L’amara eloquenza del silenzio dello scrittore
Da «Il Manifesto» del 26-9-2005 riprendiamo una lettera di Nello Sàito, che ci sembra significativa della condizione dell’ editoria italiana e dello scrittore in genere.
Cari Amici,
non sono morto. Ma non è colpa mia se mi è stato assegnato nel 1970 il Premio Viareggio.
Non è colpa mia se, dopo il Premio Viareggio i miei romanzi sono stati rifiutati da tutti gli editori italiani, con l’eccezione di un piccolissimo, sconosciuto editore siciliano che poi non ha voluto distribuirlo minimamente. Silenzio.
Utopia anarchica? Può essere, dato che mio padre e mia madre sono siciliani. O perché nei romanzi era descritto il sogno di un Risorgimento siciliano che si poteva avverare riprendendo la tradizione del glorioso separatismo siciliano.
Altro che Bossi per attuarlo!
Ci voleva un Savonarola siciliano per una vera rivoluzione del Sud contro il Nord. Altro che ponte sullo Stretto!
La Sicilia doveva utopicamente allontanarsi dal continente, non avvicinarsi, congiungersi. Doveva e può divenire la Sicilia del Mediterraneo con le sole sue forze. E così la finta lotta contro la mafia; è vero il contrario, semmai la mafia doveva aiutare a creare l’indipendenza, la singolarità, la diversità geniale della Sicilia, vale a dire si trattava di chiamare dall’ America e dal mondo i mafiosi a unirsi per aiutare il Risorgimento siciliano.
Invece, da sempre si è tentato di crocifiggere, uccidere quella singolarità che non aveva nulla a che fare con il continente.
Si è preferito inchiodarla a uno stereotipo, come per esempio i romanzi di Camilleri, di indicibile volgarità, perché questo faceva comodo alla volontà colonizzatrice del Nord, alla sua inesausta volontà di dominio.
La Cassa del Mezzogiorno? Cos’è? La povertà innalzata a mito, così la violenza cantata, scritta, musicata del Sud siciliano in un quadro stravecchio, sempre lo stesso, soffocato da polizia, esercito, vessazioni di ogni tipo, tasse sull’intelligenza, esproprio di ogni bene, donne comprese, declassate a meretrici del cinema.
La Sicilia? Volutamente ignorata per secoli, quando non mitizzata per violenza, mafia, povertà, bruttura. Perfino la sua origine culturale venne negata.
L’intelligenza, la cultura, invece che dalle meravigliose colonie greche non più nominate, venne fatta iniziare più tardi, né scrittori, né architettura, né società e costumi ma piuttosto dai menestrelli di corte di Re Federico, poveretti. Addio Grecia. E i siciliani che erano stati dèi, cioè greci, fenici forse anche ebrei e soprattutto arabi, furono declassati a poveri extracomunitari cui si doveva solo elemosina e disprezzo.
L’intelligenza è come la mondezza, si diceva in Sicilia. Ora è negata. Anche se giuristi e uomini di pregio hanno invaso il Nord donando il loro sangue, cioè la loro intelligenza che non aveva più patria. Lasciando solo la schiuma degli assassini e degli stupratori che non erano quasi mai i siciliani ma i loro oppressori. Così la Sicilia è stata lacerata, crocifissa Ci romanzi di Camilleri) e mitizzata come i Sassi di Matera di cui Togliatti, appena vistili, disse: che vergogna! Invece di distruggerli e ricostruire case nuove, decenti, umane sono stati mitizzati.
In Sicilia invece si distrugge solo il bello, vale a dire, il barocco, le chiese, il
paesaggio, l’idea della bellezza e dell’intelligenza (e l’intelligenza come la musica non ha bisogno di traduzione); importante è distruggere quello che poteva e ancora potrebbe essere, come ho detto, il giardino del Mediterraneo, la Mecca della nuova civiltà che al Nord sta morendo o è già morta.
Perciò, mi ripeto: siciliani di tutto il mondo, tornate a casa; mafiosi di tutto il mondo, il vostro lavoro è qui, venite a ricostruire, a difendere la Sicilia che i coloni del Nord stanno da secoli uccidendo.
Mafiosi, unitevi, accorrete, ne avete la forza, l’intelligenza; non soccombete ancora all’inganno che da sempre dura contro di voi. Reagite!
Nello Sàito
Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pagg. 23-24.