Politica e sovranità democratica
Come l’intelletto racchiude il complesso delle facoltà umane che permettono di pensare e comprendere la realtà sociale, così la sovranità della democrazia, che costituisce l’essenza individuale della sua personalità, non dovrebbe divenire uno strumento manipolato dall’opera dei governanti e degli amministratori.
In uno Stato di diritto, bisogna anche tener conto non soltanto delle situazioni particolari, ma soprattutto dei processi di trasformazione della società ed adeguarne le istituzioni all’ordine sociale e non viceversa.
È detto nella costituzione che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, e la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione. Si è fatto in modo tuttavia che attraverso le alleanze politiche coni partiti essi finiscano per consolidare il potere. Sicché, «i diritti inviolabili dell’uomo» e la stessa sovranità democratica rimangono soffocati. Infatti, quale libertà ha la società quando in nome del popolo vengono emanate leggi non idonee che deteriorano la sua sovranità, e la mettono in condizioni tali da dover seguire una strada incerta e irta di ostacoli e difficoltà?
Che forse in tali detestabili deviazioni, le regole del gioco non vanno democraticamente rivedute e corrette con l’adozione di adeguate misure? È dovere indifferibile riformare, restaurare il sistema delle elezioni politiche, specie allorché si avverte noncuranza verso la sovranità democratica.
Se il voto di fiducia fosse espresso con maggiore consapevolezza e convinzione, il bene dell’inalienabilità della sovranità dell’elettorato non verrebbe compromesso. Purtroppo, quando si raggiunge il potere, non di riforme si vuole più sentire parlare. Ma certe cose, di fronte a risultati opinabili, bisogna pur dirle. Eppure sarebbe opportuno che l’elettore fosse posto in condizioni di dare il proprio suffragio ai partiti, non in base a interessi particolari, ma alla conoscenza di chiari schemi di programmi economici di generale interesse, visto che le ideologie vanno sempre più differenziandosi negli stati democratici di ben poco, come sempre più si va delineando nell’opinione pubblica.
Se si vuole risanare lo Stato, sembra che sia decisamente tempo di cambiare il sistema. Nulla è più pericoloso del perseverare in opinioni che confondono e appesantiscono sempre più la situazione.
Lo Stato democratico-repubblicano non ha ancora compiuto la sua opera sociale. Ciò in gran parte dipende dalla democrazia incompiuta. Le parole, i propositi, gli entusiasmi congressuali, stando alla realtà delle cose, lasciano il tempo che trovano. Non basta mantenere il potere, bisogna andare avanti. I bei discorsi, dosati alle circostanze, e lungamente applauditi, non bastano a superare la crisi del sistema. La stanchezza c’è e si vede. Questa è la verità.
Si sa che chi governa, governa non per il proprio profitto, non per interessi particolari, ma per il pubblico bene. I sistemi obsoleti o astratti, che accrescono il deficit della finanza pubblica, vanno abbandonati. Il rispetto della sovranità democratica è inevitabile per ben governare. La politica non deve eluderla facendo un uso improprio della cosa pubblica. È potere anche l’esperienza che l’opinione pubblica si forma, altrimenti che democrazia sarebbe! È stato detto più di due secoli or sono dal maggiore teorico dello Stato liberale, Montesquieu, e dal grande filosofo Rousseau, definito il padre della democrazia moderna, che «la società è buona o corrotta nella misura in cui il potere politico la rende tale».
Il male nell’individuo si forma in base ad esempi o al comportamento sociale che tuttora purtroppo manca di largo senso di solidarietà. Lo Stato repubblicano, nonostante i vari decenni trascorsi, non ha ancora completato la sua opera sociale prevista dalle norme costituzionali.
Molte leggi sono state emanate, ma non ancora una basilare che riguardi il rispetto della sovranità dello Stato democratico. Le leggi e la politica tuttora sono lacunose. Manca lo strumento del tutto adeguato al progresso dei tempi e alla società che crescendo s’illumina e si rinnova. Si fa ben poco o nulla al fine di avere governi stabili. Infatti, nulla viene attuato per ridurre il quadro numerico dei partiti, visto che ognuno di essi non intende trasformare la propria autonomia. Anzi essi vengono sostenuti e forse incoraggiati mediante i finanziamenti erogati dallo Stato. Giustappunto perché inesorabilmente il gioco torna, per così dire, a vantaggio del partito più numeroso!
Gli accordi di coalizione o di alleanza fra i partiti dovrebbero avvenire prima delle consultazioni elettorali e non dopo, visto che non vi è altro sistema per cambiare le cose. È assai difficile che un tale ordine nuovo venga instaurato. La situazione politica non potrà cambiare anche e soprattutto per quell’ambizione che divide gli animi, e quindi il partito imperante continuerà nell’ipocrisia che diventa socievolezza. E quindi le leggi continueranno a non rappresentare il consenso, l’espressione della vera, diretta democrazia.
Mentre tali sarebbero se le leggi venissero fatte da un consesso di persone illuminate e capaci, appositamente elette in rappresentanza delle regioni o capoluoghi. Si avrebbero così, in nome della sovranità popolare, atti autentici della volontà democratica. Un organo di legislatori, straordinari sotto tutti gli aspetti, in età matura, indipendenti dai due poteri, parlamentare ed esecutivo, sembra sia il modo più efficace per salvaguardare realmente gli interessi congiunti della maggioranza e della minoranza, evitando ovviamente i cosiddetti «doppioni ripetitivi».
I tempi ormai sembrano maturi per fare un concreto, positivo passo avanti verso il riconoscimento effettivo della sovranità democratica dello Stato sociale e di diritto.
Occorre che sia soltanto la democrazia rappresentativa l’unica autrice delle leggi, se l’azione politica vuol riconoscere l’inalienabilità della sua sovranità.
Umberto Villari
Da “Spiragli”, anno I, n.2, 1989, pagg. 35-37.
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