Dalla fine di Giugno al 30 Settembre 1989 l’Ente Mostra di Pittura di Marsala è balzato all’attenzione della stampa italiana ed estera per essere stato sede dell’esposizione di 54 figurini allestiti da Mario Sironi nel 1933 per le scene della Lucrezia Borgia di Donizetti al I Maggio Musicale Fiorentino. Si tratta di bozzetti che suscitano curiosità e allietano l’occhio del visitatore per la vivacità figurativa e per la gioiosa varietà cromatica e ci fanno pensare a quanto stretta sia stata in Sironi la perizia del disegno e del colore con la passione del ricercatore e dello studioso della moda e delle consuetudini delle corti rinascimentali. La storia del ritrovamento dei figurini, dovuto a Mario Penelope, è ampiamente esposta nel n. 3 della rivista ?AR?E in? e nell’esauriente catalogo Sironi – i figurini ritrovati stampato dall’Ente Mostra di Marsala presso l’editore Mazzotta (Milano), con la collaborazione, appunto, di M. Penelope, C. Marchegiani (organizzatrice dell’esposizione), E. Pontiggia e del musicista-musicologo G. Petrassi. La mostra dei figurini ha avuto lo scopo preminente di voler contribuire – ha scritto Penelope – ad affermare il posto di spicco che Mario Sironi, assieme a Casorati e a De Chirico, ebbe nell’?azione di rinnovamento della scenografia italiana portata avanti negli anni Trenta/Quaranta, che determinerà uno straordinario mutamento nei criteri estetici e funzionali della messinscena?, fino ad allora basati sulla stantia e stanca concezione della ripetitività e fissità dello sfondo scenico. Se lo scopo sia stato raggiunto non è facile asserirlo, ma indubbiamente con l’esposizione dei figurini di Sironi Marsala ha offerto “alla storia dell’arte, non solo italiana (se veramente negli anni Trenta/Quaranta Firenze – secondo l’aspirazione dell’ala culturale impersonata da Pavolini ed ostacolata dal rozzo e gretto conservatorismo di Roberto Farinacci – svolse la funzione di «palestra rinnovatrice della scenografia europea»), un importante tassello mancante del complesso profilo artistico e culturale della seria e inquieta personalità di Sironi. Certo è che con il ritrovamento dei figurini e con l’argomentata illustrazione che se n’è fatta vien fuori un altro suggestivo lato del prisma affascinante che fu, e sempre più va definendosi, Mario Sironi, il lato dello sceneggiatore. Si può infatti ammettere ancora oggi che Sironi negli anni precedenti la 2a guerra mondiale fu, suo malgrado e senza ombra di servilismo opportunistico, al centro del fragore plaudente ed interessato di certa critica «ufficiale» la quale mirò ad evidenziare di più gli accenti enfatici ed ipertrofici di alcune figurazioni architettoniche o monumentalistico-celebrative. Eppure non si può negare la forte tensione morale e culturale di un uomo che sperimentò e seguì le fasi dell’arte pittorica italiana ed europea del ‘900 mantenendo integra la sua autenticità, propugnando e forgiando teorie artistiche come quella del «Novecento storico», la quale tanta parte ebbe nell’evoluzione della pittura fino ai nostri giorni e nell’avviamento al successo di tanti pittori ancora viventi, o come quella contenuta nel «Manifesto della pittura nurale» sottoscritto assieme a Carrà, Funi e Campigli. Né si può negare il suo ruolo di messaggero dell’arte italiana all’estero e di interprete onesto e serio della società del suo tempo, a tal punto coerente da subire gli strali di Farinacci per la sua presunta arte bolscevica e antitaliana e da essere per sempre escluso dalla partecipazione alla Biennale d’Arte di Venezia. Fu anche vignettista e caricaturista, illustratore e grafico di giornali e riviste di alto livello culturale, disegnatore eccelso, critico d’arte, scultore, decoratore, architetto.
Tutti questi aspetti dell’arte e della vita di Sironi, oggi, dopo l’oblio e la coltre dei pregiudizi successivi al crollo del fascismo, vanno approfonditi e volti alla ricerca del filo unitario che li collega. È questo insomma il compito essenziale dell’opera di riconsiderazione e rivalutazione equilibrata e disinteressata della questione sironiana. A tale scopo il catalogo Sironi – (figurini ritrovati fornisce una ricca bibliografia, utilissima a chi voglia avventurarsi in una ricerca seria ed efficace. A noi piace sottolineare che anche a questa domanda di ricerca dell’unità nella molteplicità sironiana la mostra di Marsala ha cercato di dare un tentativo di risposta, quanto meno perché assieme ai 54 figurini della Lucrezia Borgia ha offerto ai visitatori, venuti da ogni dove, la visione di 58 opere tra dipinti a olio e tempera, manifesti pubblicitari, schizzi e disegni a carboncino, a inchiostro, a matita, che abbracciano tutto l’arco della produzione sironiana dal 1902 al 1960. Sorprende nel confronto di tali dipinti con i figurini la differenza di tonalità cromatica: vivace nei bozzetti scenografici e prevalentemente solenne nei dipinti. Ma negli uni e negli altri predomina la scrupolosa serietà del segno e delle linee. Un’altra questione da affrontare nella ricerca su Sironi è la diversità del suo stile di vita e della sua produzione artistica degli anni successivi alla 2a guerra mondiale rispetto a quelli antecedenti. Nel periodo che precede la guerra si avverte una diffusa tendenza a non disdegnare le plaudenti frequentazioni e cerimonie pubbliche e a rivolgere messaggi «costruzionistici» all’utenza sociale dell’arte fino al punto di sentenziare il ripudio del quadro da cavalletto, perché – diceva – serviva solo per la distrazione del proprietario, per l’intimità del salotto e il gelido e marmoreo silenzio delle pinacoteche. Dopo la guerra, e sino alla fine della sua vita, Sironi si chiude in se stesso, dentro una solitudine asociale e scontrosa della quale mi sembra sia la più emblematica parossistica e sublime trasposizione quel dipinto famoso, l’Invocazione o l’Urlo, che avemmo modo di ammirare nella 1a Mostra Collettiva Nazionale di Pittura Contemporanea svoltasi a Marsala nel 1961, anno stesso della morte del pittore.
La soluzione della questione, intrecciata implicitamente con quella dell’evoluzione materica della sua pittura, non è facile. Ma può azzardarsi l’ipotesi
che il crollo di un’epoca e dei sogni esistenziali e prospettici ad essa connessi abbia inciso profondamente nell’animo dell’artista fino a fargli intendere che tutto ciò che l’uomo presume di costruire finisce travolto e distrutto dagli eventi inevitabili del tempo e che l’unica architettura che resta eterna, fino a identificarsi con il Dio da lui negato per tutta la vita e forse invocato nel dipinto l’Urlo, è la materia o natura che dir si voglia. A tal proposito mi pare che il giudizio più valido e più sintetico sulla pittura di Sironi sia quello espresso da Massimo Bontempelli che magistralmente così definisce l’oggetto delle prevalenti e conclusive attenzioni pittoriche dell’artista: «un mondo millenario che pare prosciugato dai miliardi di occhi che lo hanno veduto esistere».
Gaspare Li Causi
Da “Spiragli”, anno I, n.3, 1989, pagg. 51-53.
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