Le corna
Propria “chiromania”, proprio “maneloquio” distinguevano i Greci dai Romani.
Nella gestualità parlano i monumenti: graffiti, pitture, mosaici, bassorilievi, altorilievi, statue
che ancora parlano inequivocabilmente a chi i gesti intende e capisce.
Facevano parte del maneloquio romano: il “pollex versus”, il “pollexpressus”, l'” index sublatus”, il “pollex indici coniunctus”, il “pollex versus ad latus”, il “pollex versus ad terram”, la “dextra manus sublata cum erectis digitis”, la “sinistra manus sublata cum erectis digitis “, la “dextra manus sublata cum pollice verso”, la “sinistra manus sublata cum pollice verso” e, infine,
l'” index minimusque digitus erecti “.
Dei gesti del maneloquio davamo retta e veritiera spiegazione nel nostro “La colonna Ulpia-Traiana”, esaminandone uso e significato nel maneloquio castrense; così, pure, nel nostro “I Gladiatori Romani, esaminandone uso e significato nel maneloquio circense.
La “taratalla” presente mira a far luce sul gesto che sulle labbra e sulle dita dell’italica
nazione ha assunto duplice significato nella parità del gesto.
Oggigiorno, con lo stesso gesto gli Italoni intendono due cose diverse: l) “far le corna” ad insultar mogli e mariti “cornuti”; 2) “far le corna” per allontanare da sé o da persona cara mali, malanni, morbi e malattie, malocchio, iella, iettatura e scalogna.
Alla discoperta dell’origine del gesto e dei due significati, la “taratalla” veniva sollecitata da conduttore televisivo che felice e contento, occupando beato e serafico tutto il cinescopio, in sua burbanza tenendo pergamo, calcando pulpito e battendo ambone, predicava convinto: .Il gesto delle “corna” originavasi in Creta, isola dalle cento città. In quell’isola ricca di luce e beata di sole, la prinCipessa Pasifae si prendeva di grande amore per il toro e con essa bestia fornicava, spudorata, carnal congiunzione. Dalla nefanda unione nasceva il Minotauro: essere dalle due nature: uomo dalle piante al busto, dal collo alla testa toro con froge, piatta fronte e robusti corni lunati. Da Creta, 11 gesto passava a Malta e diffuso per la Trinacria tutta, scavalcando lo stretto di Zancle, per la Magna Grecia delle Calabrie risaliva la penisola diffondendosi per le terre e le città d’Italia-o
Questo il conduttore diceva slargando gli occhi dietro le lenti e soddisfatto soggiungeva: -Tutto questo scritto in un mio libro-, invitando con cenni d’occhi e di mani al consenso la gentil presentatrice che accanto gli faceva bordone di sorrisi e consensi.
Quell’uomo apprezzato dai vicini e dai lontani faceva inorridire chi non digeriva la grossolana falsità delle “corna” cretesi come chi non riusciva a darsi ragione plausibile delle “corna” da Pasifae e dal toro fatte a non si sa chi se si escludono le innocenti vacche di Creta.
Nella spocchiosa sicumera del conduttore e nella prona accettazione dei televidenti tutti, se non rei, correi della stessa incultura, la molla e il pungolo per la “taratalla”, mirata a togliere ai Greculi cretesi non cretini l’onore e l’orrore dell’infame gesto infamante.
Sulle bocche, sugli indici, e sui mignoli degl1ltaloni, maschi e femmine “inclusive”, corre il gesto e l’espressione delle “corna” che racchiude uguale e opposto significato. Turba il fatto che chi fa il gesto delle “corna” contro cornificati e cornificate fa lo stesso gesto nella convinzione di allontanare mali, malanni, malocchio, iella, iettatura e scalogna, ma nessuno dà del fenomeno adeguata spiegazione.
La Filologia Sperimentale ha recepito l’assioma: «Nella lingua non coesistono due “paroles” con ugual significato». Se questo è vero come vero, come spiegare l’esistenza dello stesso gesto e la coesistenza di due diversi e opposti significati nello stesso gesto? Se lo stesso gesto sopporta il significato delle “corna “: “far le corna “, mettere le corna ” e il significato apotropaico, i due diversi significati provano due diverse culture nelle quali essi avevano origine. Quali culture e quali civiltà?
Nella Ciociaria, ampia terra che con valloni e valloncelli copre lo spazio percorso dall’Amaseno, dall’Ufente, dal Sacco, dal Gari, dal Liri, dal Rapido e dal Fibreno, chiusa a oriente dai contrafforti delle Mainarde, resiste uso antico mai dismesso dalla gente che rispetta le tradizioni dai padri ai figli e dalle madri trasmesse alle figlie.
Padrini e madrine al fonte battesimale delle belle chiese ciociare mettono al collo dei battezzanti pargoletti catenina con crocetta d’oro, con manina d’avorio e d’oro con indice e mignolo protesi nel gesto delle “corna “. La preziosa “manetta a corna” è fossilizzato residuo della paganità più antica della croce cristiana, se la Roma pagana più antica della Roma cristiana.
Nella colonna Ulpia-Traiana, i legionari regolari e i “sodites ” dei Reparti d’Assalto con al collo il fazzoletto con i colori del reparto, salutato Traiano alla voce: “Ave, Caesar”, con il gesto delle “corna” auguravano all’Obercomandante delle “Forze Combinate Romane” la condotta vittoriosa della “debellatio ” scatenata contro i pertinaci, pervicaci e contumaci Daci e contro il perfido Decebalo, re del “Secondo Regno Dacico Unificato”.
I legionari “Undecimani Claudiani Pii Fideles”, “Secundani Adiutores”, “Quintidecumani Apollinares”, Quartidecumani”, “Primani Adiutores”, “Quartani Flaviani”, “Septimani Claudiani Pii Fideles”, “Tertiidecumani”, “Tricesimani”, “Primani ltalici”, “Quintani Macedonici”, “Secundani Traiani”, “Primani Minervii”, stretti dall’ “arctissima disciplina castrensis” potevano solo augurar bene al duce, contro il quale potevano sberciare stornelli caustici d'”italicum acetum ” e colorati d’osca oscenità lungo la “Sacra via” nel giorno del trionfo, alludendo senza veli e senza merletti alla condotta dell’imperial moglie Plotina.
Quel gesto bene augurante come il fascio, il lituo, il flauto a doppia canna: “incentiva” e “succentiva” il rituale religioso, auguri e aruspicina e tutta la “Tusca disciplina” erano stati introdotti tra i Romani prisci abitatori del “Latium vetus” dagli Etruschi conquistatori.
In un sarcofago etrusco giacciono sdraiati moglie e marito nella serena immobilità della morte: i due morti si scambiano il gesto delle “corna” che si facevano da vivi ad augurar vita beata nell’aldilà come vivi se l’auguravano nell’aldiqua.
Nelle mani, nelle teste, nei cuori e sulle bocche degli antichi Etruschi e dei Romani come dei Ciociari il gesto non contemplava traditi e tradite, cornuti e cornute, cornificabili e cornificandemail premuroso augurio che mali, malanni, malattie e morbi, malocchio, iella, iettatura e ogni fattura stessero lontani dalla
persona cara verso la quale s’appuntava il gesto d’affettuosa cura.
Il gesto non abbisognava di spiegazione per i Romani abituati a cacciare con la “furca” i lupi dal gregge e a portare in cima ai due denti della “furcula” zaino, viatico e utensili utili al legionario nelle marce forzate: “magna itinera”.
Le cose mutavano e per le contrade d’Italia scavallavano i Barbari calzavando elmi dalla liscia calotta e con robusti corni, ma nelle menti della gente italica e nelle mani resisteva il gesto e perduravane l’antico significato apotropaico.
I Romani tradivano mogli, amanti e concubine e facevano gran pratica delle meretrici nei lupanari, ma dicevano “committere adulterium” o “per fidem decipere” riferiti alle adultere traditrici mai agli adulteri traditori, il maschio godendo allora d’ampia libertà negli affari sessuali.
L’espressione: “far le corna” non nata nella Tuscia degli Etruschi, non nella Romania dei Romani, nata nei tempi barbarici, se Basilio Faber scriveva: .Cornua viris uxores dicuntur hodie facere quae impudicae sunt et adulterantur>, con l’avverbio “hodie” sottolineando la nuova espressione non registrata nella lingua di Roma,
Negli Statuti di Ferrara il capitolo col titolo: “De uxsoribus corna facientibus viris suis” porta l’espressione ma d’essa non spiega origine e formazione.
Per le terre d’Emilia e Romagna scorazzavano i Goti barbari e fieri che pià barbari e più fieri non se n’erano mai visti per quelle contrade. Quei guerrieri fieri delle spade ma più fieri degli elmi che con i corni significavano rango e grado di chi l’elmo calzava, apprezzando i fabbri italici, da questi si facevano fare gli elmi ornati di corni.
Quei barbaro cogli elmi in testa movevano a guerra, a rapine e saccheggi e i fabbri che gli elmi avevano ornato di corni si davano cura e pena per racconsolare le mogli abbandonate, dal “fare i corni” passando a “far le corna“, con buona grazie delle femmine con gioia dei maschi, ma con acerbe rampogne dei frati e dei preti che dai pulpiti tuonavano contro la pratica scellerata che se aveva dell’umano, niente aveva del cristiano spirito basato sul “loghion”: <<Non fare ad altrui, quanto non vuoi fatto a te stesso!>> che non riguarda solo il campo delle “corna”, anche se lo tocca nel profondo a vantaggio del singolo, a vantaggio di tutta la società.
Davide Nardoni
Da “Spiragli”, anno IV, n.2, 1992, pagg. 4-6