Etty Hillesum, LETTERE 1942 – 1943 (trad. di C. Passanti), Milano, Adelphi, 1990.
“Erano gli anni in cui in tutta l’Europa si rappresentava il dramma dello sterminio. Etty Hillesum era ebrea, e scrisse un contro-dramma.” Così scriveva felicemente nell’introduzione al Diario 1941 – 1943 di Etty Hillesum il professor Gaarlandt. E, adesso, con le Lettere 1942- 1943, un fondamentale nuovo atto è venuto ad aggiungersi al “contro-dramma”.
Esther (Etty) Hillesum, nata a Middelburg il 15 gennaio del 1914, respirò fin dall’infanzia aria di alta cultura: suo padre era preside del Ginnasio Municipale di Deventer – ridente cittadina dell’Olanda orientale – e studioso di grande merito di lingue classiche. Il fratello maggiore di Etty, Mischa – bambino prodigio, che a sei anni suonava Beethoven in pubblico -, venne presto considerato come uno dei più promettenti pianisti d’Europa. Il più giovane dei fratelli Hillesum, Jaap, a diciasette anni aveva scoperto un nuovo tipo di vitamina, fatto questo che gli aprì l’accesso a tutti i laboratori di ricerca.
Di tutta la famiglia, Etty appare la più eclettica, con interessi vari e addirittura tra loro discordanti. Brillante studentessa al liceo, con una forte propensione per gli studi letterari e filosofici, consegue regolarmente un’inutile laurea in giurisprudenza. Quando le truppe germaniche invadono l’Olanda, è alle prese con una seconda laurea in letterature e lingue slave. Ma non ha tralasciato, per questo, personali studi di psicologia, stimolata anche dalla relazione con lo “psicochirologo” Julius Spier1, e neppure nasconde l’aspirazione di potersi affermare come scrittrice.
Davanti alle persecuzioni naziste che di giorno in giorno si fanno più feroci, per Etty si prospettano due alternative: o emigrare o nascondersi. Ambedue le soluzioni le sarebbero state possibili grazie ad amici influenti e fedeli. Ma lei sceglie ben altrimenti: come un Christus patiens, si consegna ai persecutori: e, allo scopo di essere d’aiuto ai suoi confratelli, si fa assegnare al campo di raccolta diWesterbork.
E da questo campo, dove genti delle più varie estradizioni attendono il convoglio che le condurrà al loro tragico destino, escono le lettere che possiamo oggi leggere nella precisa traduzione di Chiara Passanti.
Ed è proprio dalle parole scribacchiate in fretta nei luoghi e nei momenti più impensati e scomodi che emerge una figura di acuta pensatrice, con una forte e irrisolta propensione religiosa. Etty accetta di contemplare niccianamente l’abisso ma non di farsene inghiottire. O meglio, dal profondo dell’abisso in cui si è sprofondata riesce a contemplare vette immacolate di virtù ascetica. Riesce ancora a vedere “il sole brillare nelle pozzanghere melmose”: e arrecare sollievo agli altri con fantasiose storie attestanti una prossima liberazione. Rimane sino alla fine un “roseau pensant” capace di trovare nell’angoscia della partenza senza ritorno parole di conforto per i rimasti. Frasi piene di forza e addirittura banali, urbani ringraziamenti sono contenuti nel suo ultimo biglietto, gettato giù dal convoglio in partenza e fortunosamente pervenuto ai destinatari: “. . . apro la Bibbia e trovo questo: “Il Signore è il mio alto ricetto” /…/ Abbiamo lasciato il campo cantando /…/ Grazie per tutte le vostre buone cure”2.
Eppure Etty non è stata esente dalla disperazione: “Ogni tanto mi viene voglia di preparare il mio zaino e di salire su uno di quei treni di deportati che vanno all’Est, ma una persona non deve cercare di rendersi la vita troppo facile”. E, tra l’altro, questa frase conferma la consapevolezza che Etty aveva del suo destino3. Ma da questa tentazione sapeva riemergere come “un ragno / che / lancia davanti a sé i fili principali”: Etty sapeva che “la strada principale della / sua / vita / era / tracciata per un lungo tratto davanti a / lei / e arriva / va / già in un altro mondo”.
La riflessione (nota e banale, ma anche sostanzialmente vera) sulla considerazione che “la massa è un orribile mostro, i singoli fanno compassione” ci pare esemplificare la definitiva scelta di Etty. Infatti, costata in se stessa “che non esiste alcun nesso causale fra il comportamento delle persone e l’amore che si prova per loro4. Questo amore del prossimo è come un ardore elementare che alimenta la vita5. Il prossimo in sé ha ben poco a che farci”. E nella stessa ottica va considerata un’altra sua espressione che sembra ricalcare certe dure formule evangeliche: “Sono sempre più convinta che l’amore per il prossimo, per qualsiasi creatura a somiglianza di Dio. debba stare più in alto dell’amore per i parenti”6.
Ma questa intensa ricerca spirituale. e il desiderio di non sconvolgere i destinatari dei suoi scritti non attenuano le capacità di autentica scrittrice realista che sorregono la prosa della Hillesum. Certi stralci ci paiono degni persino del suo amato e studiato Dostoevskij. Come la vicenda di “quel ragazzo impaurito /che/ improvvisamente gli era toccato partire, aveva perso la testa ed era scappato. I suoi fratelli di razza erano stati costretti, a dargli la caccia”. O la descrizione indimenticabile di quella madre che, avendo perduto il figlioletto neonato. si offre come nutrice per il convoglio in partenza.
E a Etty non sfuggono neppure le assurdità di quella condizione: come gli artisti di fama che ritardano la loro partenza con frenetici spettacoli davanti alle autorità del campo. Una frase captata per caso le basta per illuminare una situazione o un tipo psicologico: “Una voce dietro di me: ‘una volta avevamo un comandante che ci spediva a calci in Polonia, questo lo fa a sorrisi”. E non ci nasconde neppure le angosciose crudeltà che puòperpretare una vaga speranza di salvezza: “Come è possibile che l’ospedale lasci partire delle persone quasi morte?” – aveva chiesto il padre di Etty a un infermiere, e la risposta di quest’ultimo è raggelante e, nel contempo, logica e giustificabile: “L’ospedale consegna un cadavere per trattenere un vivo”.
Dalla lettura di questo scarno libro non emerge, come nel caso di altri volumi epistolari, la sensazione di avere violato la privacy dell’autore; si ha piuttosto la netta impressione che una voce persa nel tempo, ma ancora vitale e valida, sia venuta a informarci, a incitarci, da tanto e tale dolore, addirittura a confortarci.
E per questo dobbiamo ancora dare a Etty e a tanti come lei una risposta. Certamente non abbiamo compiuto questo suo proposito: “se non sapremo offrire al mondo impoverito / … / nient’altro che i nostri corpi salvati a ogni costo – e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione – allora non basterà / .. ./ nuove conoscenze dovranno portare chiarezza oltre i recinti di filo spinato, e congiungersi con quelle che là fuori ci si deve ora conquistare con altrettanta pena / … / e forse / … / la vita sbandata potrà di nuovo fare un cauto passo avanti”.
Gaetano Radice
l. Per “psicochirologia” si intcnde lo studio e la classificazione delle linee della mano. È lecito pensare che le uniche notizie su Spier reperibili in italiano siano quelle contenute nell’introduzione al Diario 1941 – 1943 di Etty Hillesum. Milano, Adelphi. 1985. Alla stessa opera si rimanda chi volesse ulteriori ragguagli su Etty e la sua famiglia.
2. Etty Hillesum morirà a Auschwitz il 30 novembre 1943. Anche i suoi genitori, e Mischa, periranno nello stesso campo. Jaap morirà durante il ritorno in Olanda.
3. Consapevolezza che mancava ad altri deportati; per esempio, a Primo Levi. Cfr. Se questo è un uomo. Torino, Einaudi.
4. “Superare Simone Weil” è un appunto trovato fra le carte di Ignazio Silone (Cfr. Darina Silone, Storia di un manoscritto, in Ignazio Silone, Severina, Milano, Mondadori). Un paragone tra le due pcnsatrici è certamente azzardato. Ma se lo scopo della vita è di non “mancare / la propria / morte” (Simone Weil, Ecrits de Londres et demières lettres, Gallimard. Collection Espoir, Paris, 1957), allora la sua vita l’ha certamente realizzata di più Etty Hillesum.E quale
fonte d’ispirazione avrebbe costituito per lo scrittore abruzzese la vicenda spirituale c umana di Etty?
5. “Nonostante la mia età, a dispetto dei miei mali, sento fortissimo il bisogno d’amare e di essere amato”, aveva scritto Giovanni Papini – evidente l’affinità di pensiero eon Etty Hillesum – negli infelicissimi suoi ultimi anni.
6. “Perché sono venuto a separare l’uomo dal padre, la figlia dalla madre e la nuora dalla suocera; e l’uomo avrà per nemici proprio quelli di casa sua” Mt, X, 35-36.
Da “Spiragli”, anno III, n.1, 1991, pagg. 52-55
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