Linea di ricerca nell’opera di E. Giunta
L’itinerario artistico ed intellettuale di Elio Giunta poeta, ma anche critico letterario, autore di teatro e soprattutto uomo-poeta calato nel tempo esistenziale, traccia un immaginario che vuole rappresentare la dimensione di un altrove spaziale e temporale all’interno del quale vengono mirabilmente conservati intatti i legami con la storia e il presente.
Il tratto comune dell’opera complessiva del poeta è dato dal suo porsi, anzi dal suo essere-in-situazione nella concretezza dell’esistenza, per usare un’immagine cara a Sartre. Tale tratto emerge con chiarezza e precisione dalla lettura di Recuperi Possibili1. Riprendendo la prefazione di Mario Luzi, il quale sottolinea con grande efficacia l’angoscia dell’interrogazione delle cose e della concretezza esistenziale, si vede, infatti, come il poeta volge la sua attenzione analitica sia verso il privato che verso il sociale con salda posizione morale e civile.
Basta leggere, in tal senso, le poesie «Sferracavallo» e «Vi sono deserti», per meglio comprendere l’essere-in-situazionedi Elio Giunta e il suo portato linguistico, che ne traduce perfettamente la dinamica, pur registrandovisi la presenza attiva, ma ricreata, della memoria leopardiana del «borgo» e dello spirito del sofferto travaglio sofocleo.
Il Filottete2, infatti, è un’opera teatrale di chiara derivazione (forse sarebbe meglio dire rivisitazione) sofoclea che testimonia ancora dell’attenzione di Giunta all’attualità dell’esistenza-politica. L’opera consuma, infatti, il dramma eterno tra la nobiltà d’animo, rappresentata da Neottolemo, e la bassezza di Ulisse, il dramma cioé tra etica e politica, tra morale e ragione di Stato.
Il Filottete è forse l’opera che meglio interpreta la temporalità storica (nonostante l’archetipo metafisico del testo originale) la tematica del presente. Una tematica attualissima (si pensi all’attestazione del mondo contemporaneo, dopo l’evolversi del mondo geopolitico e delle scienze genetiche e non, su un nuovo ripensamento dei problemi dell’etica e dei suoi rapporti con la politica) e contestuale al conflitto perenne e permanente appunto tra etica e politica. Si tratta, comunque, in Elio Giunta, di un «attuale» raccordato al passato e propedeutico al futuro. Un futuro, però. che nel suo variabile ed eterno processo di «giostra» ed intreccio di eventi (il cosiddetto tempo-vita-storia) sfugge, sebbene per ragioni sempre diverse. sia all’uomo di ieri (il greco) sia all’uomo di oggi. Sfugge al greco, uomo di ieri, in quanto divino, sacro, impenetrabile per i mortali e persino per gli stessi dei, se si pensa che l’«ordine universale» era sottoposto e governato dall’ineluttabile invisibile ananke, la necessità del fato greco e dell’ordine immutabile delle cose; sfugge, il futuro. all’uomo del nostro tempo, perché il tempo, non più divino e fascinoso, è diventato laico e secolarizzato, quello del disincanto, dove il sacro e l’ineluttabile ha ceduto il posto alla causalità e all’aleatorio della contingenza altrettanto imprevedibile e non manipolabile come «il fato greco», i cui effetti, però, non sono meno angoscianti e paranoici di quelli dell’età greca.
Se «Sferracavallo» era la testimonianza più certa dell’esser-ci del presente e della terra di Elio Giunta, «Palermo» e «la febbraio 1986», due delle poesie che fanno il nuovo libro di Giunta3, sono la prova più evidente ed incontestabile di questa testimonianza umana dell’autore alla concretezza dell’esistenzialità che si fa lavoro poetico ed artistico prodotto con essenzialità linguistica. In Elio Giunta l’essenzialità linguistica. infatti, è un portato strutturale di tutta la sua scrittura poetica, la quale risulta, contemporaneamente, intrecciata sia all’uso di certe figure retoriche che ad una «certa» ironia. L’emozione è infatti controllata e dominata dal distacco di una ironia che analizza, riflette, si fa spazio vuoto nell’affascinante figura retorica della «sospensione» o si concretizza in una saporita salacità o in un originale riadattamento semantico mai scenico.
I temi di Elio Giunta non finiscono e non si esauriscono mai, infatti, nel paesaggistico, non ingabbiano la poesia dello scavo e della costruzione artistica tra le maglie della crosta superficiale della facile e gratuita retorica, perché la qualità poetica attraversa, connota e struttura, generalmente, tutti i testi dell’autore.
Luigi Sciacca
l. E. Giunta, Recuperi possibili, Forlì, Forum/Quinta generazione, 1983.
2. Filottete, Palermo, Vittorietti ed.. 1978.
3. E. Giunta, Bivacco immaginario, Forlì, Forum/Quinta Generazione, 1989.
Da “Spiragli”, anno II, n.2, 1990, pagg. 31-32.