Francesco Alberto Giunta ci avvince con un recentissimo romanzo, Il posto delle pietre, edizioni Tracce. Pescara, agosto 1996. Emblematica nella sua corposa nudità la copertina. olio su tela di umberto Verdirosi: nudità della pietra e dell’uomo sullo sfondo di un universo infinito.
Già conoscevamo Giunta per i suoi precedenti romanzi: Viaggiando sulla strada (1985); Notizie da via Daniele (1988); A Lipari un giorno. Avvenne (1994) e per il volume di racconti Il respiro dell’uomo (1992). Colti e raffinati i suoi versi raccolti in Le parole sono cose (1984); Verso i Tatra (1985); Ballate e canzoni no (1988).
-Se vuoi. lettore. leggere cose coerenti. .. connesse logicamente, che abbiano un principio, un mezzo, una fine … cercale dove vuoi, ma non qui, ammonisce l’Autore con le parole di Miguel Unamuno.
E chi si accinge alla lettura de Il posto delle pietre deve accogliere in sé lo spirito del mistero, dell’avventura, la disponibilità dell’uomo al fremito degli eventi. l’accettazione della vita col suo volto mutevole fatto di luci e di ombre, di multiformi implicazioni psicologiche in una ricerca senza fine. Perché le strade del mondo sono infinite, e noi qui assistiamo a un intrigo multietnico. corale, costituito da un grumo di lingue, tradizioni, culture e soprattutto sentimenti feriti.
Un soffuso dolore sembra essere il comune denominatore di creature destinate a vivere e a lottare per vivere; dolore ora esplicitamente confessato, a volte adombrato, persino taciuto. Un dolore che solo l’amore. o meglio la ricerca più o meno illusoria dell’amore può mitigare, rendere accettabile a livello della stirpe dell’uomo.
Casimiro, Ornar. Hans-Felipe, Evaristo, Karin, sono sfaccettature di una umanità tormentata, nel cui baricentro palpita Chiara, la moglie, con la sua ansiosa attesa, i suoi dubbi, cedimenti e remore borghesi.
Un filo invisibile lega l’onnipresente Chiara allo spettro di Karin, che alla fine prenderà voce nel romanzo solo per dire: io sono Karin, e attestante in tal modo la sua reale presenza.
Il sottile giuoco dei sensi rende complici i quattro uomini tanto diversi fra loro, eppure tutti impegnati nel giuoco più alto della vita. E se HansFelipe infine scomparirà, determinando forse con la sua scomparsa la rottura dell’equilibrio fra Karin e Casimiro, non per questo resterà vivo nella mente proprio per quel suo incessante e doloroso pellegrinaggio alla ricerca della moglie perduta, viaggio parallelo a quello della dolce Chiara.
Non s’intende svelare maggiormente la trama che si srotola fra colpi di scena e che deve essere colta con sospesa pazienza fra le pagine e i risvolti di un libro, che del mistero fa il suo punto di forza. Mistero che da una semplice avventura di viaggio si amplia al mistero della coppia, ai suggestivi richiami di un sesso per l’altro sesso, orfismo della passione amorosa, ai sotterranei segreti di popoli e civiltà, di religioni e folklore.
E i paesaggi si diversificano come gli uomini, la vegetazioni, i suoni. Alla grigia atmosfera della città di Milano segue il paesaggio desertico e sconfinato dell’Africa, un’Africa così diversa da chi l’ha conosciuta anche per breve tempo: un nugolo di stelle nella voragine del cielo notturno. Ma certo l’Africa narrata ne Il posto delle pietre è più rispondente alla psicologia di Chiara, d’improvviso sradicata dalla famiglia, dalla coppia, dal proprio habitat, da ogni ancoraggio.
Indubbiamente il paesaggio che con maggior vigore ti conquista per il fascino dell’antico che si rinnova è lo scenario di Taormina con l’ampio respiro su un mare fra i più splendidi per colore, brezza di vento, profumo, in cui il salmastro si annulla nei profondi anfratti della terra e nell’orgia floreale. A confronto di questo paesaggio che ha del miracoloso persino l’esotico lontano Giappone sembra attenuare il suo fascino di indubbia bellezza.
È la linfa mediterranea che, come nei precedenti romanzi (in particolare in A Lipari un giorno avvenne), torna a scorrere limpida, con amore immutato, perché si può guardare con trasporto e sete di conoscenza ai paesi del mondo, ma il cuore e il corpo restano legati alla propria terra, alle radici più profonde che sono essenza di ragione e sentimento.
E Giunta, pur nella sua totale apertura verso l’Europa e il mondo, è l’Ulisse delle Colonne d’Ercole, il figlio di un’isola che non si chiama Itaca ma Sicilia.
Maria Racioppi
Da “Spiragli”, anno VIII, n.1, 1996, pagg.41-42.
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