Questo XX secolo è alla fine. ma con la sua fine non verrà certamente quella della poesia. Direi piuttosto che il peso della poesia e il suo indice di gradimento. oggi, sono più elevati che in altri periodi. Non alludo soltanto alle pubblicazioni, ai convegni che ad essa si dedicano. Penso anche alle citazioni. ai riferimenti che si trovano nei libri di filosofia, di scienza ed arte in genere. Persino i politici ufficiali, durante le interviste e i convegni, amano fregiare i loro discorsi con riferimenti testuali e poetici.
Tutto questo, naturalmente, per dire, in breve, quanto vitale sia la poesia e la pressione dei suoi sensi e significati, mentre un secolo carico di rivolgimenti planetari e interplanetari ci sta lasciando. La sua scomparsa però non lascia il vuoto e il nulla bensì un carico progettuale che investe di enormi responsabilità tutti e in specie i poeti. Quegli uomini cioè che, comunque, disse Mahmud Derwish, scrivendo poesia nell’era dell’atomica, sono soggetti rivoluzionari. Faccio mio questo concetto e dico che ciò è valido ancora nell’epoca del postatomo, nel tempo cioè delle guerre stellari al laser o nel tempo, il nostro, della distruzione irresponsabile dell’ordine degli ecosistemi.
Ma non è di questo che desidero parlare, bensì delle nuove frontiere e delle nuove possibilità che questo secolo morente ha aperto alla poesia, e che, secondo me, sono quelle della quasi fusione (fatte salve le differenze) dell’immaginario-reale della poesia con quello della scienza e delle sue esplorazioni, quello dell’interscambio dei loro linguaggi e delle loro logiche teoretiche, una soglia dove si verifica une vento unico: il reale si fa immaginario e l’immaginario si fa reale.
Un mondo questo, per dirla con Edgar Morin, dove il pensiero autentico si mantiene alla «temperatura» della propria ebollizione e distruzione, e l’incertezza attraversa la «vera conoscenza». Un mondo cioè che vive in una ricerca e in una interrogazione che sono permanentemente fare e crisi: taglio e decisione, specie se il terreno di indagine è quello della complessità in cui viviamo e che in fondo siamo, come un tessuto intrecciato di tanti fili e colori.
Paradossalmente il futuro della poesia, in questa fine secolo, è stato preparato anche dalla scienza attraverso quelli che possono già essere chiamati i viaggi negli spazi interplanetari e nell’infinito, la cui paradossale dimensione di eterno e temporale è stata sempre cantata dai poeti come una tensione e una ferita ora dolorosa ora felice. Dico paradossalmente perché la scienza, che si è sempre contrapposta al sapere e alle esplorazioni dei poeti e del loro vissuto, oggi, invece, porta concretamente l’occhio, il vedere e l’estetico delle sensazioni dell’uomo in quelle regioni dell’infinito spazio-temporale che era stata la dimora privilegiata dei sogni del poeta. Questo immaginario, con tutta la forza delle sue vibrazioni vitali, ora viene processualizzato e quasi attualizzato senza nulla perdere, però, del suo fascino nascosto e lunare.
La morte dei secoli, come abbiamo imparato dalle metamorfosi delle cose e della storia, coincide sempre con la nascita e la vita di altre dimensioni e di universi altri. La fine di un secolo è perciò solo una tappa nel transito di kronos e di quella infinita modalità della natura, il cui delirio creativo è stato già cantato da un poeta come Lucrezio.
La scienza, come il potere delle sue ricerche teoriche e delle sue realizzazioni ai limiti della fantascienza, non solo infinitizza la poesia perpetuandola come creatrice e compagna di viaggio, ma ne chiede, ove gli strumenti euristici le difettano, i mezzi linguistici e logici. Niels Bohr, uno degli scienziati forti di questo secolo nella ricerca della «consistenza» delle particelle elementari e delle virtualità del mondo subatomico, ebbe a dire che quando l’analisi scende a questi livelli, dove cioè non c’è più il vedere e il rappresentare, lo scienziato deve usare il linguaggio del poeta. Gli strumenti euristici cioè della retorica poetica, come le «congetture», le metafore e le analogia, per esempio, se vuole far vedere l’invisibile, dire l’indicibile, finitizzare e determinare l’infinito.
Cosa di più bello e meraviglioso, nel futuro secolo, di questo connubio felice della scienza con la poesia? I prodotti della loro praxis si somigliano così tanto che possiamo affermare senza scandalo che gli universi del sapere scientifico sono altrettanto derealizzati e fantastici di quelli creati dai poeti che possono quasi interscambiarsi.
E cosa dire della logica, delle logiche o di quelle loro parti e funzioni come le contraddizioni, i paradossi, le ambiguità, ecc., che ieri erano appannaggio del solo poeta e oggi sono elementi integranti della struttura della scienza contemporanea?
Proviamo a pensare solo per un po’ (facendo qualche semplice esempio) alle contraddizioni del principio di complementarità dello scienziato atomico quando deve parlare del suo campo di onde e corpuscoli. di continuo e di discreto o discontinuo, al principio di indeterminazione di Heisenberg per determinare posizione e velocità di un elettrone; pensiamo per un po’ al vuoto quantico, alla nuova geometria dei frattali. agli «effetti farfalla. o sensibilità alle condizioni iniziali di certi fenomeni non prevedibili delle scienze del caos, alle loro combinazioni di turbolenza e coerenza, alla chiusura e apertura, dipendenza e indipendenza dei sistemi autopoietici, al tentativo di imprigionare gli eventi stocastici, aleatori e contingenti, e poi chiediamoci se questa non è la logica del paradosso e dell’ossimoro – l’acuta follia – del poeta. L’acuta follia del poeta che cerca di afferrare. di comprendere la contingenza dell’attimo nella sua complessa concretezza: il luogo-tempo-energia dove l’essere e il non essere, la vita e la morte. il gioco delle metamorfosi è una sfida perenne ai confini e l’attimo non è più l’atomo del tempo ma appunto il cum-iangere – la contingenza – di tutte le dimensioni del reale, compreso l’immaginario della poesia. Poesia che dalla fine di questo secolo riceve la linfa di nuove forntiere e nuovi termini linguistici per esprimersi anche in una nuova sintassi.
Antonino Contiliano
* Relazione tenuta al Symposium per il 29° Incontro internazionale di poeti a Struga il 24 agosto ’90.
Da “Spiragli”, anno II, n.4, 1990, pagg. 6-8
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