di Jean Paul De Nola
Più di una volta – in altri momenti, piuttosto remoti, ed in altre sedi1 – ho avuto la grata occasione di attirare l’attenzione sulla presenza in Sicilia nell’inverno 1890-91 del romanziere francese Paul Bourget e della giovane moglie, Minnie David, e sulle ricadute letterarie di tale soggiorno.
La ricaduta più importante sarà il romanzo La Terre Promise, concepito nella capitale dell’isola – più precisamente nell’Hotel de France2 in piazza Marina -, steso tra settembre del 1891, a Beaulieu, ed aprile dell’anno successivo, a Roma, per essere pubblicato a Parigi nel 1892.
La trama del romanzo si svolge a Palermo da novembre 1886 a febbraio 1887, dunque più o meno la stessa stagione durante la quale lo scrittore aveva soggiornato in città, il che gli permette di darci osservazioni meteorologiche concordanti, e che lo sono rimaste. Il novembre siciliano, soave e luminoso, si oppone al novembre parigino, «freddo, sinistro e nero». Dicembre resta clemente, ma riserva anche giornate di pioggia torrenziale, di vento scatenato, di scirocco polveroso e bruciante, che contrasta con certe albe fredde dell’ inverno isolano.
Il titolo La Terre Promise potrebbe alludere alla città climatica di Palermo e alla sua Conca d’Oro, la cui aria pura garantiva – in quel tempo! – un miglioramento rapido per i malati e una guarigione completa per i convalescenti. Ma quella «Terra Promessa» indica piuttosto il lido sereno e piacevole ove presume di approdare uno scapolo parigino, Francis Nayrac, dopo aver lasciato il mare tumultuoso delle avventure prenuziali; si tratta della felicità tranquilla che il matrimonio con una giovane di ottima famiglia e alta moralità permette di sperare. Ma tale speranza non verrà esaudita, perchè il diavolo ci metterà la coda.
Nello stesso albergo che Nayrac ha scelto per trascorrervi un inverno gradevole in compagnia della fidanzata, Mademoiselle Henriette Scilly, e della futura suocera, convalescente, in quell’albergo – che Bourget chiama «Hotel Continental» – sbarca, senza averlo fatto apposta, la sua ex-amante, da lui accusata dei più neri tradimenti, ma la cui innocenza risulterà alla fine palese. Quella signora, Pauline Raffraye, diventata vedova, e gravemente malata, è madre di una ragazzina, Adèle, la cui paternità è da attribuire a Francis. Questi ritiene che Madame Raffraye sia venuta a Palermo per ricattarlo in presenza delle due donne virtuose, madre e figlia, che ignorano tutto del suo passato libertino.
A questo punto bisogna segnalare che Bourget si definiva – in qualche preziosa confidenza che ho raccolta nel mio libro Paul Bourget à Palerme (cit.) – «adolphiste», cioè incapace di troncare, al momento del matrimonio, ogni precedente legame, proprio come il protagonista dell’ Adolphe di Benjamin Constant non riusciva a formalizzare la fine del suo amore per ElIénore. Ora, con tre antiche fiamme il romanziere non si era ancora deciso a rompere definitivamente. Si tratta probabilmente di tre belle Israelite, tutte e tre maritate: la Triestina Louise Morpurgo, sposata con il banchiere Louis Cahen d’Anvers, la di lei cognata, Louila Warschawska, Ucraina, moglie del compositore Albert Cahen d’Anvers (che possedeva un castelletto settecentesco a Champs-sur-Marne), e Maria Warschawska, sorella di Louila e consorte di Edouard Kahn. Dobbiamo queste rivelazioni alla grossa monografia di Michel Mansu3, anche se ho dovuto «sollecitare» molto il testo di questo studioso, particolarmente discreto e reticente quando si tratta di svelare rapporti sentimentali, che lui sa annegare nel mare dei particolari eruditi.
Nei tormenti dove si dibatte il fidanzato Francis Nayrac è lecito vedere una proiezione autobiografica del timore di Bourget, novello sposo, di vedere apparire nella hall dell’ Hotel de France una di quelle tre pregresse «ispiratrici»: Louise, Loulia o Maria … Possiamo aggiungere che Minnie David, Ebrea anche lei, come le famiglie Cahen, Morpurgo, Poliakoff, Warschawska, e probabilmente Kahn ed Ephrussi – che Bourget frequentava a Parigi -, era stata «demoiselle de compagnie» in casa di Louise Cahen d’Anvers. E aggiungiamo ancora che Minnie «était persécutée par le souvenir du passé de son mari dont elle [était] jalouse si curieusement et rétrospectivement»4.
A proposito, come si comporta Francis in presenza dell’inaspettata signora? Si lascia prendere dal panico e si conduce maldestramente. Non riuscirà a farsi perdonare da Madame Raffraye le sue ingiuste offese, ma nello stesso tempo vede rompere irrevocabilmente il fidanzamento con Mademoiselle Scilly, la quale decide di votarsi ormai a Dio per espiare le colpe dell’ex-fidanzato, colpevole di aver abbandonato la piccola Adèle, colpevole soprattutto di aver mentito e recitato la commedia.
La Terre Promise appartiene alla seconda maniera di Bourget, quella che inizia nel 1889 con Le Disciple, per culminare nel 1901 con la conversione completa dello scrittore al cattolicesimo. Il romanzo ottempera quindi ad una triplice direttiva letteraria: la psicologia (analisi delle anime tormentate di Francis, Henriette, Pauline), l’idealismo (pittura dell’ alta borghesia, ben vestita e benpensante, della Belle Epoque) e la moralità (implicita condanna dell’ adulterio, del mancato riconoscimento dei figli naturali, della menzogna).
Esistono due testimonianze inedite sulla permanenza palermitana di Paul Bourget e di sua moglie Minnie David: i diari di viaggio della coppia, che ho potuto consultare nella biblioteca dell’Istituto Cattolico di Parigi, e anche citare e commentare nel mio articolo «Nouveaux témoignages sur la présence de Paul et Minnie Bourget en Sicile» (cit.). Ma laddove i quaderni napoletani del romanziere – pubblicati, insieme a quelli della moglie, da M.me Martin-Gistucci5 – contengono note erudite che svelano uno studio approfondito delle opere d’arte viste (chiese, tombe, statue, affreschi, quadri), non c’è nei diari palermitani del Nostro alcun accenno alla città di Palermo o ai paesaggi isolani. Non vi troviamo altro che commenti di letture, pulsioni narrati ve, qualche verso improvvisato, alcune citazioni di autori. Non c’è, ripetiamolo, alcuna annotazione relativa a monumenti od opere d’arte; a maggior ragione non c’è alcuna scenetta schizzata al vivo, alcuna menzione delle persone conosciute sul posto. Un tale diario Bourget avrebbe potuto tenerlo tanto a Parigi, a casa sua, quanto a Palermo, all’Hotel de France; non è affatto una relazione di viaggio.
Anche Madame Bourget ha lasciato nelle sue pagine siciliane solo appunti di letture, meditazioni, poesie, a parte due relazioni di gite fatte a Girgenti (in compagnia del principe Francesco Lanza di Scalea) ed a Segesta, tanto per far cosa gradita al marito: «Paul desidera che io scriva a memoria tutto quanto potrò ricordarmi sulla Sicilia, perché il nostro soggiorno in questo paese non rimanga senza frutto per il mio sviluppo morale»6.
Ma almeno il romanzo le cui vicende Bourget decise di ambientare a Palermo, La Terre Promise, l’avrà ispirato un po’ meglio di quanto lo lasciano presagire i suddetti diari di viaggio o anche quelle Sensations d’/tafie (1891), che non varcano lo Stretto di Messina? In altre parole: il romanzo ci offre un’evocazione di Palermo negli anni 1890? Temo proprio di no: questa città per lui non è altro che una scenografia teatrale. La trama si sarebbe potuto svolgere parimenti ad Algeri, al Cairo o nell’isola di Madera, gli altri luoghi climatici che i medici di quel tempo consigliavano ai propri pazienti.
La scena è allestita, non lo neghiamo: vediamo per esempio Villa Tasca, magnifico giardino subtropicale. Questo sito si presta ad una descrizione diurna e soleggiata (nel l° capitolo de La Terre Promise) e ad un’altra, notturna e sepolcrale, nel capitolo V. Romanticamente, le due descrizioni riflettono lo stato d’animo, prima sereno, poi disperato, del protagonista del romanzo. O vediamo l’ Hotel Continental, costruzione ottocentesca che doveva sorgere nell’area occupata oggi dal parcheggio del Jolly Hotel: l’edificio era dotato di un terreno da tennis, di una cappella anglicana e di un tempi etto greco. Ma probabilmente il romanziere ha inventato quell’Hotel Continental, perché il fabbricato di cui i vecchi Palermitani conservano la memoria non era destinato a funzioni alberghiere.
Comunque, dalle finestre della rotonda di quell’albergo immaginario si scopriva un triplice panorama: il mare; il Foro Italico (già Borbonico), i due porti (mercantile e di diporto), il Monte Pellegrino; la città e la Conca d’Oro.
L’autore ci porta a spasso nel Giardino Inglese, nei cui dintorni Madame Raffraye affitterà un villino; si passa da Monreale e dal sobborgo della Rocca; troviamo qualche accenno alla Cattedrale, ai musei, ai Quattro Canti di Città. Ma Bourget non si ricorda il nome del Corso Vittorio Emanuele, che fu il Cassaro degli Arabi, la Via Marmorea dei Normanni, la Via Toledo degli Spagnoli. D’altronde anche Goethe, nella /tafienische Reise, si mostra poco preciso: parla semplicemente della «strada più lunga», che percorre la città «dal mare fino alla montagna» (che sarebbe l’attuale Corso Vittorio Emanuele, con il prolungamento di Corso Calatafimi).
Tutto questo rimane visibilmente una scenografia composta di alcuni must turistici. Nessun rapporto lega i quattro principali personaggi, frequentatori di Cosmopolis, alla popolazione cittadina. Appena troviamo un riferimento alla «strette botteghe dove i mercanti stanno silenziosi ed indifferenti come nei bazar turchi» ed alle «vetture cariche di finocchio e dipinte con scene rozzamente colorate». A prescindere da questi due accenni rapidi, il popolo ed il colore locale non occupano nessun posto nel libro; questo non deve stupirci, perché nel 190l vedremo che i quaderni napoletani del romanziere non daranno spazio all’atmosfera particolarissima della città più pittoresca d’Europa (anzi, la sola città orientale che non abbia un quartiere europeo, come disse un viaggiatore).
Dirò di più: non solo i personaggi della Terre Promise non hanno contatti con il popolo, non speravo tanto, ma essi non tengono rapporti con i ceti alti della città dove trascorrono quattro mesi della propria vita. «Non conosciamo nessuno in città», dice Madame Scilly. E infatti la signora, la signorina e il giovane non prendono i pasti nella sala da pranzo dell’albergo, possibile luogo di socializzazione, ma nel salotto della propria suite; essi non visitano quasi mai la sala di lettura dell’esercizio, scendono a malapena in giardino, hanno portato con sé i propri domestici da Parigi. Guardando da più vicino, scopriamo che frequentano lo stesso, per necessità, alcune persone: alla cattedrale, il confessore, Francese per caso; il medico che hanno scelto, il dottor Teresi, che ha lo studio in via Maqueda e parla ottimamente la loro lingua; gl’impiegati della banca7 dove i nostri villeggianti hanno a che fare, impiegati che Mademoiselle Scilly tratta comicamente da «maffiusi» (alla siciliana, ma con doppia f).
A questi tre tipi di frequentazione forzata – il prete, per la salvezza dell’ anima, il medico, per la salute del corpo, la banca, per i bisogni del portafoglio – si aggiunge, pure per forza, la figura del proprietario dell’ albergo, il cavaliere Francesco Renda, ma si tratta di un personaggio talmente senofilo e anglomano che egli rimane Italiano solo per l’anagrafe: mandava a Londra il bucato da lavare!
Neanche Pauline Raffraye conosceva a Palermo qualcuno al di fuori del proprio medico.
Nondimeno Paul e Minnie Bourget avevano conosciuto la buona società isolana durante quei mesi della loro permanenza: esponenti dell’ aristocrazia, come i principi Lanza di Scalea, Lanza di Trabia e Tasca di Cutò; letterati come Ferdinando di Giorgi, Federico De Roberto, Giuseppe Pipitone Federico, Ignazio Virzì; giocatori al Club Geraci8 ed al Circolo degli Avvocati; andavano talvolta a teatro (Garibaldi, Mangano, Massimo). Si ha l’impressione che la coppia francese considerava Palermo una città coloniale, dove gli stranieri escono raramente dai quartieri «bianchi». Sappiamo che, se Palermo possiede certi rioni di origine e apparenza araba, ne ha altri, contrariamente forse alla Napoli ottocentesca, dove ci si potrebbe credere a Parigi o a Milano. Fino a ieri qualche signora degli ambienti consolari si spostava unicamente dal Circolo della Vela a Villa Igiea e dali’ Hotel des Palmes al Club dell’Unione, ignorando tutto della miseria, dei misteri e del fascino dei quattro antichi mandamenti. A dir il vero, bisogna osservare che gli amici siciliani dei Bourget non facevano nulla per incoraggiare l’interesse per gli aspetti popolari della città. Non leggiamo nel diario intimo di Ferdinando di Giorgi9 che un movimento di curiosità dei coniugi Bourget che li spinge ad entrare in un teatro dei pupi è oggetto della sorpresa un po’ scandalizzata del giovane dandy? In ogni modo, né l’osservazione del ceto basso, né l’amicizia con la gente più raffinata hanno lasciato tracce nel romanzo, forse neanche nella memoria di Paul Bourget. I personaggi del suo romanzo si muovono dunque davanti ad una scenografia di cartapesta.
Il resto della Sicilia non è trattato meglio della capitale, se eccettuiamo un viaggio in ferrovia da Palermo a Catania10, che fa apparire agli occhi di Francis Nayrac alcuni scorci sul paesaggio: mare, monti e pianure. Catania è definita «una strana città dove le circostanze lo imprigionavano». Quella «stranezza» della città etnea non è spiegata, ma la possiamo attribuire facilmente alla nerezza della pietra lavica servita alla ricostruzione, e alla monotonia della pianta urbana, tracciata con la funicella dopo il disastroso terremoto del 1793.
I dintorni della città, per quanto aspri siano, svegliano un certo interesse nel romanziere ed offrono un contrasto con il paesaggio ameno che circondava Palermo. Contrariamente alla teoria romantica della natura vista attraverso uno stato d’animo – il paesaggio sembra allegro quando siamo felici, pare triste quando riflette la nostra tristezza11 – Bourget crea qui un’opposizione a forma di chiasmo: angosciato, Francis non sopportava più l’orizzonte tranquillo di Palermo, mentre la cupa landa etnea gli procura quasi un sollievo.
Si può concludere che, sia nella Terre Promise che in un successivo romanzo, ambientato a Roma, Cosmopolis (1893), le due città – il capoluogo dell’isola e la capitale nazionale – forniscono all’azione dei due romanzi solo uno sfondo intercambiabile, dato che Bourget non vuole dipingere un ambiente caratteristico, ma l’alta società internazionale, chiaramente spersonalizzata, e che egli mira soprattutto alla «verosomiglianza complessiva», per forza un po’ opaca, del paesaggio urbano e naturale12.
Jean Paul De Nola
NOTE
1 Paul Bourget à Palerme et d’autres pages de littérature française et comparée (Paris, Nizet, 1979). Il volume contiene quattordici lettere inedite di Paul Bourget nonché un «pasti che» dello stile del romanziere francese, Un viaggio di Larcher in Sicilia, dovuto allo scrittore palermitano Ferdinando di Giorgi (1869-1929).
– «Nouveaux Témoignages sur la présence de Paul et Minnie Bourget en Sicile», in: Paul Bourgel el l’Italie, a cura di Marie-Gracieuse Martin Gistucci (Genève, Slatkine, 1985). Quel mio saggio riecheggia i diari dei coniugi Bourget in Sicilia e contiene sei lettere inedite al principe e alla principessa Lanza di Scalea.
– «Palermo, città climatica» , in : Palermo, mensile della Provincia, agosto-settembre 1994, pp. 60-61.
2 Più tardi trasformato in Casa del Goliardo e recentemente restaurato, a cura dell’Università di Palermo, sotto il Rettorato del prof. Giuseppe Silvestri.
3 Un Moderne, Paul Bourgel, de l’enfance au Disciple, Paris, Les Belles-Lettres, nouvelle édition, 1968.
4 Estratto dal diario intimo di Giuseppe Primoli, citato da Silvia Disegni , «Lettres de Bourget au comte Primoli», in : Revue d’Histoire Littéraire de la France, juin
2009, pp. 427-448.
5 Journaux croisés, s.1. (Chambéry), Centre d’études franco-italien, Universités de Turin et de Savoie, 1978.
6 Traduco una citazione del diario di Minnie Bourget, riportata in «Nouveaux Témoignages…» (cit.).
7 Tale banca, il Credito Siciliano Orientale, si sarebbe trovata pure in via Maqueda, in un palazzo antico costruito per un luogotenente di Pietro d’Aragona. Ma le guide
dell ‘ epoca non menzionano nessun istituto bancario di questo nome.
8 Nell’omonimo palazzo sul Corso Vittorio Emanuele, rimasto diroccato dalle bombe della seconda Guerra mondiale.
9 Di cui ho citato alcuni brani in Paul Bourget à Palerme, ciI.
10 Il percorso durava quasi otto ore più di un secolo fa; oggi tre ore, purché non intervengano ritardi o scioperi. Ma una lettera arrivava in ventiquattro ore da Palermo a Catania; nella stessa città giungeva anche in giornata.
11 Come sopra abbiamo potuto costatare nell’evocazione diurna e notturna di Villa Tasca.
12 Marcello Spaziani ha illustrato, nel saggio «La Roma di Paul Bourget» (in: Paul Bourget et l ‘ltalie, cit.), il procedimento di «photomontage» con cui Bourget ha evocato la Città Eterna in Cosmopolis.
Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pagg. 17-21.
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