Sul Largo che per tre vie porta a s. Anselmo, a s. Alessio, a s. Sabina e a s. Prisca: basiliche che alte sul colle soccorrono ai bisogni spirituali dei fcdeli dcll’Aventino, del Testaccio e delle Remurie, alza gran cancello in ferro battuto 1’Istituto dello “Spirito Santo”.
Nell’Istituto, le suore Figlie dell’Immacolata Concezione scguendo istinto e vocazione, danno l’anima a Dio, cuore, voci e mani ai bambini e alle bambine del quartiere per guidarli negli spinosi sentieri della scienza. Tengono le benedette suore i bambini e le bambine nelle aule a studiare e nel cortile a ricrearsi e fan cosa grata alle madri liberandole dalle smanie e dalle manie dei piccoli ma sgradita ai nonni privandoli della compagnia dei nipotini e delle nipotine: belli, tutti tesori e tesorucci!
Un triste mattino, il nonno Davide accompagnava il nipote Pietro all’asilo e lo teneva per la manina come faceva Enea quando, scappando da Troia incendiata dai nemici Panellenici, portava il padre Anchise sulle spalle e tirava il figlio Julo per la mano destra. Triste Enea nel frangente, triste il nonno convinto di portare il nipote Pietro alla perdita della libertà se non alla rovina, come faceva il patriarca Abramo quando spingeva il figlio Isacco sul monte Maira per sacrificarlo al Dio d’Izraèl: cosa odiosa per il padre e per il figlio!
Alle malcelate lagrime del nonno cercava di rimediare suor Pia che sorridendo diceva: al mondo nessuno indispensabile, tutti necessari: i padri, le madri, i nonni e le suore per l’equilibrata educazione dei piccini.
Suor Pia, direttrice, donna capace e amabile suora, regge la schiera delle suore e corregge la banda dei ragazzi: tutto per meritarsi le benedizioni dei padri e delle madri, per guadagnarsi il ricordo dei ragazzi e per assicurarsi la beatitudine celeste e Dio la benedica nelle sue fatiche.
Per vincere le resistenze del nonno Davide che si vedcva portar via il nipote, suor Pia rivolgeva al Professore formale invito per una conferenza all’Istituto, della conferenza fissando il tema: “La Fede”.
Il nonno Davide accettava, come poteva dire: “No!” a chi gli toglieva il nipote con la promessa di restituirglielo migliore di come l’aveva ricevuto?
La benedetta suora suonava trombe, scuoteva sistri, sbatteva cembali ma non sapeva di far musica non diversa dalla musica del retore Agamennone che nel “Satyrikòn”, a tutta bocca si affannava per dimostrare: tutti i maestri di tutte le scuole ricevono dalle madri i figli stupidi e alle madri li restituiscono più stupidi di prima1.
Quel nonno che la pensava come Petronio, vecchio d’anni e d’esperienza ma nell’animo bambino più di un bambino, non sparava le pose, non si faceva pregare e per amore del nipote accettava e non sapeva a quali difficoltà andava incontro per colpa di quell’invito convincente perché innocente.
Passavano i giorni e sul calendario, il giovedì della conferenza. Il nonno di Pietro, andava all’Istituto per tenervi la conferenza ma, pronto a rispettare l’impegno, non era pronto a far concione perché oscuro gli era il significato della voce: “Fede”.
Chi ignorava il significato della “parole”;”Fede” come poteva tener arengo, batter pulpito, parlar dall’ambone o sproloquiare dal pergamo, quale scienza, quanta dignità, che d’autorità in chi ignorante non più” non meno della schiera degli uditori radunati da suor Pia perché udissero il dotto, anzi dottissimo concionatore?
Andava verso Piazza Albania l’uomo pieno di miseria e, titubando sui passi, quel cristiano, cattolico, papista si raccomandava a Dio, ai Santi e alle Anime del Purgatorio perché mandassero luce e lumi a chi per non illudere gli altri, non riusciva ad illudere se stesso, ripetendosi la giaculatoria: “Chi sa, fa; chi rwn sa, insegna!”; grave colpa dei conferenzieri ai quali Dio perdona a patto che essi sappian almeno parlare, se a fare ci pensan quanti non san parlare: turbativa di confusione, tutta da ridere tant’essa è seria per chi l’intende o s’illude d’averla intesa.
Fermo al semaforo di via s. Saba, il nonno di Pietro mirava Alì Skandaruberg che in sella al suo destriero, immobile in arcione pareva mandar voce per radunare alle insegne quanti gli passan a de~tra, a manca, per muovere contro i giannizzeri e i fanti turceschi.
-Beato te!’, pensava nei pensieri l’afflitto nonno di Pietro, .Felice il cavallo che ti porta in sella; tu hai liberato l’Albania dai giannizzeri turchi e dai “baschi-buzuc” turceschi ma come poss’io far concione sulla “Fede” se ne ignoro il significato?,
Dall’alto del piedistallo scendeva voce: -Uomo, vai vai pure! Io battagliavo i Turchi Ottomani armato di scimitarra nella destra e di fede nel cuore e capo e milizia d’accordo a combattere il nemico turcesco!-.
Sorpreso dalla voce che veniva dal cavaliere che teneva le labbra serrate nella strettoia del bronzo, il nonno di Pietro, preso animo, si dava coraggio perché sentiva luce e lumi venirgli dalla parola: “accordo” pronunciata dal cavaliere eroe castriota, skipitaro e “ghegghiu”.
La parola di Alì Skandaruberg giustificano la “Taratalla” e non è cosa di tutti i giorni per le vie del mondo e per le strade di Roma, sentirsi accanto in veste di suggeritore Alì Skandaruberg eroe skipitaro, castriota e “ghegghiu”, ignorato nell’Urbe ma conosciuto fin nella terra di Macedonia,
Chiaro a tutti, ai barbieri e ai cisposi: la voce italiana: “Fede” derivata dalla voce latina: “Fides”; chi vuol conoscere il significato di “Fede” deve scoprire il significato aborigeno di “Fides” e per le “Degnità” della Filologia Sperimentale, deve far luce e dar lumi sull’aborigena società laziale del “S. P, Q. R= Senato, Esercito, Quiriti Romani” che la voce: “Fides” inventava, usava e trasformava nell’andar dei tempi: diacronico.
Per la riscoperta del significato antico, batteremo la via “anabatica”; dal significato conosciuto risalendo al significato ignorato.
I Romani con un’idiomatica dicevano: Trdibus musicen docere”=”insegnare la musica”; gli antichi maestri insegnavano su cetra o su lira: strumenti diversi ma formati da vario supporto e da insieme di “corde”; le “fides”, Le “corde”; “fides” venivano tese, appese al sommo del ponticello con appositi piroli per essere accordate prima che maestro musico e allievi musicisti e musicanti dessero attenzione e dita alle “corde”. A “corde” accordate si traevano dagli strumenti armonie; a “corde” scordate, dagli strumenti, disarmonie tra il disgusto di tutti: allievi, maestro e ascoltatori quando ve n’erano, se ve n’erano.
Gli antichi maestri liutai di Grecia e di Roma ottenevano le “corde” finemente tagliando per il lungo le budella di capretti: “minuge” che dal verbo “findo” che
indicava l’azione del “tagliare”, si dicevano: “fides”, Obiettivo del valente suonatore: aver le “corde accordate” per cavar recondite armonie dallo strumento. Orbene, al posto dell’eptacordo o dell’enneacordo, si ipotizzi cetra e lira bicorde: la prima “corda” di Dio, la seconda dell’individuo; dovendo ammettere: la “corda” divina sempre accordata. poiché l’eterno non muta ma muta il temporaneo effimero, tocca all’uomo accordare la sua “corda” sulla divina “corda”. Dalla lira o cetra bicorde, armonie quando accordate le due “corde”, disarmonie o stonature dalla diversa ampiezza, a seconda dell’ampiezza del disaccordo. Evidente, nell’armonia: il bene, nella disarmonia: il male; nell’armonico rapporto o accordo con Dio: il bene della grazia; nel disarmonico rapporto o disaccordo con Dio: il peccato. L’uomo in accordo con Dio è nella grazia divina; l’uomo in disaccordo con Dio è nel peccato. L’uomo può trarsi dal ” disaccordo”, riaccordando la sua ~corda” stonata sulla tonalità della “corda” divina e nell’avvenuto “accordo”, la riconciliazione dell’uomo con Dio nella speranza di nuove armonie.
Questo tutto, “sic et simpliciter” il nonno di Pietro, detto Pierre, spiegava alle ambili suore nella sala dell’Istituto dello Spirito Santo che apre cancello di ferro battuto sul gran Largo che per tre vie mena a s. Alessio, a s. Anselmo, a s. Sabina e a s. Prisca. I predicatori attivi in quelle antiche basiliche di concerto con i fedeli, potevano sapere la definizione di Dante: “Fede è sustanzia di cose sperate / Ed argomento delle non parventi / E questa pare a me sua quidditate” riecheggianti le parole del Principe degli Apostoli e di s. Tommaso di Roccasecca, non d’Aquino, ma non la dcfmizione etimologica della voce: “Fides=Fede”2.
Suor Pia con occhi lucenti ringraziava il conferenziere perché, avendo finalmente appreso il significato della vocc: “Fede”, vedeva più facile il suo discorso con le sorelle novizie quando alle giovani promesse Ella parlava della “Fede” e dei problemi ad essa connessi.
Contento il conferenziere lasciava l’Istituto dello Spirito Santo e, passando sotto il monumento di Alì Skandaruberg, eroe castriota, skipitaro e “ghegghiu”, ringraziava a due occhi il fiero guerriero per lo spunto datogli per sciogliere la difficoltà che presentava la voce: “Fede”.
La voce latina: “Fides” passata nel parlar volgare come: “Fede”, da tutti ripetuta e da tutti creduta praticata ma da pochi intesa: quelli che avevano ascoltato la conferenza e quei pochi che leggeranno la “Taratalla” scritta dal nonno di Pietro, ancora troppo piccolo e che preferisce macchine, macchinine e macchinette a tutte le sampiche, sanconiche buttabate del nonno Davide che Dio lo guardi, ora per allora e allora per ora!
Davide Nardoni
1. T. Petron. Arbitri, Satyrikon, M, Hadrianide, Amsterdam, G, Blaev, 1669, pp. 2-21.
(2) D. Alighieri, Paradiso, XXIV, 64-66.
Da “Spiragli”, anno III, n.3, 1991, pagg. 7-9.
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