Santino Spartà, Mi sono innamorato, Roma, Ed. Dossier, 1994, pagg. 48.
Imbattersi in un sacerdote-poeta non sarebbe un evento eccezionale, eccezionale lo è se di lui scrivono critici illustri come Mario Sansone, Giacinto Spagnoletti e tanti altri non meno illustri. E, allora, apri con rispetto questo recente libro di don Santino Spartà dal titolo già accattivante “Mi sono innamorato”. Un titolo sollecitante quando la profferta d’amore è rivolta alla “Divina Presenza”, “Divina Presenza”, caldamente invocata dalle quarantotto pagine di questo bel libro nel quale c’è tutta la storia di un’anima che tende all’assoluto e che continua a colloquiare ininterrottamente con il suo Dio pur non ricevendo risposta alcuna. Ma la forza delle invocazioni matura un rapporto che a volte porta allo sconforto.
Il Poeta è innamorato del suo Dio e a Lui affida le proprie vicissitudini, le prorpie pene, le confessioni dei propri errori. A volte, leggiamo pagine così originali da spingerci a tornare sulle righe; e parliamo di quella lirica a pag. 46 dal titolo “Da quel mitico faraglione” che è un esempio eclatante della carica singolare di Santino Spartà: “Da tutti i luoghi ti telefono…” “Ho chiamato a un altro numero…” “È proprio così difficile parlare con te, Signore o i tuoi segretari non capiscono l’urgenza di un colloquio?” Mai avevamo letto qualcosa di così originale e l’intera poesia meriterebbe di essere chiosata riga per riga.
Ma, a prescindere da questa nostra scarna notazione (non siamo dei critici) il nutrito curriculum del sacerdote-poeta Spartà ha precedenti risvolti abbastanza noti e riconducibili a nomi altrettanto noti come quelli di Rebora e di padre David Maria Turoldo, anche se con stili diversi ma pur sempre di intensa religiosità.
Quel che distingue Santino Spartà è la sua spontaneità, la vivacità del suo dettato, il florilegio delle sue tante opere e, soprattutto, la sua spiccata personalità che a qualcuno potrebbe sembrare poco idonea alla sua veste talare. Ma è questione di esteriorità, “in interiore hominis habitat veritas”.
Irene Marusso
Da “Spiragli”, anno VII, n.1, 1995, pag. 61.