intraprendenza e mobilità, a figure quali Ulisse, l’uomo dall’ingegno pronto e astuto, e soprattutto ad Astolfo, l’eroe antonomastico della mobilità, arditamente in groppa al suo cavallo alato. Con essi il nostro Rog ha in comune molto di più che qualche semplice nota. Col primo soprattutto la pronte7..za dell’intuito e l’immediatezza della parola, con l’altro, una quasi sovrumana speditezza di movimenti che non solo è capacità di spostarsi velocissimamente da un luogo ad un altro avendo per ippogrifo – “il mio ippogrifo!” (p. 385) – un docilissimo aeroplano e un morbido paracadute, ma anche l’attitudine ad apparire e disparire in un battibaleno. Ovviamente, dotato di così eccezionali qualità, il nostro eroe può compiere felicemente tutte le sue missioni e al tempo stesso legittima nei suoi lettori il pensiero che qualche elemento utile alla sua costruzione lo abbiano fornito pure i Masters e altri simili eroi di quei cartoni animati e di quei fumetti che sono l’inguaribile passione di tanti ragazzi dei nostri tempi.
Fin qui le pagine di M. Pina Natale cl hanno offerto come dato più qualificante una nutrita serie di episodi movimentati e un personaggio freneticamente e positivamente attivo. Finita la guerra. la situazione cambia. E così Agata, adattando ai nuovi tempi la sua operosità ma contraendo di molto la sua sfera di azione, si tramuta in imprenditrice sociale e dIviene “fondatrice-proprietaria-animatrice” (p. 262) di un colossale complesso assistenziale in cui diecine e diecine di bambini, molti dei quali nati nel reparto Maternità dello stesso Istituto. vengono seguiti capillarmente dai primi gradi scolastici fino al compimento degli studi medi o universitari e al loro ingresso nella vita di lavoro. A tale imponente complesso la sua realizzatrice, dà il nome di Città Rog e con l’aiuto di collaboratori fidati idonei anche a sostituirla riesce a farne un’istituzione altamente benemerita. Ma la malafede di alcuni profittatori viene a mettere In crisi tutta l’organizzazione. Agata subisce un processo per maltrattamenti a minorenne e alcuni malintenzionati, per distruggerla, non esitano a gettare una luce sinistra sul suo passato. Alla fine, però, la sua innocenza trionfa e l’ammirevole donna riprenderebbe con nuova lena la sua encomiabile attività se il suo fisico, che pur aveva superato sofferenze. materiali delle più terribili, non cedesse alle estenuanti prove cui la vicenda giudiziaria l’ha sottoposta, soprattutto a livello psichico.
Questa seconda parte, senza dubbio più serrata e compatta rispetto alla prima, ci presenta un’Agata notevolmente diversa anche se sostanzialmente coerente con la precedente. Tutto il suo frenetico agire si è contratto nell’organizzazione del complesso che ho detto e nel controllo da lontano, ma sempre in modo partecipe, della sua attività. Convogliata in questa direzione la sua filantropia. la Nostra ha cercato giustamente il riposo e il ritiro dall’attività febbrile. appagandosi di contemplare l’attuazione del suo antico programma di riscatto umano. Ma in questo mondo non c’è pace per i buoni. Agata deve tornare a scendere in campo. E vi scende infatti. Sorretta dalla sua antica tempra di persona votata all’azione, reagisce con fermezza alle dense minacce che facevano temere il crollo e impiegando, questa volta, più che le energie fisiche le risorse dell’intelligenza e le altre doti del carattere, organizza sagacemente una difesa efficace, concretatasi nell’impianto di trame indovinate e nell’impiego di straordinarie capacità dialettiche. La qualità degli argomenti e la varietà di trovate e di toni con cui essa sconfigge l’ispettore ministeriale venuto a inquisire sull’amministrazione di Città Rog con l’evidente. anche se non dichiarato. proposito di mettervi i sigilli. si segnalano per la loro non comune efficacia. sì che le pagine che riferiscono il colloquio hanno più di un motivo per essere ammirate. A parte le proporzioni e le qualità dei personaggi e dei fatti, esse mi hanno richiamato alla memoria un celebrato colloquio di manzoniana memoria: quello del conte zio con il padre provinciale, così come, del resto, non può non venire in mente la famosa notte insonne dell’Innominato, sempre di manzoniana memoria. quando si legge il turbamento notturno del Commissario Palmi. l’inquisitore, sconvolto da sentimenti e pensieri i più disparati. L’originalità di M. P. Natale in ogni caso è salva e merita riconoscimento, così come lo meritano altre qualità positive di tutto
il libro e in particolare della sua seconda parte. Intendo l’evidenza assicurata al ritmo incalzante ma ordinato degli accadimenti; la resa piena, pur nella sua sobrietà. della condizione della società nel secondo dopoguerra; la caratterizzazione dei personaggi comprimari chiamati a svolgere ciascuno il proprio ruolo contro o a favore di Rog-Agata; la serie delle riflessioni suggerite dalla varietà delle situazioni e presentate con la massima naturalezza senza pose predicatorie, quasi una germinazione spontanea nel fluire stesso della vita e un pungente stimolo a viverla più avvedutamente. meno irresponsabilmente.
In conclusione, Epopea Rog è un’opera in cui la maturità letteraria della scrittrice dà le sue prove più chiare, al tempo stesso in cui si fa documento di una intensa e gradevole pensosità sul nostro più spesso dolente che lieto destino di uomini.
Antonino De Rosalia
Da “Spiragli”, anno III, n.3, 1991, pagg. 67-72
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