(a cura di A. Contiliano)
Nella recente pubblicazione .Dai margini inquieti. il poeta palermitano Elio Giunta raccoglie in antologia i componimenti più significativi della sua trentennale produzione poetica.
Antonino Contiliano lo ha intervistato per Spiragli, ponendo domande che, al tempo stesso, mettono in risalto la figura del poeta d’oggi e la condizione della poesia.
Anzitutto, il titolo ..Dai margini inquietill allude, forse, al tema dell’emarginazione, che è costante nella tua poesia?
L’emarginazione nella mia poesia è elemento che certo si ripropone frequente, ma più che un tema, cioé una nozione denunciata, è, direi, una condizione di fondo, sofferta ma necessaria, vista più come scelta che come effetto di coazione. In un mondo di eccessiva partecipazione, meglio a dirsi. di eccessiva compromissione della cultura coi persuasori occulti di massa e meno occulti degli apparati e delle cricche, l’emarginazione richiama al vero ruolo del poeta, che è quello dell’intellettuale inquieto, seminatore d’inquietudini, punti di riferimento del possibile, spesso del’opposto. Qui il senso del titolo.
Come è nata l’idea di quest’antologia?
È venuta all’editore, come proposta di richiamo alla poesia in un mondo in cui sembra che il suo spazio si faccia sempre più esiguo. I miei testi non saranno tutti buoni, comunque hanno segnato il passo dei tempi, hanno talvolta contratto il rischio della parola comune e molti la gente può leggerli ancora e farli propri, sentire in che misura li anima una dimensione umana. Così li hanno visti presso questa Casa editrice, decisa, come credo, a realizzare un’operazione culturale con una proposta letteraria praticabile.
Allora, se la poesia oggi ha visto ridurre al minimo il suo spazio, di chi è la colpa? Per quelli meccanismi la poesia è in crisi?
Premesso che il posto della poesia è stato sempre quello della crisi, con qualche eccezione nei tempi andati. dico che oggi la colpa è anzitutto dei produttori di poesia quali grossi editori e critici accreditati, che mandano in giro operazioni poetiche dirette a nessuno, votate all’autocompiacimento. Gli editori sono serviti assai male dai loro consulenti e responsabili di collane, che gestiscono tutto entro la sfera di pochi amici e di calcolati scambi, tra parolai sofisticati con la testa piena di teorie letterarie per lo più incomprensibili; i critici, in particolare, oggi, dopo le neo-avanguardie, sono in cerca di un’idea della letteratura e quindi della poesia che non trovano o non vogliono trovare. privi come sono di coerenza. Il resto lo fa l’inconscia ma devastante idolatria del tecnologismo detto produttivo. Dunque non andiamo cercando perché la gente non legge e non compra la poesia.
E tu, come vivi da poeta questo tempo?
Dici piuttosto da intellettuale: la poesia non è campo d’astrazione o d’artificio, è modo di espressione con cui ci si rivolge agli altri partendo da una coscienza critica del presente. Quindi in poesia si sintetizza ma si incide e, magari, si canta.
Vorrei vivere questo tempo nella speranza, invece lo vivo da un banco di
sofferenza e di provocazione. Già, provocazione. Ad esempio, cercheremo sempre di opporci alla mentalità di un pese come il nostro, dove è possibile affidare quasi le ultime sorti ed anche le sorti dei mezzi di diffusione della cultura ad un venditore di gassose e minerali, magari rivestito per l’occasione della tonaca
del buon pastore.
Gli intellettuali ancora esistono; e i poeti pure.
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