VINCENZO NOTO, Vendiamo grazie a Dio, collana di narrativa e diaristica, «Mondi d’ogni giorno», Ila Palma, Palermo, 2008.
Un libro di narrativa, del genere dei racconti lunghi, certo tra i più riusciti, nell’intensa e molteplice attività di pubblicista e di saggista di Vincenzo Noto.
Si tratta però di un tipo di narrativa con un preciso carattere di impegno sociale, dato che in esso è ben chiaro, anche se implicito, un messaggio invogliante i lettori in generale e quanti ne hanno il compito specifico in particolare a svolgere attività umanitaria e/o di recupero in favore di quegli umili la cui esistenza è travagliata da sofferenze di vario tipo.
Il libro, infatti, racconta le varie opere di aiuto compiute da un generoso sacerdote, che è poi lo stesso Narrante, a beneficio di un pover’uomo, Nonò, quasi quarantenne e di limitate capacità mentali, sfortunato fin dalla nascita perché la madre gli morì nel partorirlo. Non avendo imparato alcun mestiere, Nonò sopravvive aiutato dalla sorella, ma questa, quando si sposa, lo deve mandar via di casa per obbedire alla volontà del marito. Venuto così a trovarsi in povertà totale, Nonò si sostenta con le elemosine che raccoglie frequentando tutte le sere una chiesa e che va a spendere in una vicina osteria, pagandosi da bere più che da mangiare, fino a ubriacarsi. Una sera, durante la messa, a chiusura della lettura del Vangelo, dà a mo’ di risposta le parole che formano il titolo del libro. La frase rimane senza spiegazione, suscita qualche risata nel corso di una riunione intesa a discutere di carità e, subito dopo, la benevola curiosità di don Vincenzo che, commosso dalla triste sorte di quell’infelice, si impegna come meglio può, e badando a evitare la scuscettibilità del suo protetto, a procurargli cibo, scarpe, vestiti, altre utilità e, soprattutto, a dargli il conforto di una saggia guida.
Nonò si affida pur con qualche riserva istintiva al suo benefattore, ma non sa liberarsi dal vizio del bere, sicché si ammala di una cirrosi che non perdona. Muore assistito dal generoso sacerdote, dalla sorella che lo stesso sacerdote ha rintracciata superando tante difficoltà, e da molti compagni di osteria, di cui l’Autore fa notare la solidale presenza. È venuta anche Carmelina, una ragazza per la quale «Nonò era stato l’uomo della sua vita e forse lo amava ancora».
Questa, in sintesi, la ‘materia’ dell’opera, una ammirevole successione di atti di esemplare umanità attestanti nel senso più completo il vero valore pratico del concetto di amore del prossimo, specie di quel prossimo che soffre le conseguenze di una vita particolarmente penosa e che tuttavia spesso dà prova di conoscere i buoni sentimenti e di praticarli. Eppure tante volte questi nullatenenti incorrono nell’incomprensione e nelle critiche, ora severe ora ironiche, dei benestanti. Sono critiche che l’Autore garbatamente biasima, in difesa di una classe sociale che ha pure buone qualità umane e quindi merita una valutazione più serena e solidarietà operosa.
Altro aspetto positivo dell’opera sono i meriti letterari del linguaggio, ben valido quanto a precisione del racconto, a descrizione di ambienti, a caratterizzazione dei personaggi, e nel suo essere efficacemente comunicativo.
Antonino De Rosalia
Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 61-62.