S. Lanuzza, Vittorio Imbriani – uno spadaccino della parola. Napoli, E. Cassitto ed. 1990, pagg. 127, s.p.
Stefano Lanuzza ha dedicato un agile volumetto, denso di informazioni e di notazioni critiche a uno scrittore dell’Ottocento ingiustamente trascurato. Lanuzza si muove con sicurezza nel «gran mare» degli scritti di Imbriani e degli scritti su Imbriani, conducendo il lettore nella progressiva riscoperta di questa presenza dirompente ma emarginata della letteratura del secolo scorso.
«Pochi scrittori del suo tempo furono attivi, profilici e capaci di spaziare in “tutte le scritture” quanto Vittorio Imbriani, che nello stretto arco della sua vita ha pubblicato un’infinità di titoli, talmente tanti che non è stato ancora possibile redigerne la completa bibliografia» (p. 10).
Attraverso undici capitoli il lettore è condotto sempre più addentro l’opera di questo «affabulatore di razza, capace di fondere complessità strutturale e lessico in una scoppiettante trama di fatti», nato a Napoli nel 1840 e morto il 31 dicembre del 1885.
Antimanzoniano «sostiene l’integrazione nella lingua italiana dei dialetti tutti, perché, a suo avviso, «non potrai esprimerti mai bene in una lingua, che non è viva nell’animo tuo, che devi imparacchiare nella pozzanghera d’un vocabolario» (pag. 41).
Lanuzza richiama opportunamente l’attenzione dei critici come Croce (che ripubblica alcune opere) e Flora (che curerà una antologia «Le più belle pagine di V.I. – Milano, Trevres, 1929») ebbero per questo scrittore e polemista, ingiustamente trascurato per tanto tempo ma che è necessario riscoprire non solo per una più completa comprensione del nostro Ottocento ma per l’attualità della ricerca linguistica e per la ricchezza dei suoi scritti, sempre interessanti anche quando non sono condivisibili.
Conclude Lanuzza, dopo l’attenta disamina della vicenda umana e artistica di Imbriani: «Ingegnarsi per valorizzare il lavoro di scrittura al di là d’ogni specializzazione disciplinare indotta da esigenze di opportunità è lo scopo dell’opera imbrianesca, sempre condotta sul filo di un rigore che lo preserva dai dilettantismi dell’eccentricità programmatica e ne giustifica appieno l’onnivora, tipica intellettualità barocca. Questa è sostenuta da un’intelligenza multidimensionale mai dimentica delle ragioni letterarie, dell’esigenza di uno stile che se è sempre virtuosistico non è in nessun caso affrancato dall’esigenza di formare concetti e dar luogo anche a occasioni pedagogiche ed espedienti di verifica generale del sapere, oltre che del narrare e criticare» (pag. 115).
Giovanni Lombardo
Da “Spiragli”, anno II, n.2, 1990, pagg. 46-47.