Caro direttore,
dopo la parentesi «lirica» della Lettera da Motya (potevo non inviartela? Quella piccola isola contiene tali misteri umani e disumani, tali effluvi primaverili in ogni stagione…!), vorrei e dovrei – secondo quanto indicai nel precedente articolo – riprendere il discorso sul significato della «qualità» nella pittura e nell’arte. Sono più che mai sicuro che «afferrare» questo concetto, significa procurarsi quella magica chiave per aprire la «stanza della luce» dove avviene l’«iridescenza dell’intelletto», quella indicata da Apollinaire, appunto. E però, se me lo consenti, vorrei prima «preparare» il lettore al discorso sulla «qualità», soffermandomi più a lungo sull’«oggetto d’arte », in definitiva sul «quadro».
Che cos’è un quadro? A quale età ed in quale momento della nostra vita ci accorgiamo per la prima volta della presenza davanti a noi di un oggetto, piccolo o grande, con una superficie contornata da quella che chiamiamo «cornice»? Forse, già nell’adolescenza, quando ci dissero di «non toccare» il dipinto (si chiama anche così?) sul muro dietro la scrivania di papà, o quell’altro sistemato bene in alto sul comò. O forse, all’Istituto tecnico, quando sbirciavamo – dal corridoio – la grande tela che sovrastava la temuta scrivania del preside: o in quel primo appuntamento in una galleria d’arte; o più in là (già maturi e professionisti e pur distratti dal contatto consapevole con un quadro), quando il caso ci portò nello studio di un pittore o a visitare la casa di un personaggio famoso. Certo è che l’incontro con il quadro, prima o poi, avviene. E ci dà una vaga e subito sopita emozione, una sorta di curiosità breve ma intensa: esso sprigiona una forza magnetica che induce quasi a volerlo toccare e a trovar l’angolo di visuale migliore per osservarlo.
Cosa pensiamo di vedere o di intravedere su quella superficie incorniciata, che possa interessarci e piacerci: una figura, un paesaggio? Oppure soltanto una forma, un ritmo, un colore? Può darsi che proprio in codesta istintiva «ricerca» di un quid che ci appaghi guardando un quadro, noi misuriamo inconsapevolmente la nostra «sensibilità artistica», vale a dire la capacità innata di saper «fruire» della luce, piccola o grande che sia, di bellezza e di intelligenza, accesa sulla superficie di una tela o di una tavola o di un semplice cartone.
Ma quando e perché il quadro, questa «cosa» immobile ed inanimata, diventa importante, acquista valore; e, se collocato nella nostra casa, si eleva a muto e inflessibile indice della nostra sensibilità, del nostro spirito e perfino del nostro carattere? Quando e perché una superficie colorata, rinchiusa in una cornice, cessa di essere tale e diventa «opera»? È il difficile ed affascinante momento in cui la materia inerte del colore, mediante il pennello o la spatola o altro mezzo di applicazione, incomincia a vivere, a palpitare, a cantare, a urlare, a risplendere. Capire l’attimo magico di questa straordinaria metamorfosi, significa capire molto di più della nostra
stessa vita quotidiana: tutti i rapporti in cui le cose del mondo – i gesti, le parole, i fatti – si trasformano da futili in utili (a sé stessi e agli altri), da effimeri in convincenti e confortevoli, da banali in valori morali e materiali, ci appariranno, quei rapporti, più chiari e benefici. Potremmo trovare, con l’aiuto del piccolo o immenso canto che proviene da un bel quadro, una misura nuova e più giusta della nostra stessa coscienza.
Mi domando spesso come sia possibile che professionisti emeriti nei vari campi del sapere, dalla medicina al diritto, dall’insegnamento nelle scuole e nelle università all’imprenditoria e all’industria, uomini di dottrina e di scienza, e perfino funzionari pubblici e politici, nella stragrande maggioranza non posseggano nelle loro case e nei loro studi, una piccola raccolta di quadri di pittori moderni!
Ho spiegato, in un precedente articolo, come fare a distinguere un bravo pittore, oggi, dal mediocre o dal dilettante. Purtroppo, durante la mia lunga carriera dedicata alla pittura, più volte mi è capitato di trovare in case ed ambienti professionali di prestigio, appesi maldestramente ai muri, pessimi esemplari di quadri senza alcun valore, le cosiddette «croste». Certo, non tutti sono in grado, anche tra i professionisti, di acquisire un quadro di «qualità». E però, come vedremo quando affronteremo insieme questo specifico argomento, c’è una gamma molto vasta di «qualità» nell’arte in genere e nella pittura. Non potendo attingere all’alta qualità per il «prezzo» si può scegliere nella buona «qualità» di pittori già maturi o che ancor giovani abbiano dato prova di serietà ed impegno. In questa fascia i quadri sono piuttosto accessibili: basta entrare nell’ordine delle idee sopra esposte. E cioè che una casa o uno studio senza un buon quadro di medio o di alto valore che sia, è freddo e vuoto della nozione, culturale, e di buon gusto, più sicura ed evidente.
C’è poi da dire che i quadri si tramandano ai figli se di qualità e di valore, rappresentano il retaggio più duraturo e poetico, spesso una vera e propria eredità sostanziale e insieme qualificante. I figli, se ben nati e riusciti, ricordano i genitori non certo per i terreni o gli appartamenti o i gioielli che lasciano, bensì per la cultura e la bellezza che emana un bel quadro peraltro inalienabile e non deteriorabile nel tempo.
E così, caro direttore, posso concludere queste note sull’importanza del quadro. Esse si aggiungono a quelle sulla «lettura» con le quali iniziai «Insieme nella pittura».
Vorrei ritornare all’importanza che può avere l’incontro con un vero pittore. Giuseppe Marotta, l’autore dell’Oro di Napoli, dopo una visita di tanti anni fa, nel mio studio vesuviano, scrisse in un suo libro dal titolo Visti e perduti: «…E se volete non andare al cinema dove i personaggi svaniscono come fantasmi…. se volete attaccarvi a qualcosa di utile e duraturo, con una luce costante di buon gusto e cultura, fatevela con i bravi pittori…». Sembra un’esortazione esagerata o di parte, eppure forse è l’unico modo per capire cosa è il quadro, come e perché nasce, come e perché è importante. E come imparare a leggerlo, appunto; ne abbiamo già parlato.
Ma, a parte queste considerazioni di ordine sociale e morale, gli amici che mi seguono sanno quanto mi stia a cuore la comunicazione e la spiegazione «tecnica» di come viene eseguito un quadro o come valutare la sua «qualità».
Nel prossimo articolo riprenderò senza più indugi questo discorso. E poi ci inoltreremo nel magico mondo delle «correnti» della grande pittura moderna, partendo dagli «Impressionisti» e da Paul Cézanne fino a Braque e Picasso. Insieme, naturalmente, alla ricerca di quella «dignità conoscitiva dell’arte» come tensione a percepire il mistero della vita.
Carlo Montarsolo
Da “Spiragli”, anno II, n.1, 1990, pagg. 55-57.
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