La colonia inglese di Marsala. Annotazioni bibliografiche
l. I Viaggiatori stranieri. – L’attenzione degli studiosi sulla presenza e sulle attività dei commercianti imprenditori inglesi in Sicilia tra Sette e Ottocento è considerevolmente cresciuta da quando Raleigh Trevelyan, sollecitato dall’ultima rappresentante di una delle più prestigiose dinastie di quei mercanti anglo-siciliani che avevano fatto fortuna nell’Isola, col noto saggio “Principi sotto il vulcano”1, ha richiamato l’attenzione, anche di un vasto pubblico, su questo aspetto fino allora assai trascurato della storia di Sicilia.
È noto che nell’ambito della più vasta presenza britannica in Sicilia, una comunità inglese, forse complessivamente trascurabile per consistenza numerica ma certamente non per il volume degli affari trattati, si stabilì assai precocemente anche a Marsala. Ma essa finora non ha trovato tra gli studiosi quella attenzione che indubbiamente meriterebbe e soltanto qua e là nelle opere di carattere generale sulla storia economica della Sicilia è possibile rintracciare delle informazioni sulla colonia inglese di Marsala.
In tale mancanza di una specifica bibliografia assume valore di fonte storica di primaria importanza la memorialistica dei numerosi viaggiatori stranieri, soprattutto inglesi, che sulla scia del Brydone2, vennero in Sicilia attirati ‘dal fascino dell’antichità classica e dal gusto dell’avventura.
È evidente però che Marsala, posta in una posizione geografica periferica e scarsa di vistose vestigia di antichità, come quelle che potevano vantare altri centri isolani, più che una meta ricercata risultava una tappa di passaggio nella quale i “turisti” sostavano poche ore. Dopo aver appreso con stupore l’esistenza di connazionali che qui avevano fatto fortuna o annotato con un sentimento a metà tra l’orgoglio e il disappunto che la Chiesa Madre era dedicata ad un vescovo cattolico inglese3, che qualcuno definisce addirittura ribelle4, scendevano nella cosiddetta grotta della Sibilla5 o visitavano l’oscillante campanile del Convento dei Carmelitani6, quindi si recavano in uno degli stabilimenti inglesi, solitamente quello di Woodhouse7, per gustare un bicchiere di buon vino e ripartivano per altri luoghi artisticamente più interessanti o più pittoreschi. Di conseguenza solo pochi viaggiatori, andando al di là del pittoresco o della mera annotazione archeologica, hanno saputo lasciarci delle informazioni sulla realtà economica e sociale della città in generale e sulla colonia inglese in particolare.
Tra questi ultimi va ricordato L. Simond, che, passando da Marsala nel 1818, non ebbe modo di visitare alcuno stabilimento vinicolo ma annotò la “curiosa circostanza”8 che il famoso vino Marsala fosse preparato da alcuni inglesi, i signori Woodhouse. Questa circostanza lo confermò nella sua analisi sui mali della Sicilia che il Simond individuò nella mancanza di libertà economica:
[La Sicilia] sarebbe tuttora in grado di nutrire una popolazione cinque volte maggiore, se tal popolazione fosse lasciata in pace e se le sue industrie non fossero soffocate da assurdi regolamenti, dal momento che le sue innate capacità sono ben superiori alla cattiva amministrazione(9)
Richard Church, comandante generale delle truppe borboniche in Sicilia, in fuga da Palermo in rivolta nel 1820 giunse a Marsala dove fu accolto ospitalmente da John Woodhouse, il quale
diede ordine che si preparassero vino, cibo e munizioni per rifornire l’imbarcazione, li portò a casa sua per cenare con loro, assicurandoli che non dovevano temere né per sé né per lui, e ciò perché in primo luogo la gente di Marsala gli doveva troppo per volergli arrecare offesa, e in secondo luogo egli disponeva di un numero sufficiente di operai per difendere la propria casa anche contro l’intera popolazione10.
Troviamo qui enunciato per la prima volta e in maniera esplicita l’atteggiamento che sarà tipico degli inglesi nei confronti della comunità marsalese: da un lato c’è fiducia nella popolazione locale nella convinzione che i benefici ad essa arrecati dovrebbero renderla riconoscente, dall’altra c’è il timore di una rivolta improvvisa e di saccheggi.
Uno sforzo maggiore di comprensione della realtà locale troviamo nel tedesco Justus Tommasini11, pseudonimo di un tal H. Westphal, che visitò la città nel maggio 1822 e che ci ha lasciato un’interessante ma non molto nota testimonianza su John Woodhouse e più in generale sull’economia siciliana di quegli anni:
Ieri sera dal nostro padrone di casa [Woodhouse) è venuto ancora un altro ospite che sembrava conoscerlo molto bene, era un maltese che… faceva frequenti viaggi in Sicilia dove era molto conosciuto. Molto presto si awiò un discorso… e ti comunico per esteso ciò che disse. “I Siciliani sono un popolo molto inattivo, senza alcuna industriosità ed essi volentieri vorrebbero che cadesse nelle loro bocche la manna dal cielo così come accadde agli Ebrei in modo tale da non aver bisogno né di seminare né di arare. “Siamo ridotti all’estremo della miseria!” questa è la loro eterna canzone e le pallide ed affamate figure, avvolte in pochi e miseri stracci che contrastano enormemente colla natura esuberante rendono veritiera questa affermazione. Se si cerca però la causa di una tale miseria, la si troverà quasi certamente nella poltroniera del popolo. Certamente, chi vede correre avanti ed indietro questa gente ai mercati e sulle strade e soprattutto la sente infuriarsi, gridare, potrebbe pensare che non esiste gente più attiva dei Siciliani. Chi ha visto le grandi città come Palermo, Messina e Catania non vorrebbe neanche credere che la miseria del popolo sia così grande com’è in realtà, perché lì la classe meno abbiente trova tuttavia sempre la possibilità di guadagnare qualcosa per il sostentamento giornaliero. Ma se si va nelle piccole città, soprattutto nelle città interne dove non c’è alcun traffico si nota che nonc’è la possibilità di guadagno correndo qua e là, ma bisogna occuparsi di un certo lavoro per alcune ore del giorno e ciò è per loro faticoso e penoso. Così ci si convince che i Siciliani preferiscono vivere nella più grande miseria e privazione anziché avere una vita comoda per mezzo di una attività ordinata ed intensa. Certamente il governo ha la sua colpa e contribuisce con un sistema finanziario non adeguato e pesanti tasse alla miseria generale, ma la causa vera della miseria sta nel popolo stesso. (…) Il contadino che vive nella piccola città (i villaggi si trovano soltanto nella regione dell’Etna) spesso molte miglia distante dal suo campo, ogni settimana va fuori per due o tre giorni per coltivarlo e curarlo e la notte resta in una piccola capanna sul campo stesso e quindi per i giorni che rimangono resta in città e si dedica al suo far nulla. Come può prosperare l’agricoltura con un sistema di lavoro di questo tipo? Non mi si contraddica col dire che la gente sarebbe più attiva se ci fosse più traffico e potesse sperare in un mercato più sicuro per i suoi prodotti: ma il traffico si potrebbe trovare soltanto se prima ci fosse l’attività interna e se i Siciliani avessero prodotti da ofIrire … Il modo in cui il nostro padrone di casa [Woodhouse] è giunto alla sua ricchezza, fornisce un bell’esempio di cosa si può conquistare in questo paese con una attività vivace; ve lo voglio raccontare poiché per il momento non è presente.Circa venti anni fa egli arriva a Malta come povero bottaio, ma ha conoscenze riguardanti la coltivazione delle vigne, così prosegue per la Sicilia, perché ha sentito dire che qui c’è una grande quantità di buoni vini che nessuno sa come trattare. Si stabilisce a Marsala, apre un piccolo negozio senza tanti soldi e poi lo amplia a poco a poco, in quanto la sua attività gli consente un certo profitto. Ora è un uomo che possiede molto più di un milione di piastre spagnole, ha vigneti qui ed a Malta e possiede mille botti enormi piene fino all’orlo. (…) Quest’ultimo non ha avuto né aiuto né incoraggiamento da parte dello Stato, anzi ha dovuto pagare tasse molto alte, dimostrando di essere più attivo dei Siciliani i quali mettono le mani in tasca e si lamentano. Però Mr. Woodhouse non è l’unico straniero che si è arricchito in questo paese, a Palermo a Messina ed a Siracusa, si possono trovare parecchi stranieri che si sono arricchiti”12
Tra i viaggiatori inglesi del primo Ottocento va ricordato ancora Richard Grenville, Duca di Buckingham13, venuto a Marsala nel giugno 1828, cui dobbiamo alcune utili informazioni sulla produzione e sul commercio del vino:
Il Signor Barlow, un socio della ditta vinicola Woodhouse e C.. venne da me con campioni del loro vino. Adesso qui vi sono non meno di tre stabilimenti di commercianti inglesi di vino. Woodhouse esporta annualmente in media sulle 3.000 pipe. Vendono una grande quantità in America, così come in Inghilterra. Essi pongono molta attenzione alla crescita dell’uva, alla loro coltivazione e alla vinificazione. Possiedono grandi vigneti. ma oltre a questi sopraintendono alla coltivazione di una quantità di viti appartenenti a piccoli proprietari, di cui acquistano i raccolti e a cui anticipano i capitali per la coltivazione. Il vino è buono di per sé, ma, a mio giudizio, è molto danneggiato dalla quantità di brandy che vi aggiungono per i mercati americano e britannico. Per questa ragione vendono molto poco ai nativi o agli italiani, ma ne spediscono molto a Malta e alle navi inglesi nel Mediterraneo. La ditta Woodhouse e C. impiega regolarmente, per tutto l’anno, novantasette persone nel suo stabilimento, oltre agli addetti alla vendemmia e alla regolare coltivazione dell’uva. I siciliani stanno cominciando a diventare gelosi degli stabilimenti e perciò lamentano che i loro soldi vadano nelle mani degli stranieri. Essi non hanno ancora l’acume di capire che il capitale degli stranieri crea capitale in casa loro, e questa è la vera origine della prosperità di una nazione14
Non sono molto interessanti le informazioni che ci forniscono altri viaggiatori come J. F. d’OsteIVald15, Girolamo Orti16, il Marchese d’Orrnonde17, Giovanna Power18 o J. Galt19 i quali si limitano a ripetere le medesime notizie, per lo più apprese dagli occasionali accompagnatori locali. Un discorso a parte merita George Dennis autore di un Handbook far travellers in Sicily, manuale prezioso per la ricchezza e la precisione delle notizie che contiene20. Il Dennis, che fu anche console inglese a Palermo, aveva una buona conoscenza della realtà isolana e si intendeva di agricoltura ed economia. oltre che di arte e di storia antica e moderna.
Gli stabilimenti vinicoli di Marsala, – egli scrive – che sono fuori città, sono di grandi dimensioni, essendo dei larghi recinti quadrangolari di alte mura. con torri agli angoli e fiancheggianti le porte di ingresso, così costruite in modo da offrire difesa dai tumulti popolari; e possono essere presi per una serie di fortilizi isolati lungo la riva del mare. La maggior parte di essi sono di proprietà di Inglesi. Quelli dei signori Gill e Corlett e del signor Lipari sono a Nord della città; quelli a Sud sono i più grossi ed appartengono a parecchie ditte Wood, Woodhouse, Florio ed Ingham. Il primo stabilimento è stato quello del signor John Woodhouse, il quale risale al 1789. Per opera sua il vino marsala è stato introdotto, nel 1802, nella flotta inglese nel Mediterraneo e per cortesia di Lord Nelson ricevette l’appellativo di “Bronte-Madeira”, sotto il quale nome è stato in seguito importato in Inghilterra, dove, pur non essendo tenuto in così alta considerazione come lo sheny, attualmente raggiunge un prezzo quasi altrettanto alto. L’ammontare annuo del vino prodotto in Marsala e nel suo territorio, prima che l’oidio degli scorsi anni diminuisse il raccolto, era di circa 30.000 pipe, dei quali 20.000 venivano esportati: 8.000 circa di vino superiore in Inghilterra, Francia e Stati Uniti, e la differenza di inferiore qualità a Malta ed in Italia. La vite è coltivata nei declivi delle colline dei dintorni ed è generalmente di uva bianca, con qualche aggiunta di nera, la quale è ritenuta essere un conservante dell’aroma. Il viaggiatore non dovrebbe mancare di visitare l’uno o l’altro di questo baglio. Quelli di Ingham, Woodhouse e Florio sono i più grossi, ed impiegano circa 100 uomini ciascuno. Egli otterrà il permesso d’entrare mandando il suo biglietto da visita e sarà ricevuto con grande cortesia e attenzione. Ciascun baglio è in sé una piccola città. Ogni cosa è fatta all’interno delle mura, salvo il vino. Questo è acquistato dai coltivatori da un capo all’altro della campagna e ammassato qui per la esportazione. La grande estensione dei locali, le grandi dimensioni delle volte, qualcosa come 150 yarde in lunghezza, e molte migliaia di pipes sistemati in file e file e piani sopra piani, non possono non suscitare meraviglia; mentre l’attività degli operai, dei bottai e dei distillatori, l’impiego del vapore, la divisione del lavoro, l’ordine e la regolarità osservabili dappertutto, sono lusinghevoli per i visitatori, tali da offrire uno straordinario spettacolo di britannica industriosità in una terra indolente. Il baglio di Woodhouse contiene una cappella ed un cimitero per gli inglesi che muoiono a Marsala, nel quale vi è la tomba del vecchio John Woodhouse. il fondatore della colonia21.
Quest’aspetto turrito, da avamposto isolato in territorio nemico che aveva impressionato il Dennis, si poteva cogliere ancora alla fine dell’Ottocento quando a Ronny Gower il baglio sembrò “più simile a una fortezza o a un carcere che a uno stabilimento vinicolo”22. Agli inizi di questo secolo D. Sladen dedicava oltre due capitoli di un volumetto intitolato Segesta, Selinunte and the West of Sicily alla colonia britannica di Marsala e all’attività degli stabilimenti enologici inglesi23. Il resoconto dello Sladen, assai interessante per la gran massa di informazioni che ci fornisce. meriterebbe di essere tradotto e ristampato. L’autore comincia col mettere in risalto l’influenza positiva che la secolare presenza inglese a Marsala ha avuto sui costumi locali:
Non c’è niente di più insopportabile che arrivare in una stazione siciliana, dove gli impiegati possono metterci un’ora per portare i tuoi bagagli dal bagagliaio alla strada, mentre stai difendendo il tuo bagaglio a mano da tutti i banditi del posto. Ma abbiamo trovato Marsala una gradevole eccezione. Il posto è stato battuto dagli inglesi per tanta parte del secolo che è diventato proprio efficiente24.
Un altro effetto della presenza inglese l’autore la vede nel tenore di vita della popolazione, che risulta notevolmente diverso e superiore rispetto a quello degli altri isolani, e nell’assenza del brigantaggio:
Sparse qua e là c’erano piccole villette bianche o rosse appartenenti ai facoltosi commercianti di Marsala, tutte con alti vasi sui loro tetti piatti e alcune con alte palme all’angolo del giardino. Marsala e Trapani sono così progredite che la gente può vivere fuori città senza paura dei briganti. In Sicilia il brigantaggio è in rapporto inverso ai salari25
Non meno ricca e interessante è la parte del libro in cui sono descritti i sistemi di conduzione aziendale della ditta Ingham Whitaker. Gli imprenditori inglesi, nota lo Sladen, non coltivano il vigneto che in quantità assai limitata di conseguenza sono costretti ad accaparrarsi il prodotto in anticipo attraverso un sistema di obbligazioni:
I signori Ingham, Whitaker e C. “obbligano” gli agricoltori in anticipo per le loro uve, ed inviano i loro mediatori in giro ad intervalli durante !’inverno e la primavera per essere sicuri che le vigne vengano correttamente potate e coltivate; ma essi stiano specialmente attenti nel periodo della vendemmia a che gli agricoltori non raccolgano le uve fino a quando non siano mature26.
Nella descrizione che l’autore fa dei rapporti tra inglesi e siciliani affiora un senso di separatezza, quasi una necessità di guardarsi da una popolazione di tipo levantino abile ad escogitare espedienti per rubare:
Ogni lavoro viene effettuato nello stabilimento, e il baglio dall’alba al tramonto per sei giorni alla settimana è come se fosse una piccola operosa cittadina. Gli uomini, all’uscita dal baglio ogni sera. vengono perquisiti da uno del personale, e questo è necessario a causa della straordinaria brama che essi hanno di portar via dei souvenir nella forma di una vecchia lima, di una pialla o cose simili, anche se a volte i loro furti prendono una forma più seria. Essi sono, in realtà, occasionalmente fatti con positiva ingegnosità, come, per esempio, quando è stato scoperto che alcuni di loro avevano abilmente costruito piccoli recipienti di latta da adattare al torace sotto la camicia, capaci di contenere una o due pinte di vino o alcool, il cui frequente contrabbando poteva in breve raggiungere una considerevole quantità27.
L’ultima descrizione dell’attività degli inglesi di Marsala, prima che la grande crisi li travolgesse, è offerta da Alec Tweedie28. La Tweedie dopo aver espresso il proprio compiaciuto stupore per aver trovato a Marsala presso i Whitaker una “deliziosa e confortevole casa inglese nel mezzo di contrade così forestiere”, nella quale ha potuto godere le indescrivibili gioie che possono assicurare “un vero bagno caldo, un caminetto inglese con legno scoppiettante e carbone nel pomeriggio e marmellata a colazione”, ricorda che l’onore della scoperta del vino Marsala spetta ad un inglese29. Descrive quindi con precisione le varie fasi della coltivazione della vite e della preparazione del vino e trova modo di ricordare l’atteggiamento dei lavoratori negli stabilimenti vinicoli inglesi:
I lavoratori al “baglio” o stabilimento hanno il loro proprio refettorio come i monaci nel monastero; qui cucinano e consumano il loro pasto di mezzogiorno ed alla fine fanno la siesta pomeridiana sul manto erboso. Essi hanno avuto una certa quantità di vino ma non è permesso aiutare sé stessi. Quest’ultima era l’occupazione favorita un tempo, perciò adesso ogni uomo è perquisito all’uscita. Qualcuno di genio ha fabbricato da se stesso un bricco di latta stagnata di circa un pollice e mezzo, nel travasava una bottiglia di vino giornalmente fino a quando non fu scoperto. Altri rubano spago, chiodi, e cose insignificanti di qualsiasi tipo, articoli di così poco valore che è sembrato insensato rischiare il licenziamento per tali bagatelli 30
Accanto alla letteratura memorialistica dei viaggiatori stranieri che si esaurisce agli inizi del secolo, quando il viaggio in Sicilia finisce di rappresentare un’esaltante avventura, vanno ricordati gli scritti, ricchi di notizie e riflessioni, di Tina Whitaker Scalia. Essa fu la prima a dare un’immagine dall’interno della colonia inglese di Sicilia in un articolo dedicato a Benjamin Ingham, suo prozio31.
La Whitaker Scalia dopo aver ricostruito la genealogia della famiglia, delinea la figura e l’opera dell’Ingham. Per quel che riguarda il nostro tema, Tina ricorda che Ingham abitò quasi sempre a Marsala nel primo periodo.
Giovanni Alagna
(1) R TREVELYAN, Principi sotto Uvulcano, trad. italiana, Rizzoli, Milano 1977.
(2) P. BRYD0NE, Viaggio in SicUia e a Malta. 1770, trad. italiana, Longanesi, Milano 1968.
(3) R. COLT HOARE, A classical tour through ILaly and SicUy, London 1819, p. 347.
(4) W. H. SMYIll, SicUy and its islands, London 1824, p. 232.
(5) Tra i tanti chc visitarono la grotta della Sibilla ricordiamo: C. DE BORCH, Lettres surla Siclle, t. II, Turin 1782, p. 42; J. BOUEL, Voyage pittoresques des isles de Sicile, Paris 1782- 1787, pp. 19-20; G. BELLAS GREENOUGB, Diario di un viaggio in Sicilia 1803, Siracusa -Palermo 1989, p. 68.
(6) J. HOUEL, Voyage pittoresque cit., p. 19; R; COLT BOARE, A classical tour, cit., p. 346. (7) G. COCKBURN, A voyage to Cadiz and Gibraltar up the Mediterranean to SicUy and Maltain 1810 & Il, voI. 2, London 1815, p. 33; DE f’ORBIN, Souvenirs de la Sici/e, Paris 1823, p.70.
(8) L. SIMOND, A tour through ltaly and Sicily, London 1828, p. 473.
(9) Ibid.
(lO) E. M. CIIURCH, Sir Richard Church in ltaly and Greece, Edinburgh 1895, in R. TREVELEYAN, Principi cit., p. 50.
(11) J: TOMMASINI. Bliq[e aus Sizilien. Bcrlin und Stcttin 1825.
(12) Ibili, pp. 111-118.
(13) R. GRENVILLE. The private diary oj Hichard, Duke oj Buckingham and Chandos, voI. II, London 1862.
(14) [bid., pp. 104-105.
(15) J. F. D’OSTERVALD, Viaggio pittorico in Sicilia. trad. italiana, Giada, Palermo 1990.
(16) G. ORTI, Viaggio alle Due Sicilie, ossia il giovane antiquario.
Verona 1825.
(17) J. D’OSSORY, MARCHESE D’ORMONDE, An autumn in Sicily, Dublin 1850.
(18) G. POWER, Guida per la Sicilia, Napoli 1842.
(19) J. GALT, Voyages and travels in the years 1809, 1810. an.d 1811 containing statistical,commercial, and miscellaneous observations on Gibraltar, Sardina, Sicily, Malta, Serigo andThrkey. London 1812.
(20) F. DENNIS, A handbook for lravellers in Sicily, London 1864.
(21) Ibid., pp. 182-183.
(22) R. GOWER, Old diaries. London 1902, riportato da R. TREVELYAN, Principi cit., p. 263.
(23) D. SLADEN, Segcsta. Selinuntc and (Ile West c!f Sici/y. London 1903.
(24) Ibid. p. 58.
(25) IbicL p. 73.
(26) IbicL p. 64.
(27) Ibid, p. 68.
(28) ALEC-1WEEDIE, Sunny Sicily, its rustics and its ruins. London 1904.
(29) Ibici., p. 228.
(30) Ibid, p. 231
(31) T. WHITAKER SCALIA, Be,.yarnin lngharn di Palermo, irad. di R. zanca, in Beryaminlngharn nell’econornia siciliana dell’Ottocento, Marsala 1985.
Da “Spiragli”, anno VI, n.1, 1994, pagg. 48-57.