A. Cremona, Sogno d’Aldonza, Siracusa, Edizioni dell’Ariete, 1989, pagg. 77, L. 10.000.
Non è facile imbattersi in un libro così agile come questo Sogno d’Aldonza di A. Cremona, agrigentino, alla sua prima esperienza di «teatro in musica», ma con un solido retroterra culturale e artistico. Basta solo ricordare la sua militanza nel campo della poesia (Occhi antichi, 1957, L’odore della poesia, 1980, per citare alcuni dei titoli più importanti) per renderci conto come questo lavoro sia «teatro di poesia» o, meglio, teatro dettato dall’animo sensibilissimo di un poeta di tutto rispetto.
Partendo da un fatto realmente accaduto in Val di Noto,nella Sicilia orientale, Cremona ci dà una prova di scavo psicologico e di grande umanità, perché alla base della vicenda pone il sogno d’amore di Aldonza Santapau, bella nobildonna innamorata del marito, Antonio Piero Barresi, barone di Militello in Val di Catania.
L’azione, con struttura circolare, si svolge in due tempi. Oltre ai protagonisti, come personaggi, troviamo un Mimo, alcune Voci e delle Donne. Nel primo tempo, come se la tragedia si fosse consumata, la condanna e poi la commutazione della pena di Barresi, mentre Aldonza, inizialmente incoraggiata dalle donne, si prepara ad un duetto che, se a prima vista può sembrare un canto d’amore, ha in sé oscuri presagi.
Aldonza «Mi parli, nel vento, la tua voce. La brezza sparge ossute spine, lungo il sipario degli ontàni…
Barresi In ciclo rocca – dove uomini-nibbi si scavano nidi – infrange il sole, nuvole, nel vento» (pag. 41).
Ma ai sogni di Aldonza, tutti rivolti al marito, s’intrecciano altri sogni, si sciolgono e s’intrecciano per giungere all’epilogo. L’idillio dei due è minato dalla malvagità propria degli uomini che non finiscono di tramare oscuri complotti. Nel secondo tempo, dopo un crescendo sempre più marcato, l’entrata in scena e l’annuncio del Segreto, poi la furia punitrice di Barresi, accecato da una folle gelosia che lo rode. A predominare e ad imporsi non è Antonio Barresi, ma Pietro Caruso, il Segreto, che rivela una forte personalità, tanto coraggio e un amore sofferto, nascosto sino allora nel profondo del suo intimo.
«Segreto – (con i polsi legati) Qualunque cosa vi dica, il mio destino è fatto; l’avete composto voi, con la vostra ira. Così, voi – che potete tutto – vi trovate in mio potere. Credete di avere scolpito meglio il mio destino – la mia fine – con la vostra ira; ma proprio la vostra ira – contemporaneamente, insieme – vi devia il destino: l’affida a me, alla risposta che mi chiedete, e siete voi stesso a chiederla. A determinarla, in modo che vi ferisca; che a sua volta, vi uccida. Più misero di me vi vedo, potentissimo signore. La verità (scandisce) che non vi ho offeso. Ma – a questo punto – se lo avessi fatto, come – voi – volete credere, con acuminata ostinatezza: qui vi dico, tra le fustigazioni brucianti – e la ruota che taglia l’anima – e le vostre tenaglie, tremende, in punto di morte vi dico – se l’avessi fatto – l’unica cosa sensata sarebbe tornare a farlo» (pag. 71).
Sergio Campailla, nell’Introduzione, ha bene identificato nel Segreto Cremona stesso che non può non dire la sua a difesa di questa giovane, attratto, appunto, dai sentimenti profondi che ancora la legano, nonostante tutto, al marito.
Questo di Cremona è un amore nell’amore, un sentimento forzatamente
represso per paura di offendere lei, Aldonza Santapau, nella bellezza e nel suo sentire.
Teatro di poesia, si è detto. Ed è, questa, un’opera di alta poesia, profondamente vissuta e sofferta, meditata in ogni parola, in ogni scansione, nel ritmo sapientemente dosato e orchestrato con rara efficacia e tanta abilità.
Ugo Carruba
Da “Spiragli”, anno II, n.2, 1990, pagg. 44-45.
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