L’io in-composto di Angela Scandaliato 

Algoritmi del Cuore, Palermo, ed. Il Vertice, 1987. 

Più che una coscienza inquieta, la poesia di Algoritmi del Cuore di Angela Scandaliato, con premessa di Gaspare Giudici e una post-fazione di Pino Amatiello, ci dà lo spessore di una coscienza «in-composta»,lacerata dal vuoto del fondamento delle «certezze consolanti» dove, profugo della ragione, l’io della poetessa cerca o si trova nei luoghi del labirinto, della memoria e del mito come un ritrovarsi retro, quasi un ritorno all’antico ma per interrogarlo. 

L’hybris si consuma attraverso una serie terminologica d’attacco pressante e senza indulgenza: brandelli (termine ricorrente anche nella prima raccolta della Scandaliato, Intermittenze mediterranee: quasi preannuncio), rifiuti, rottami, straniero, spettri, ecc., e una costruzione del verso libero dall’interpunzione e segnato dalla parola emblematica: Eros, Caos, Cosmos, Medusa, Grazia, Gioco, Sisifo, ecc., quasi a concretizzare, esistenziare, nel grafema e nella grammatica sintattica e semantica, questa situazione di angosciata interrogazione. Una interrogazione che erra nell’ambivalenza semantica della crisi: crisi come perdita di identità e crisi come scelta di un nuovo iter. 

La parola singola, che, nella composizione, si pone come verso d’attrazione particolare, e il mito, in Angela Scandaliato, spesso assumono uno statuto figurale, simbolico, che si fa carico, con tutta l’incidenza dell’allusività polisemica, di filtrare prismaticamente la realtà del presente, non escluso un pizzico d’ironia nei suoi esiti politico-culturali ed etici: «Le tue pause hanno il sapore/dell’acqua gasata tante bollicine/frizzanti sull’aridità che la zanzara/aggredisce ronzando sul biscotto/del vin santo spezzando eleatici sguardi d’esistenze intermittenti/E la morte di Dio e quella di Nietzsche/e l’ultimo canto di Saffo è il/nostro canto quotidiano» (ivi, p. 60). 

«Il tragico sommato/del tempo» di Angela Scandaliato, i cui addendi sono anche il linguaggio della nostra epoca tecnologica, se ha un procedimento «risolutivo», un algoritmo, è quello del cuore, di questo navigare nel mare (dove centro e periferia si dilatano infinitamentre come un labirinto che si slarga e cresce su se stesso) che ha il proprio «calcolo» – una posizione precisa, netta e chiara – nei confronti di quell’«ordine» e di quella verità intollerante per cui Garcia Lorca morde «canti del sale». 

Pascal, forse con Algoritmi del Cuore non divide più l’ésprit della ragione e l’ésprit del cuore. La loro con-fusione è in cammino? 

Antonino Contiliano 

Da “Spiragli”, anno I, n.2, 1989, pagg. 43-44.

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