AA . VV., Dio nella poesia del Novecento (a cura di R. Ricchi-M. Rosito), Firenze Libri, 1991.
La coscienza del sacro
Una lunga catena di poeti, ordinati alfabeticamente, sfila come le perle di una collana bene assortita nel colore prescelto; in questo caso la religiosità in campo letterario nella sublimazione poetica. È nell’amore che parla al proprio Dio, è nell’io trascendente l’amore dell’anima assetata in cerca della fonte della vita che nella quiete contemplativa si fa domanda, esce dal tormento e si fa estasi. Nel libro così impostato da Renzo Ricchi e Massimiliano Esposito, direttore della rivista “Città di Vita”, si susseguono poeti noti e meno noti, poeti santi e poeti inguaribilmente scettici, dove sussiste qualche sprazzo di luce e dove l’ironia sorniona è assunta per sottolineare la cecità degli uomini chiusi alla lunga mano di Dio insita anche in un timido coniglio (vedi il caso Prévért).
Nella vasta geografia letteraria europea del Novecento sono accostati poeti russi, spagnoli, francesi, inglesi, greci, tedeschi e italiani. Dalla russa Anna Achmatova che chiede consolazione a Cristo nel suo dolore stringato di madre e di sposa, il confronto, a rigore di pagina, con Guillaume Apollinaire che, svolgendo il suo credo in una ininterrotta discorsività spesso vaniloquente, addita poi «la torcia dalla rossa chioma che nessuno può spegnere». Insieme vanno Alfonso Gatto in “Santa Chiara” e Kahlil Gibran con la sua mistica orientale che «giunge a vedere il mondo come un’unità perfetta, e la vita un’armonia eterna». Così è per Rabindranath Tagore che dalla via del dolore risale alla gioia della conoscenza ed esclama: «La vita è immensa!».
Anche se da più parti si è gridato alla morte di Dio, gli Autori di questa bella antologia trovano la coscienza del sacro in ogni poeta; siano essi agnostici, nel tarlo del dubbio o nella dimensione della trascendenza, non negano mai l’esistenza di Dio in assoluto. La porta della Verità è lì che attende, sino alla fine dei secoli per dire ai giusti: «Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il Regno, perché mi avete beneficiato nella persona dei miei fratelli»; dirà ai peccatori: «Andate maledetti al fuoco eterno, perché non mi avete amato nella persona dei fratelli bisognosi».
Nella ricerca di Dio attraverso il dolore pur necessario a smuovere la coscienza della Verità, il canto religioso si fa preghiera di conforto. Illuminato dalla fede il cammino della conoscenza si fa ardore in Ferdinando Antonio Nogheira Pessoa, macerazione in Clemente Rebora, abbandono in Miguel de Unamuno: «Non cerco più, / non mi posso più muovere, m’arrendo; / t’aspetto qui, Signore, e qui t’attendo…». Il distacco riverente di Costantino Kavafis accede alla “pietas” nel senso umano, non va oltre:«Forse sarà la luce altra tortura».
Incombe la paura nella caratteristica follia dei tempi moderni in cui la mancanza di equilibri genera smarrimento e diffidenza in tutto ciò che va oltre il visibile percettivo. Paura e pigrizia mentale non offrono sostegno allo scavo interiore. Anche Guido Gozzano si trincerà dentro rifugi d’avorio e in un suo sonetto semiserio dice: «Amare giova! Sulle nostre teste / par che la falce sibilando avverta / d’una legge di pace e di perdono: / – non fate agli altri ciò che non vorreste / fosse fatto a voi!». E mi pare giusto per la pace del mondo.
La poesia religiosa si è fatta preminente in questi ultimi decenni, di buon auspicio per il nuovo millennio. Ben vengano queste antologie. I poeti riportati sarebbero tutti da citare, ma ci contentiamo di concludere con un’attenzione al poeta Herman Hesse, considerato un maestro delle nuove generazioni che apprezzano soprattutto il forte equilibrio interiore che è nelle sue opere e certe forme di misticismo orientale. Così scrive in una sua riflessione: «Dio è lo Spirito ed eterno, / Incontro gli andiamo, strumento di Esso / ed immagine; a questo aspiriamo nell’intimo: / diventare com’Esso, brillare della sua luce». Nella discordia dei tempi moderni ora si avverte un incipit vita nova.
Rosa Barbieri