Nato a Eisenstadt (Burgenland) nel 1939, Walter Grillenberger si è affinato nell’Istituto superiore d’insegnamento di Vienna Strebendorf, in particolare – per qiuanto riguarda le discipline artistiche – alla scuola del Kuhn. Dal 1970 insegna educazione artistica, a Salisburgo, nelle scuole superiori.
La sua partecipazione a mostre inizia nel 1965, Jugendring di Innsbruck. Le sue mostre personali, invece, cominciano nel 1974 a Oberwart; e si svolgono a Salisburgo, St. Johann, Hallein, nella sua città natale. Adesso la sua esposizione personale «Prospettive astratte», promossa dal ministero federale austriaco per l’Istruzione, a Roma nell’Istituto austriaco di cultura (che, da anni, svolge un’attività variegata e intensissima).
I dipinti ad olio di Walter Grillenberger – come ricorda Michael Stadler, in catalogo – «mostrano una forte influenza del cubismo, la cui caratteristica è» la «trasformazione delle forme visive in geometriche e piane. Come i cubisti egli tratta il motivo illustrativo con logica analitica e realizza i suoi quadri a mente fredda. Partendo da uno schizzo, cerca di mettere in risalto» quanto punge il suo interesse «tralasciando tutto il resto».
«Le forme realistiche vengono radicalmente semplificate. Le case» – «cubi colorati» – «mantengono però la loro realtà, come anche le figure che nelle loro forme arrotondale contrastano efficacemente con gli elementi a spigoli vivi».
Si direbbe che gli oli di Grillenberger si presentano come intarsi tonali, pentagrammati coloristicamente e nella stessa sinuosità delle linee (forma e colore sono tutt’uno, e i rari chiaroscuri pongono in evidenza questo aspetto) al punto che gli spigoli – «vivi» se considerati isolatamente – forniscono anch’essi, nell’insieme del quadro, una musicale partecipazione all’andamento sinuoso dei diversissimi brani del puzzle.
Case, animali, elementi decorativi, figure umane, si fondono a instaurare un paesaggio le cui profondità prospettiche si contrappuntano alla piana geometricità delle scomposizioni (e ricomposizioni). Ne risulta una scena mossa, vivace, in cui i colori chiari si lasciano assorbire da quelli scuri; e le connotazioni più stabili – essenzialmente statuarie – contribuiscono, per implicita metafora, a movimentare l’andamento della composizione.
A ben guardare, ogni quadro è una giustapposizione di forme fisse le quali – nella sintesi racchiusa dai limiti della tela – riescono a darsi un timbro da opera in via di svolgimento; un trascorrere ininterrotto, asciutto ma fluente, sommesso però deciso.
Questa astratta combinazione di cubismi possiede, dunque, un’attualità che travalica le possibili utilizzazioni illustrative. E indica un processo d’identificazione per cui costantemente il paesaggio – anche quello con figure – diviene foresta. Noi camminiamo velocemente nella foresta, ed è come se gli alberi si muovessero: passando davanti alla nostra sosta.
Sarebbe un fenomeno analogo a quello di chi, dal treno, guarda fuggire i pali del telegrafo. Non lo è, in quanto tutto assurge alla dimensione della foresta: di tempo sospeso in luce soffusa. La civilizzazione non sarà o non si è avuta ancora; all’autore importa l’umana essenza, nella sua esplicazione meditativa che non è mai ferma: anzi, è sempre in un viaggio che non sappiamo se e quando potremo avere compiuto.
Antonino Cremona
Da “Spiragli”, anno V, n.1, 1993, pagg. 41-42.
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