Alla casetta solitaria (coi tufi smozzicati e le crepe alle pareti)
sita
sul muraglione della ferrovia
l’estate
arrivava con folate calde
di vento
e odori intensi
di grano mietuto e di fieno
ammucchiato a ruota
in mezzo ai campi.
Sulla fronte larga di mio padre
che s’affrettava a ripulire
il fondo dell’aia
invaso dall’erbaccia
si spianavano
le rughe d’ansia scavate
da un anno lunghissimo d’attesa.
Il perché mi sfuggiva. A nove anni
ignoravo
che il profumo della vita
è l’odore del frutto maturo
nato
dal seme
messo a dimora
con le nostre mani.
Dino D’Erice
Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pag. 45.
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