Lucette Junod, Verso un’altra dimora, ed. La Meridiana, Palermo, 1991.
Il libro di poesie Verso un’altra dimora di Lucette Junod è stato tradotto in italiano da Amalia Contino e pubblicato a Palermo.
Lucette Junod, vivo il poeta mazarese Rolando Certa, frequentava gli “Incontri fra i popoli del Mediterraneo” che ogni due anni, voluti da Certa, si svolgevano a Mazara del Vallo.
Verso un’altra dimora è un classico della poesia che sottende una visione spezzata della vita e della realtà, motivo per cui gli esseri umani, inquieti e in pena, cercando le cifre di una ricongiunzione possibile, di erranza in erranza, con il poeta tentano: -Ah! Saltare oltre le barriere/E correre verso l’acqua viva/Che sgorga da sotto i deserti». Orfeo riprova la discesa agli “inferi” per una “Ambizione cosmica”, ma le sue soste trovano gli approdi del freddo (parola che ricorre molto spesso nei versi di Lucette, e quindi emblematica), della morte, del deserto (“Sogno/Follia/Demenza”, “Vibrazione di luna/Sul fascino /Al vortice del tempo”, “Feralie noturne” e “Gli effluvi di Néroli”.
Il linguaggio e lo stile, come ha fatto notare in prefazione Ida Rampolla, a questo punto, non possono che richiamarsi all’ermetismo e al simbolismo delle correspondances. Il verso ha l’andamento frammentato e una costruzione personalissima fatta, a volte, di versi monolessematici coesistenti, legati dalla tensione plurivettoriale del testo più che dalla sintassi dei singoli versi.
Il costrutto poetico della Junod, per rispondere all’assunto movimentato del proprio viaggio, risulta dinamicamente vivacizzato dall’uso della poesia in verso e in prosa, della pagina bianca e del verso bianco. Giocano anche la dispositio, la sostantivazione degli aggettivi (“feralie, nérule”), le contraddizioni semantiche (“Fiori morti sempre vivi”) e altre chiavi retoriche. In esergo la intertestualità petrarchesca.
Mi affascina pensare alla serittura della Junod come alla caduta della luce nel lago dello spazio-tempo della pagina bianca che provoca, per successivi e intrecciantesi cerchi e vortici, diversi “coni di eventi”. Qui la parola-evento del cono del passato condiziona la parola-evento del cono del futuro, rimanendo salva la “singolarità” dell’altrove -il verso dell’altra dimora- che si trova fuori dalla superficie dei due coni. In questo altrove, infatti, si possono saltare le barriere, vedere scorrere “l’acqua viva”, “…il sangue della memoria ferita” e “Immobile/In mezzo al deserto/La carovana” che “Insegue il suo sogno”.
I fotoni, di volta in volta, sono parole ricercate e raffinate, esatte, rapide, leggere e visibili come se seguissero le “lezioni americane” di Italo Calvino. Ci sono anche fotoni fossili, i “rumori di fondo” di versi assolutamente indecifrabili, ma complementari al dettato della poetessa svizzera.
Antonino Contiliano
Da “Spiragli”, anno IV, n.2, 1992, pagg. 66-67