Lettera aperta al Ministro della Funzione Pubblica  Giustizia amministrativa e burocrazia statale 

Signor Ministro, mi rivolgo a Lei, con la certezza che vorrà dedicare appena qualche minuto a poche mie considerazioni sulla DECISIONE del CONSIGLIO DI STATO n. 659 del 26-6-1990. 

Nella stessa legge, tra l’altro: “A norma… della Legge 29-2-1980 n. 33, al Personale degli Enti .disciolti… assegnati ai Ruoli Speciali… presso ciascun Ministero… era garantita, prima del definitivo inquadramento nei Ruoli Speciali suddetti, una salvaguardia transitoria delle posizioni acquisite presso l’Ente di appartenenza… L’Art. 5 della Legge 10 luglio 1984 n. 301… deve essere interpretato nel senso di applicabilità retroattiva alla data di inquadramento nei Ruoli Speciali (Promozione alla qualifica di Dirigente Superiore), anche in assenza del relativo posto di ruolo nella tabella organica, mediante la istituzione di un posto in soprannumero (nel Ruolo Speciale), cui corrisponde la soppressione del posto nella qualifica di provenienza (Primo Dirigente) … “. 

Molti Ministeri (ad esempio: quello del Tesoro – Ragioneria Generale dello Stato – quello delle Finanze – quello del Commercio con l’estero) hanno già dato esecuzione a tale Decisione del Consiglio di Stato (altri sono in procinto di farlo), per tutti i dipendenti in possesso dei requisiti richiesti. 

Alcuni Ministeri (Sanità – Beni Culturali), per mancanza di serenità e di coraggio nell’assunzione delle proprie responsabilità, non sono stati capaci di prendere analoga, autonoma iniziativa, e hanno sottoposto il quesito al conforto di codesto Dipartimento, che, nella persona del Dirigente Generale, Direttore del Servizio V. Dr. Longhi in risposta ai quesiti stessi, sostiene con forza la infondatezza giuridica della Decisione del Consiglio di Stato, per concludere: “Si è quindi dell’avviso che alle richieste dei Dirigenti … debba essere opposto un assoluto diniego, anche a rischio di provocare un altro contenzioso…”. Come per dire: “Il Consiglio di Stato non è legittimato ad occuparsi di Giustizia Amministrativa e a prendere, di conseguenza, certe decisioni o, per lo meno, poiché ha sbagliato nel prenderle, io non ne tengo conto, a costo di obbligare i dipendenti a ricorrere all’infinito, dal momento che non terrei, naturalmente, conto neanche di una eventuale, ulteriore decisione favorevole. Potrei tenerne conto soltanto quando il Consiglio di Stato si decidesse a tradurre,nel suo provvedimento, il mio punto di vista. In altri termini: o il Consiglio di Stato fa come dico io o ritengo solo me, e non altri, il depositario del Consigliodi Stato”. 

Anche se paradossalmente, sembra che il Direttore del Servizio V abbia ra-gionato e ragioni così. 

Signor Ministro, mi rivolgo a Lei con fiducia, incoraggiato dalle tante iniziative da Lei intraprese per l’ammodernamento dell’apparato statale. Lei insiste molto sul rispetto dovuto al cittadino e sul concetto che l’Amministrazione Pubblica ha come suo primo dovere quello di servire il cittadino. 

Il Direttore del Servizio V dimostra, invece, sul suo ruolo di servitore dello Stato, una concezione molto diversa, se non ritiene di fare il bene del cittadino(nel caso in specifico: del dipendente della Pubblica Amministrazione) neppure quando il supremo Organo della Giustizia Amministrativa sentenzia a suo favore. Evidentemente giudica il suo ufficio non uno strumento di servizio (nonostante il nome lo farebbe supporre – Servizio V), ma un feudo personale, un potere da gestire, più o meno capricciosamente, in nome del cosiddetto “interesse pubblico”, anche se perseguito facendo il danno e l’ingiustizia del cittadino, contravvenendo ad un diritto a lui riconosciuto, anche formalmente, da un Organo a ciò preposto dalle leggi dello Stato. 

Che direbbe questo zelante Capo Servizio se, la mattina, recandosi in Uffi-cio, trovasse i suoi dipendenti decisi a non rispettare le norme, neppure quelle dettate da lui, ovviamente discutibili come tutte le cose umane? Egli si è comportato allo stesso modo. Penserebbe mai di conferire un encomio solenne ai suoi dipendenti, come certamente ritiene di meritare per sé, per il suo lodevole servizio reso allo Stato? O non penserebbe, piuttosto, che l’uno comportamento (quello dei dipendenti indisciplinati) e l’altro (quello suo, di Capo Servizio)sanno di anarchia? Evidentemente egli è convinto, se la logica vale sempre, di fare l’interesse pubblico con l’anarchia. Non si potrebbe mettere in discussione,con questa logica, anche il suo stipendio, che qualcuno potrebbe ritenere, in qualche misura, usurpato, se pensa di impiegare utilmente il suo tempo nel trasgredire, in senso lato, le leggi? 

Il Direttore del Servizio V, tra l’altro, non solo ritiene che possa coincidere l’interesse pubblico con il danno del cittadino, ma, incurante anche del danno che un contenzioso sistematico può arrecare alla Pubblica Amministrazione, la incoraggia a resistere ad oltranza alle “pretese” del proprio dipendente, anche se il Consiglio di Stato ha riconosciuto che quelle “pretese” sono un suo diritto. 

Se neppure la Decisione di un Organo Giurisdizionale ha valore, scompare,per il cittadino, la certezza del diritto, in nome dell’arbitrio di un Capo Servizio,che ritiene diritto solo il suo convincimento e che, sconvolgendo l’ordine giurisdizionale esistente, presume di assommare nella propria persona tutti i poteri,con buona pace di Montesquieu, i cui criteri sembravano ancora validi. 

Non è dissimile, lo stato d’animo che porta a questa conclusione, da quello dei componenti dell’armata, cosiddetta, di Brancaleone. Ogni Dirigente statale,nel caso nostro al di fuori di ogni regola e di ogni norma, può tranquillamente,come i componenti di quell’armata, decidere come più gli aggrada, quando si sveglia la mattina, in base ai suoi discutibili umori di giornata. 

Ciò, purtroppo, avviene non soltanto dinanzi ad una Decisione del Consiglio di Stato, ma, più spesso dinanzi a tutte quelle provvidenze che vari Ministeri (non tutti per fortuna), gestiscono, non animati da spirito di giustizia, ma di parte, per cui alcuni cittadini o persone giuridiche risultano lautamente favoriti, altri sistematicamente esclusi da certe provvidenze, che potrebbero, meglio,essere destinate a rotazione, quando i mezzi non consentono di raggiungere tutti contemporaneamente. 

Mi scusi, Signor Ministro, questo sfogo, ma la Società (sia essa fatta da cittadini, da dipendenti statali o da altre categorie), per andare avanti bene, ha bi-sogno, credo, di persone responsabili, non dominate da passioni ingenerose, di cui ci si possa fidare di più. 

Fino a qualche tempo fa, almeno, il Dipartimento per la Funzione Pubblica, nella sua azione di consulenza legale, si è sempre schierato dalla parte del cittadino, quando non era di danno alla collettività. Diventa assurda e ingiusta, quando, come nel caso specifico, presume di fornire indirizzi giusti, in contrasto con le decisioni dei Competenti Organi di uno Stato di Diritto come il nostro. 

Tale azione non può non essere avvertita come frutto di arroganza e di disprezzo della giustizia. Si possono anche discutere le decisioni degli Organi 

Giurisdizionali, ma non essere disattese. Sarebbe come se la Corte Costituzionale dichiarasse incostituzionale una norma o altri Organi dello stato, non condividendo, si sentissero autorizzati a non tenerne conto. Sarebbe lecito e giusto? Agli Organi dello Stato ciò non è consentito. Perché è consentito ad un Capo Servizio? 

Non sarebbe stato più opportuno che, almeno, il parere su una Decisione del Consiglio di Stato fosse scaturito da un esame collegiale, date le sue implicanze? Come la mette, poi, questo Capo Servizio con quei Ministeri che hanno già applicato la Decisione del Consiglio di Stato? Non avrebbe dovuto tener conto anche di questo un funzionario attento e scrupoloso? 

Affinché chiunque legga questa lettera (al di fuori di Lei, Signor Ministro, che non ha bisogno del chiarimento) comprenda che la citata Decisione del Consiglio di Stato non voleva creare dei privilegi (come sostiene il Capo Servizio) per gli appartenenti al ruolo Speciale rispetto a quelli del Ruolo Ordinario, ma ristabilire, per essi, la giustizia, faccio notare che la confluenza (del Personale di tanti Enti disciolti contemporaneamente) in un unico Ruolo Speciale, presso i singoli Ministeri, ha comportato grandi disparità di trattamento, nel senso che alcuni, figuranti al primo posto nella posizione giuridica dell’Ente di provenienza, si sono ritrovati all’ultimo posto nel ruolo Speciale e viceversa, anche quelli che avevano maturato il diritto alla promozione e potevano ricoprire posti già disponibili nell’Organico dell’Ente di provenienza e non assegnati per la soppressione dell’Ente stesso? 

Il “nostro” Capo Servizio non ha saputo o voluto comprendere queste cose, all’origine della Decisione del Consiglio di Stato, come non ha saputo o voluto comprendere che l’unica via per ristabilire la giustizia non poteva essere che quella del soprannumero, visto che il Ruolo Speciale era viziato, come si è visto, in partenza. 

Se come prevedeva la legge, il Ruolo Speciale fosse confluito subito nel ruolo Ordinario, si sarebbe fatto un torto a quelli del Ruolo Ordinario, per lo stesso motivo valido per i provenienti da Enti soppressi. Ecco perché la confluenza nel Ruolo Ordinario ha incontrato molte resistenze ed è avvenuto dopo otto anni e non in termini di parità. 

Potremmo discutere a lungo, con punti di vista diversi, sul contenuto, le motivazioni pro e contro. le difficoltà di un provvedimento, ma solo a titolo accademico, perché nessuno, neppure il Capo del Servizio V del dipartimento della Funzione Pubblica ha il diritto di opporsi alla applicazione di una Sentenza di un Organo giurisdizionale al suo ultimo livello. 

Mi auguro, Signor Ministro. che Lei (impegnato ad eliminare dai comportamenti della Pubblica Amministrazione tante storture) trovi il modo di rendere responsabile, a tutti i fini, il Funzionario che emana i provvedimenti, anche per l’eventuale risarcimento dei danni. 

Troppo comodo contrapporsi ad una decisione definitiva di un Organo giurisdizionale quando al Funzionario-trasgressore non costa nulla, mentre costa molto alle altre parti in causa, compreso lo Stato. Un contenzioso ingiustificato e diffuso costa di più allo Stato, della promozione, sì o no, di quindici, venti Funzionari. Neppure questo valeva considerare per il premuroso Capo Servizio? 

Le sembra, Signor Ministro, che sia il più adatto a ricoprire un incarico così elevato, chi è più abile ad alimentare i conflitti che ad appianarli, non certo per migliorare il clima della Pubblica Amministrazione, nell’interesse di tutti? 

Signor Ministro, grato per la pazienza dimostrata. Si abbia la mia stima e il mio rispetto. 

Giovanni Salucci 

P.S. – Forse non è male sottolineare ancora, per il Signor Ministro, la farraginosa e assurda procedura ancora vigente per la tutela dei diritti amministrativi: un dipendente della Pubblica Amministrazione a cui è stata negata l’applicazione di una sentenza del Consiglio di Stato, deve, per chiedere che gli venga applicata, ricorrere al T.A.R e cominciare daccapo, in un circolo vizioso “forse” infinito. 
Come può funzionare bene la macchina statale, se questi sono i suoi ingranaggi? Il Ministro per la Funzione Pubblica non può fare proprio nulla per rimediare a certe storture?

Da “Spiragli”, anno VII, n.2, 1995, pagg. 21-25.

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Di Salucci Giovanni 6 Articoli
Giovanni Salucci, nacque a  Scursola Marsicana (AQ) nel 1925, morì a Roma nel 1998. Laureato in Filosofia, fu dirigente superiore, Ispettore generale del MM.BB.CC. - Ufficio Centrale per i Beni Librari. Fece parte della redazione della rivista “Spiragli”. Oltre ad articoli e saggi pubblicati in giornali e riviste varie, scrisse:  Mafia dietro la scrivania, Edizioni Italiane di Letteratura e Scienze, Roma 1982;   La lampada rossa, ivi, Roma 1985;  - Bibbia, Vangelo, Corano. Insieme nel Terzo Millennio per la salvezza dell'umanità, ivi, Roma 1997. È presente in:  Profili critici di scrittori contemporanei, per la Storia della letteratura italiana (a cura di D. Accodo), ivi., Roma 1985;  Sprazzi di luce (a cura di A. Arcifa), Rieti 1982-1992.

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