L’eredità di Andrei Zacharov
Giovedì sera 14 Dicembre 1989 si spegneva sul tavolo di lavoro, mentre era intento a preparare il suo intervento al Congresso dei Deputati del Popolo dell’U.R.S.S., Andrei Dimitrievic Zacharov, Premio Nobel.
La scomparsa del grande scienziato, padre della bomba atomica sovietica e tuttavia esiliato a Gorkij da Breznev per avere preferito ai privilegi e agli onori degli accademici ligi alla nomenklatura del regime neostalinista, la difesa coraggiosa della libertà intellettuale e della verità sulla situazione del suo paese e sui pericoli incombenti sul genere umano, ha costernato tutta la gente del mondo. «È una grande perdita – ha detto Gorbaciov -, egli era un uomo importante per la perestrojka. Era un uomo che aveva le proprie idee, i propri convincimenti. e li esprimeva direttamente, senza infingimenti». Più di un giornale lo ha definito, appena resa nota la notizia della sua improvvisa scomparsa, «l’interprete della coscienza morale del suo paese».
Seppi dell’esistenza di Zacharov nella prima metà di settembre del 1968, quando in una libreria di Conegliano Veneto, ove mi trovavo in qualità di commissario di esami di maturità, acquistai e avidamente lessi il suo opuscolo (già da tempo ciclostilato e privatamente diffuso tra gli intellettuali non conformisti dell’U.R.S.S.) «Progresso, coesistenza e libertà intellettuale» edito nell’agosto del 1968 dalla casa editrice Etas Kompass.
La lettura del libro mi ridiede un po’ di ‘quell’entusiastica e fiduciosa speranza di affermazione anche in Italia del socialismo dal volto umano che mi aveva trasfuso la lettura degli opuscoli di Dubcek e la primavera di Praga e che la susseguente repressione dei carri armati sovietici aveva spento.
Capii che non tutto era perduto, che uno spiraglio di luce e di speranza rimaneva per chi ama la giustizia e la libertà e per la salvezza stessa della vita e della civiltà del genere umano. Ebbi pertanto la sensazione di vedere nei concetti esposti da Zacharov lo specchio delle aspirazioni elementari e nel contempo universali di tutti gli uomini di buona volontà viventi sul nostro pianeta, e sinceramente rimasi frastornato e rammaricato nel leggere un articolo su “L’Unità” del 28-9-1968 di Giuseppe Boffa il quale, dopo avere messo in risalto le positive novità che trasparivano dal libro di Zacharov e concordato sulla necessità della libertà di discussione nell’U.R.S.S., scriveva: «È una pericolosa illusione quella di chi crede che i grandi problemi umani si possano risolvere con alcune intuizioni e sistemi da laboratorio. Simile metodo è scientifico (allusione questa alla scientificità sulla quale Zacharov diceva di basare le sue idee e aperture democratiche) solo in apparenza. Certo, non è democratico».
Ho riletto attentamente l’opuscolo e sono giunto alla persuasione ferma che Zacharov in esso appare non solo !’interprete genuino della coscienza del suo paese e del mondo intero, ma anche il profeta lungimirante degli avvenimenti che stanno rapidamente evolvendosi sotto gli occhi di tutti. Altro che pericolosa illusione quella che egli ci ha tramandato. Si tratta, invece, di una serie di idee cardine che hanno valore di certezze illuminanti e di binari sui quali non può evitare di correre la storia del genere umano, se vuole sfuggire al suo suicidio universale. Non è il caso in questa sede di recensire analiticamente Progresso, coesistenza e libertà intellettuale, ma alcuni suoi passaggi essenziali penso doveroso rinfrescare alla memoria di tutti.
Innanzitutto appare vero, oggi con luminosa chiarezza, che l’opuscolo zacharoviano rappresenta il risultato di un’ampia spaccatura determinatasi più di vent’anni fa nelle alte sfere del Partito Comunista, della classe dirigente e dell’intellettualità dell’U.R.S.S. e dello scontro già allora in atto sull’interpretazione della realtà dell’U.R.S.S. e del mondo. Ma soprattutto sorprende la lucidità premonitrice con cui vengono additati i principali pericoli che tutt’oggi incombono sull’umanità: la guerra nucleare, la catastrofe per fame per la maggioranza degli uomini, l’intossicazione prodotta dalla «droga» della cultura di massa, il dogmaticismo burocratizzato, i miti di massa generatori di capi demagoghi crudeli e impostori, la degenerazione e distruzione dell’ambiente naturale dovute alle imprevedibili conseguenze di rapidi mutamenti nelle condizioni di vita del pianeta.
Zacharov sostiene che tali pericoli possono essere neutralizzati solo se l’umanità supererà la sua divisione (la cui accentuazione egli definisce una follia criminale) fino a pervenire a un governo unico del mondo e del genere umano considerato (concetto ultimamente ripreso da Papa Giovanni Paolo II) un’unica famiglia mondiale, anche se distinta nei vari popoli per diversità di storia e di tradizioni. Inoltre egli pone come necessità inderogabile per l’evoluzione progressiva del suo paese l’introduzione dell’economia di mercato e l’affermazione del pluralismo, il superamento del burocratismo ossificato e in ciò egli coincide, per tanta parte, con il programma di svolta e di trasparenza inaugurato da Gorbaciov dopo le intese di pace con Reagan. Quanto alla libertà intellettuale, intesa come libertà coraggiosa di discussione, libertà dall’imposizione delle tesi ufficiali e dei pregiudizi, libertà di ricevere e divulgare informazioni, egli sostiene che essa è necessaria non solo all’U.R.S.S., ma a tutta la società umana e va difesa, onde prevenire le conseguenze estreme sperimentate con le dittature, dalle insidie della cultura standardizzata di massa, dalla viltà, dall’egoismo, dalla ristrettezza mentale e dalla censura.
Qui, appunto, il discorso di Zacharov vale anche per noi occidentali nei cui sistemi di capitalismo avanzato la democrazia è sempre in uno stato di equilibrio instabile, la libertà d’informazione minacciata dalla tendenza alla standardizzazione e alla pubblicitaristica concentrazione delle testate giornalistiche, editoriali e televisive nelle mani di pochi. Va anche aggiunto che nella nostra democrazia capitalistica non so quanti dei grandi intellettuali dell’informazione sarebbero disposti a rinunziare ai privilegi finanziari e «di potere» per proclamare apertis verbis tutte le verità di cui sono a conoscenza, come ha saputo fare Zacharov, se è vero che spesso nelle varie città e regioni gran parte di giornalisti ed emittenti locali dicono solo le cose che possono essere dette e se è vero che qualcuno che ha superato una certa barriera è morto ammazzato.
È inoltre sorprendente la chiarezza con cui lo scienziato Zacharov previde nel 1968 i danni all’ecosistema del pianeta provocati dall’inquinamento delle acque e dell’aria, dalla distruzione del patrimonio forestale, dall’uso dei composti chimici velenosi, dagli scarichi delle industrie e dei mezzi di trasporto, dall’anidride carbonica proveniente dalla combustione e provocante l’effetto serra, dalle sostanze chimiche velenose usate in agricoltura le quali «assorbite dal corpo umano e dagli animali sono causa di gravi danni al cervello, al sistema nervoso, agli organi del sangue, al fegato», dall’uso degli antibiotici nell’allevamento del pollame «che ha portato allo sviluppo di nuovi microbi portatori di malattie antibiotico-resistenti», dallo scarico dei detersivi, dall’erosione e salinizzazione dei terreni, dalla distruzione degli uccelli e degli animali non domestici e utili all’equilibrto biologico. Anche per la soluzione di questi problemi di dimensione planetaria nell’opuscolo si insiste sul concetto del superamento della divisione del mondo e sull’inadeguatezza dei provvedimenti di carattere locale o nazionale.
Ma la grandezza di Zacharov consiste non soltanto nell’aver previsto con ammirevole lucidità le riforme oggi in via di rapida attuazione nell’Est europeo e in U.R.S.S. con la fine delle monocrazie stalinistiche, con la fine del concetto del partito guida che era stato sancito come una specie di eterna immobilità nelle costituzioni dell’area del casiddetto «socialismo reale», con il trionfo del pluralismo, o nell’avere preconizzato l’avvio al disarmo e l’avvicinamento fra i due sistemi (statunitense e sovietico) fino alla loro fusione, avente come sede – carne hanno affermato Gorbaciov e Giovanni Paolo II – la «casa comune europea» e derivante, più che da accordi di vertice, da una mobilitazione democratica dei popoli attraverso un trasparente dibattito e consultaziani elettorali veramente libere.
La grandezza di Zacharov consiste nel fatto che i suoi insegnamenti valgono anche per i Paesi occidentali i quali, alla lunga, non potranno rimanere fermi nell’immobilismo di un tipo di democrazia anchilosata e viziata da tante corruzioni e criminalità maflose ed economico-politiche, chiusa all’alternativa perché dominata dall’alibi del pericolo proveniente dalla minaccia armata e dittatoriale dell’Oriente.
Gli insegnamenti zacharoviani sono preziosi anche per noi: quando egli denunzia il malcostume sovietica della designazione dei presidenti delle fattorie collettive in base a qualità come la furberia e il servilismo o quando condanna la compera di fedeli servitori del sistema esistente e propone un controllo pubblica più efficace sui manager, induce anche noi a fare un severo esame di coscienza e a renderci canto della necessità urgente di imboccare una via che restauri la genuinità delle scelte elettorali affinché esse non siano più condizionate dalle tangenti o dall’assegnazione di posti di una certa delicatezza e responsabilità ad incompetenti o a corrotti mediante concorsi più o meno truccati o mediante l’insulso metodo della lottizzazione e della corruzione. E che dire dei fatali e disastrosi errori derivanti – dice Zacharov – «dalle decisioni prese nel chiuso dei consigli segreti»? In questo campo i Paesi occidentali sono immuni o, per altro verso e per motivi diversi, anche da noi il potere economico e politico non rifugge dall’obbedire a decisioni occulte piuttosto che alle esigenze democratiche del bene comune? Se è così, i mutamenti dell’Est non potranno non provocare anche all’Ovest mutamenti ispirati alla genuina trasparenza democratica.
Un discorso e una rilevanza particolare meritano poi (e per noi occidentali degne di attenta e profonda riflessione) le sue considerazioni sulla manipolazione dell’informazione in quanto dominata da prevalenti interessi pubblicitari e commerciali, sull’uso della psicologia di massa che tende a «suggerire sempre nuove possibilità di controllo delle nom1e di comportamento e delle convinzioni delle masse, sui nuovi mezzi di controllo biochimico ed elettronico dei processi psichici», per cui i valori umani e lo stesso significato della vita rischiano di essere sconvolti e l’uomo può essere «ridotto al rango del pollo o del topo del famoso esperimento in cui esso viene ubriacato elettricamente con una coppia di elettrodi applicatigli alla massa cerebrale».
A proposito della cibernetica. egli dice testualmente: «Non si può ignorare il pericolo segnalato da Norbert Wiener nel suo libro Cibernetica: nelle macchine cibernetiche manca del tutto quel complesso di stabili norme di comportamento che sono invece presenti negli uomini. La tentazione di un potere senza precedenti affidato a un gruppo particolare in seno all’umanità dai sapienti consigli dei suoi futuri aiutanti intellettuali, gli automi capaci di pensieri artificiali, potrebbe diventare una trappola fatale». E così prosegue: «Se la libertà di pensiero non verrà difesa e se l’alienazione non sarà eliminata, questo genere di pericoli diventerà realmente attuale nel giro di pochi decenni».
Interessante è, inoltre, in Zacharov il frequente accenno alle forze comuniste dell’Occidente i cui programmi giudica di fatto essere più socialdemocratici che filostalinisti e alla funzione riformatrice e di freno degli eventuali eccessi propri del culto capitalistico dell’individualismo egoistico e sfrenato che esse sono chiamate a svolgere assieme alla borghesia illuminata e progressiva. Questa sua opinione sul futuro delle forze politiche di sinistra nel mondo occidentale poggia sul presupposto, che ha ampiamente dimostrato, dell’assoluta impossibilità di una rivoluzione nei paesi a capitalismo avanzato. La tesi di Zacharov non è di poco conto e certamente può essere utile a noi italiani nel momento in cui, dopo i grandi e rapidi eventi dell’Est e il crollo del più gigantesco tentativo di fondazione
di un sistema sociale basato sulla statalizzazione e burocratizzazione dei mezzi di produzione, i residui di una ideologia smentita dalla storia si attardano a fare fideistica professione di attaccamento a principi e a sentimenti che hanno soltanto apparenza di fuochi fatui.
L’opuscolo di Zacharov si conclude con una visione utopistico-fantascientifica del genere umano in conseguenza del superamento delle sue divisioni in blocchi contrapposti. All’orizzonte del prossimo futuro egli intravede, infatti, una vita completamente nuova in cui «migliaia di persone lavoreranno e abiteranno in altri pianeti, su satelliti artificiali e su asteroidi» e in cui si realizzerà «un effettivo controllo e una reale direzione di tutti i processi vitali … fino ad agire sui processi psichici e sul meccanismo della ereditarietà». Il tutto dovrebbe essere il frutto di una grande rivoluzione scientifica e tecnologica sotto una guida mondiale di altissimo livello intellettuale.
Il miraggio lumeggiato da Zacharov è per un verso affascinante per la stupenda dose di fantasia che contiene, ma per un altro verso lascia l’amaro della preoccupazione derivante dal dubbio che un manipolo di intellettuali, sia pure di altissimo livello, possa guidare il resto dell’umanità al perfezionamento democratico e libero del suo vivere o non piuttosto, sia pure attraverso la strada lunga della democrazia, a una specie di servaggio universale e al soffocamento di ogni soffio di umanità e, quindi, alla fine di ogni valore morale e spirituale.
Gaspare Li Causi
Da “Spiragli”, anno II, n.1, 1990, pagg. 59-62