L’itinerario umano e artistico di Germana Parnykel
Nel 1988 cadeva il decennale della morte di Germana Parnykel a Torre Pelice e il novantesimo della sua nascita a Kiev.
Un po’ per la singolare coincidenza di date, un po’ per la validità di questa donna inconsueta che tanto incise nella vita artistica italiana negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, l’Ente Mostra Nazionale di Pittura Contemporanea della città di Marsala ha voluto renderle un omaggio, curando una retrospettiva delle sue opere, con l’intento di recuperarne la memoria, i pregi e i meriti, e di ripresentare alle nuove generazioni una nobile e singolare figura di artista.
Un suggestivo profilo della pittrice e dell’autenticità dei suoi personalissimi valori artistico-culturali l’ha tracciato Gioacchino Aldo Ruggieri, dandoci un segno tangibile della grandezza della Parnykel. Un’altra bella testimonianza la dà Umberto Palestini che per l’occasione ha curato il catalogo: «Germana Parnykel è un’artista del Novecento di cultura cosmopolita, poliglotta, partita dalla Russia zarista con la convinzione che l’arte realista aveva una sua funzione sociale, oltre a contribuire a strappare il velo delle apparenze, purché supportata dalla forza delle idee: opere coerenti con il suo incrollabile credo nel valore dell’uomo e nella ricerca del vero. Essenzialmente ritrattista – con notevoli risultati nel paesaggio e nella natura morta – sonda attraverso questo tema il grande problema del superamento della fisicità anatomica, della schematizzazione somatica, per giungere all’unitarietà artistica in cui si esprime il rapporto inscindibile tra materia e spiritualità».
Ma, dopo averne contemplato le opere e dopo avere avuto l’occasione di guardare con gli occhi della mente e dell’anima i ritratti, i dipinti paesaggistici, le raffigurazioni dei gatti tra i comignoli e i «dammusi», le nature morte, i disegni, gli schizzi, le grafiche, cioè il patrimonio d’arte e di cultura che la pittrice ha lasciato agli eredi e ai tanti amici sparsi un po’ dovunque, si ha effettivamente la sensazione di trovarci al cospetto non delle solite dilettantistiche produzioni di un’artista di provincia, brava e inevitabilmente limitata dall’esiguità dei confini storici e geografici della sua vita, bensì di una grande, forte e tenera insieme personalità di elevatissimo talento che travalica i limiti del circuito nazionale.
Basti pensare al fatto che le testimonianze del suo impegno mai interrotto di interprete pittorica del mondo e della vita spaziano dalla raffigurazione del Contadino Tumminia di Calatafimi a quella di un’altissima palma che sorgeva davanti al porto di Marsala, da un quadrettino di paesaggio russo dipinto nel 1917, ove sembra aleggiare l’influenza di Kandiskiy, al ritratto della Contessa Sbordoni, in cui si avverte una potenza impareggiabile di penetrazione psicologica, dalle decorazioni proprie dell’iconografia russa alle immagini solari nostrane (Campagna romana del 1960 o Saline del 1954).
Abbiamo appreso dalla conversazione col figlio Oliegh – sia pure sommariamente – l’accidentato percorso della vita di Germana Parnykel e le tappe più significative della sua esperienza artistica.
Nasce a Kiev nel 1898 da una famiglia di nobile borghesia intellettuale (il padre, laureatosi a Colonia, era stato ingegnere costruttore della transiberiana); giovanissima studia a Mosca con due famosi maestri della pittura russa, le cui opere si trovano presso la Galleria Tretiakov e, cioè, con l’accademico Kassàtkin e con il paesaggista Iuon «premio Stalin per la pittura». Poi frequenta lo studio del pittore d’avanguardia Maskov.
L’incendio della Rivoluzione d’ottobre la sorprende a Odessa, ove si trovava con la famiglia per motivi di salute; da qui passa a Istanbul, rimanendovi per due anni e mezzo nell’angosciante attesa, mai soddisfatta, di ritornare in patria una volta che le acque si fossero calmate. Tra le opere più significative di questo periodo vanno ricordate Casa tartara e Tetti di Odessa, dove già il dosaggio dei colori evidenzia il tocco magistrale della Parnykel più matura. Ecco cosa dice Umberto Palestini: «Ne la Casa tartara del 1917, l’artista, attraverso piccoli tocchi di colore accostati con raffinato equilibrio tonale, esplora la lezione dell’impressionismo, movimento filtrato attraverso Iuon; ne i Tetti di Odessa del 1919, la composizione si iscrive in un rigoroso e severo ordine di campiture strutturate su elementi orizzontali e verticali, dove probabilmente la Parnykel tenta di fare propria la magistrale lezione cézanniana».
Successivamente, nel 1921, come gran parte degli indesiderati dalle forze rivoluzionarie, la famiglia Parnykel approda a Parigi, ove Germana frequenta l’Accademia di Belle Arti, soffermandosi nell’assidua contemplazione del Louvre e conoscendo da vicino le esperienze degli impressionisti e dei post-impressionisti. Poi è la volta di Venezia, 1926, dove consegue il diploma di Magistero e si dedica appassionatamente alla difficile arte dell’affresco.
Dal 1940 al 1941 ricopre l’incarico di lettrice di lingua russa presso l’Istituto Superiore di Commercio alla Ca’ Foscari, dopo aver conosciuto il marsalese Tommaso Giacalone Monaco, docente di economia e diritto, che sposerà nel 1931. Risalgono a questo periodo veneziano opere come Autoritratto con marito, Contadina ampezzana, Oliegh, dove la pittrice rivela un forte senso introspettivo nella perfetta simbiosi di colori e di tecnica.
A Marsala visse in dolce e schivo colloquio con l’ambiente dal 1946 al 1959, producendo buona parte delle sue opere. Leggiamo, in proposito, Palestini: «La tavolozza dell’artista esalta i suoi caratteristici colori marroni caldi, rossi, ocra – derivati dall’arte bizantina – immergendoli nella concertata sinfonia di tonalità chiare e luminose, riflesso della preziosa luce della Sicilia e omaggio allo splendido paesaggio marsalese come le Saline del 1954. Nello stesso periodo l’artista realizza due ritratti del padre in cui nella fierezza aristocratica dello sguardo si insinua una cocente malinconia, preludio anticipatore di una crisi esistenziale che Germana Pamykel avvertirà sempre più forte e che la porterà ad intraprendere un nuovo viaggio verso Roma nel 1959».
Il gusto artistico isolano a quei tempi non era certamente tale da capire interamente il valore della Pamykel e può darsi che l’esigenza di sentirsi più a proprio agio rabbia spinta a trasferirsi prima a Velletri e poi a Roma.
La prima affermazione della pittrice è del 1932 alla Galleria «Il Milione» a Milano, ove fu presentata da ugo Nebbia. Poi, seguono le altre tappe importanti dei suoi incontri col pubblico: una personale alla Galleria Charpentier di Parigi e altre in varie Gallerie di Venezia, la partecipazione nel 1938 alla XXI Biennale d’Arte di Venezia con Autoritratto e Carnevale a Istanbul e alla Quadriennale d’Arte di Roma. Negli anni di permanenza a Marsala espone alla Galleria Virzì e a Trapani. Va detto anche che prima di lasciare la Sicilia consegue il premio Selezione organizzato dall’Amministrazione provinciale di Trapani e conclusosi a Roma con una mostra a Palazzo Venezia.
Nel 1961 si afferma ancora con una personale alla Galleria «Il Traguardo» di Forte dei Marmi e nel dicembre del 1962 alla Galleria «Albatro» di Roma. Ottiene l’ultimo suo successo alla Galleria «Club Migros» di Losanna con una personale di olii, tempere, pastelli, nel dicembre 1977.
Dinanzi ad una produzione così vasta e molteplice, ad un’esperienza tanto travagliata e sofferta e ad un humus artistico-culturale veramente imponente, si è fatto bene a rendere omaggio alla memoria della pittrice con una retrospettiva delle testimonianze del suo ciclo pittorico.
È augurabile che a questa iniziativa dell’Ente Mostra Città di Marsala altre ne seguano e, soprattutto, è auspicabile che si dia impulso ad uno studio attento e approfondito della sua storia di artista inconsueta.
Gaspare Li Causi
Da “Spiragli”, anno I, n.1, 1989, pagg. 51-55.