VINCENZO SCALIA, Reato estinto, la giustizia minorile italiana, collana di studi socio logici «Processi culturali», I.l.a Palma, Palermo.

 Una filosofia della tolleranza nella giustizia minorile italiana 

Le politiche di tolleranza zero degli ultimi anni hanno avuto nella giustizia minorile uno dei noccioli duri. Nel Regno Unito il governo laburista di Tony Blair ha puntato sulle nuove disposizioni in materia di giustizia minorile previste dal Crime and Disorder Act per accattivarsi le simpatie di quella porzione di opinione pubblica che invocava a gran voce speciali misure di legge. La Francia non è stata da meno, coi nuovi provvedimenti che abbassano l’imputabilità a 13 anni e coinvolgono la polizia nella gestione delle scuole, in particolare quelle dei quartieri a rischio. 

L’Italia sembrava immune da questa ondata di panico morale. «È vero, il nostro sistema giudiziario minorile non è immune da pecche.» Lo sottolinea Vincenzo Scalia, docente di Sociologia generale, presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Palermo, nel suo libro sulla giustizia minorile italiana, in tre capitoli: il primo, A Lesson in Tolerance? Juvenile Justice in ltaly, è sul numero di giugno 2005 della rivista inglese «Youth Justice»; il secondo è Sanzionare e sostenere. l minori stranieri presso il Tribunale minorile di Bologna; l’ultimo, La reazione alla criminalità minorile in una città del benessere, riprende studi apparsi su «Sociologia del diritto». 

L’autore inquadra il sistema giudiziario all’interno di una filosofia della tolleranza, che ispira l’implementazione di policies finalizzate a tenere i minori accusati o colpevoli di comportamenti illegali al di fuori del circuito penale. Dal suo punto di vista, incentivando l’uso della risorsa penale con pene più lunghe, si finirebbe per minare i delicati equilibri che regolano il sistema penale e minorile. I minori condannati a lunghe pene detentive, privati di contatti con la società o marginalizzati nel periodo più delicato della crescita, sarebbero più facilmente suscettibili di intraprendere una carriera criminale. In altre parole, ci troveremmo di fronte alla definitiva affermazione della sfera penale come strumento di regolamentazione di problematiche sociali che necessitano di altri tipi di risorse. Educatori e assistenti sociali diventerebbero figure residuali e il cerchio della tolleranza zero si chiuderebbe. La tolleranza del sistema si gioca, invece, attorno alla disponibilità dei minori devianti ad accettare il piano di sostegno proposto dagli operatori. Però è vero che la tolleranza della giustizia si arresta sulla soglia della nazionalità. Basti pensare alla sovra-rappresentazione di migranti e nomadi all’interno degli istituti penali minorili (attorno al 57%). Ciò accade non per razzismo, ma in seguito alla mancanza da parte dei minori stranieri di un’accurata conoscenza dei codici culturali italiani, nonché di una adeguata rete familiare e amicale. Il retro terra ideologico che alimenta le pratiche quotidiane del tribunale minorile bolognese appare costituito dalla scelta di limitare l’utilizzo della risorsa penale. Tale scelta non è però ispirata da princìpi di tipo giuridico, quanto da un approccio fondato sul senso comune rintracciabile nella cultura familistica italiana, che vede nel minore un soggetto che necessita di protezione e ammonimenti da parte degli adulti. 

Dora Maran

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pagg. 49-50.

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