Mai come nel presente impietoso periodo storico, sullo scorcio di questo diabolico XX secolo – che ha annientato tutte le garanzie civili ed umane poste a guardia dell’umanità, dopo le sacre Rivoluzioni: americana, francese, italiana, russa, per non parlare delle altre meno conosciute ma altrettanto seminatrici di ideali – si è visto una proliferazione di leggi talmente soffocante da stordire il cittadino al punto che la stessa Corte Costituzionale, poco tempo addietro, ha dovuto riconoscere che, talvolta, ignorare la legge è un sacrosanto diritto della gente.
Ma non è tanto il fatto che il Legislatore – o meglio. coloro che spingono i Deputati e i Senatori ad affastellare una sull’altra tutte le leggi possibili e immaginabili – usi del suo potere per dare un volto giuridico alla Nazione, quanto il misfatto dell’abuso che lo stesso Legislatore va perpetrando da anni a carico della collettività italiana con uno stillicidio di leggi, novelle, leggine, sottonovelle
e poi, di nuovo, superleggi, sottoleggi non da mozzafiato ma da voltastomaco, proprio perché è come se ti dessero un autentico pugno sullo stomaco, dal momento che non ce la fai a digerire questo vero e proprio malloppo legislativo.
Ora, io mi domando: coloro che siedono in Parlamento e in Senato hanno mai letto Tacito, Cicerone, Sallustio, Tertulliano e poi Giustiniano? Hanno mai letto un po’ di storia del diritto romano? Sanno chi era il Pretore romano e cosa faceva questo Pretore, laggiù nel foro, dove una causa, civile o penale che fosse. si risolveva immediatamente. senza possibilità di appello, dove si faceva giustizia rapida ed esemplare e che era ritenuta la migliore del mondo?
Sanno i nostri Legislatori ciò che diceva Celso, famoso giureconsulto, quando affermava il principio: «Scire leges non est verba earum tenere, sed vim et potestatem» («Conoscere le leggi non significa tener dietro allo sproloquio delle loro parole, ma significa dar loro forza e potestà»)?
Nel caso nostro, delle nostre leggi, non si tratta ora soltanto di sproloquio ma di diluvio totale di tali e tante parole che servono solo a fare confusione, a creare disagio, a interporre dubbi, a oscurare la norma giuridica che deve essere, invece, rapida, semplice e breve.
Bastavano pochi ed essenziali concetti a rendere un ordinamento giuridico degno di dare a tutti i consociati l’eterna buona nuova della «certezza del diritto», così come la concepivano i nostri antichi padri, così come pare l’abbiano recepita i popoli anglosassoni, a scorno dei nostri Governanti passati ed anche presenti. Basti per tutti fare l’esempio dell’atteso codice di procedura penale (denominato «nuovo») che dovrà entrare in vigore nel prossimo autunno 1989 e che ricalca, qua e là, alcuni canoni dei codici anglosassoni e che ha rivoluzionato il c.d. «rito inquisitorio» ribaltandolo in «rito accusatorio» (che si traduce in maggior libertà istruttoria d’azione per l’avvocato e per l’imputato e dove il giudice sta a guardare quello che fanno le parti per poi emettere una sentenza che si avvicini quanto più possibile alla verità e alla giustizia). Ce ne sono voluti di anni per arrivare a questo traguardo!
Ma la sostanza rimane la stessa. Alla qualità i nostri Legislatori hanno sempre sostituito la quantità. Non un lago di leggi, il nostro ordinamento è un oceano di disposizioni legislative che, facendo finta di rimangiarsi le precedenti, a queste stesse rinviano per accrescere ancora di più la difficoltà di interpretazione, in una farragine di concetti dove ognuno, ogni operatore del diritto, interpreta come vuole non la legge ma la «sua» legge, al punto che questa diventa anarchia!
Uno Stato come il nostro che ricorrentemente ha bisogno di concedere l’amnistia, non per un evento importante della vita della Nazione, ma soltanto per prosciugare migliaia di processi penali delle Preture e dei Tribunali, non è uno Stato serio. E dove vanno a finire le garanzie legali di un cittadino che ha sperato nella sveltezza del processo penale e nel suo epilogo di giustizia per risolvere i suoi problemi, al fine anche di non farsi giustizia da sé, quando poi giunge, ingiusto ed ipocrita, un provvedimento di clemenza generale in cui i malfattori la fanno franca e la persona onesta è costretta a subire l’ennesima ingiustizia proprio da parte di uno Stato che dovrebbe essere il simbolo della somma di tutte le garanzie di vita di un popolo?
Ecco che cosa producono le proliferazioni delle nostre leggi: una sommatoria di oscuri concetti giuridici, dove trovare certezza, garanzia e giustizia è come trovare un ago in un pagliaio!
Penso che basterebbero per tutti i «Dieci Comandamenti», giunti come siamo a questo punto della nostra dolorosa storia di uomini proiettati, alla soglia del 2000, verso un avvenire oscuro, gravido sempre più di incognite disumane, dove in agguato sembrano essere accovacciati, per l’ultimo micidiale balzo, i quattro spietati cavalieri dell’Apocalisse.
Antonio Della Rocca
Da “Spiragli”, anno I, n.1, 1989, pagg. 57-58.
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