Un viaggio nei labirinti dell’inconscio, un richiamo alle dimensioni immaginarie del sogno, uno sguardo al dolore e alle malinconie di una artista. Non sempre le parole riescono a comunicare stati d’animo; spesso occorre un lessico parallelo dove segni, colori, luci, ombre, volti, sono note di uno spartito più complesso. Le barriere dello spirito cedono, anche per pochi istanti, e visioni enigmatiche affiorano da sentieri nascosti per creare un cosmo pittorico misterioso e affascinante.
Per Serena La Scola, dipingere è una urgenza inspiegabile, una continua ricerca della propria essenza, un eterno immaginare dove le angosce di una coscienza lacerata si trasfigurano in donne provenienti da universi lontani. L’artista racconta percezioni emotive proiettate oltre il contingente, traccia spazi irreali e interpreta lo smarrimento dell’io in figure immobili, imperturbabili. E nell’intima coesione tra contenuto e forma, emozione ed espressione, sensazione e figurazione, dà sostanza visibile a pensieri e ricordi, nella tensione simultanea di mano, cuore e mente. E lo fa con maestria su tela, su legno e su ceramica.
Come automatismi dettati da sconosciute risonanze poetiche, le donne di Serena La Scola, messaggere elusive e inafferrabili, emergono magicamente da condizioni metafisiche e atemporali, dove materia, luce e colore diventano elegie di un sapiente alchimista. Euridice, Penelope, Persefone, Ester, Ottavia, Lucia … scaturiscono da memorie mitologiche, esoteriche e sacre, secondo dialetti che interiori, proiettate in orizzonti infiniti.
Euridice vive di sospensioni nostalgiche, incantata in un oblio onirico. Il dipinto è un inno al colore e si perde nell’annuncio di una luminosità che non annulla i tratti di una presenza-concreta. Se Euridice sogna in un incanto di luce dorata, Penelope tesse la sua tela e pensa al suo amore lontano. Il capo leggermente inclinato, gli occhi socchiusi evocano il sapore dei ricordi in un universo quasi insondabile. L’azzurro modula le profondità del mare, brilla nel manto pittorico e si trasforma in materia fluida e pulsante.
Complesse atmosfere segniche-gestuali descrivono il mondo delle eroine bibliche, visioni interiori evocate in luoghi pittorici percorsi da un’ agitazione estrema.
L’artista studia la matericità del colore, ne afferma le innumerevoli potenzialità espressi ve concentrando l’attenzione sull’energia interna delle tinte. Giuditta è la proiezione di un animo inquieto, di una forza trattenuta ma pronta ad esplodere in pennellate e rivoli rossi che precipitano verso il basso. Le tonalità giallo-arancio vivono dei loro accenti più profondi in contrasto con strutture nere indipendenti, che come lame squarciano la tela. Ester ci fissa da uno sfondo popolato di gesti allargati e respiri immensi. Uno spazio frammentato in cui le ombre divengono elementi dominanti, e il blu esprime un’inedita tensione formale nella percezione di un colore drammatico.
L’artista dipinge poesie come echi materializzati di una coscienza percepita come espressione di un sentimento poetico. Ci conduce negli spazi siderali del mito e del sacro, ma ci immerge anche In un buio labirinto, olio su tela, 2008 nei recessi più nascosti della psiche. Solitudini non confessate prendono forma negli specchi «melanconici» di Ottavia, Lucia, Melanconia. Le prigioni dell’io sono evocazioni di silenzi strazianti. Ottavia dissolve suggestioni struggenti nei ricordi di un amore appena perduto. Come un viandante solitario, identifica una visione tormentata, in un sintetismo di cromie viola, nella sagoma del corpo come proiezioni notturne dei propri conflitti. In una simbiosi diretta tra intuizione e realizzazione, Serena La Scola, avvinta dai continui naufragi dell’essere, sa dare linfa vitale alle espressioni simultanee del suo labirinto emotivo, tradotto in scelte estetiche precise e dense di poesia.
Silvia Scarpulla
Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 52-53.
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