Domenico Cara, Le diagonali della psiche, Borgomanero (No), 2010.
Parola fluida e dilatata
Scrittore prolifico e autore di numerosi libri, sia in versi che di critica, a partire dal 1959, il calabrese Domenico Cara, abitante da molti anni a Milano e fondatore delle Edizioni Laboratorio delle Arti, continua a pubblicare con cadenza quasi annuale e sempre ad alto livello. Il suo ultimo libro di versi, Le diagonali della psiche contiene testi dal 1995 al 2006 dove emerge un’inquieta ricerca linguistica di strutturale avanguardia, che Cara ha, da sempre tenuto presente. Emerge dal silenzio della pagina essenziale la valorizzazione della forma, in modo che si realizza un’attenta ricerca, fino alla pura sequenza nominale, sin dall’inizio, che sta oltre la parola stessa, rifrangendola in parecchie direzioni, aprendo una nube di significati.
Andrea Rompianesi, nella sua postfazione, scrive, tra l’altro: «Simboli, complicità, lacerazioni coniugano il dettato tematico di Cara che giunge a tale riva attraverso viandanze che hanno conosciuto febbri, rigenerazioni, utopie, macerie, un dilagare anche corale e drammatico nel quale un approccio ermeneutico non soccombe all’incedere forzato dei relitti… Ma la poesia è qui conoscenza, incisione grafica connessa a ritmica definizione, enjambement filosoficamente rivolto all’accidentato percorso dei sensi… Energico, a questo punto, l’impegno intellettuale di Domenico Cara, il suo condividere epidermico passioni, ricerche, quesiti di senso, oltre le contaminazioni dei dettati stilistici, tale da costruire lo stile stesso in un attento edificare demiurgico.»
L’uomo e lo spazio, sia fisico, che spirituale, sono i capisaldi intorno ai quali ruotano molteplici significati di molti testi. Tutto è realizzato da un impasto linguistico, che ha risorse di rilievo proprio dove l’espressione si rasserena e diventa approccio diretto alle cose. E si ha una poesia compiuta, perciò autonoma, che trova la forza nel movimento fluido e nella drammaticità delle sue immagini, in cui il linguaggio della natura si traduce in forma di suono, e di sogno, di luce e di ombra. L’autore conosce la coscienza delle parole e il fermento dei pensieri e sa leggere la realtà di ciò che vi sta sotto, ma non è disposto a barattare la forma. Viaggia alla ricerca della propria intrinseca realtà, in un ostinato disincanto, tormentato e sfuggente.
Emblematiche sono alcune sue composizioni più brevi, dove il messaggio è più chiaro e più significativo. «Prima di me l’idolo arcano / sfiorava epoche perdute / adesso legge incantamenti / s’annida nelle mie preghiere / e affonda in aloni e cerchi» (“L’idolo“ ). «La pietà non raccontava fasi / di lamentazione ma si mostrava / attiva con il silenzio di soprassalto» (“ La pietà“). «Manipola la storia una sua rima / l’ibrido fatto o un desiderio / nel luogo di stupori / e il vento porta ricordi / odori di vendette cieche» (“Il clima”)
L’atto diretto dello scrivere, in Cara, si stagna come momento di un’istituzione espressiva che fa della parola qualcosa di fluido e si dilata sotto l’influenza di un io che vuole verificare la realtà per una sorta d’istinto viscerale. Vengono inventate ossimoriche strutture che determinano spazio alla riproduzione reale di eventi e di emozioni devastanti, per ridare valore alla normalità, sublimando il reale.. Emerge dalla pagina la valorizzazione della forma, in modo che si realizza un’attenta ricerca del sostantivo, fino alla pura sequenza nominale, che sta oltre la parola stessa, rifrangendola in parecchie direzioni, aprendo una nube di significati. Gli impulsi più profondi attivano e animano il flusso incessante della comunicazione e, alla fine, si scoprono sollecitati da motivazioni verticali. Il segno tracciato dall’uomo e il significato che riassume è uno dei tempi di questa complessa ma interessantissima raccolta di versi, nella quale la parola, come mezzo di comunicazione, perseguita il poeta, che si sente impotente di fronte alla vita, data la molteplicità delle valenze che assume.
Emanuele Schembari