Una lirica liturgica bizantina 

A San Marciano 

di Gregorio di Siracusa 

Gregorio di Siracusa (vissuto nella seconda metà del secolo VII), di cui non abbiamo altre notizie, è autore di tre «contàci» (preghiere ritmate accompagnate da musica, che erano alla base della liturgia bizantina), tutti incompleti, perché si fermano alla terza strofa, scritti in onore di san Marciano, di san Niceta martire e di san Luca evangelista. 

Nel canto per san Marciano (tradotto dal greco da Oreste Carbonera, gentilmente approntato per «Spiragli»), si fa cenno alla Sicilia, patria di Gregorio. Dopo una premessa, in cui sono esaltate le figure di Gesù, «sole di giustizia», di Pietro, «fulgida roccia», e di Marciano, «raggio profetico», inviato a predicare la parola di Dio, «vera conoscenza», e ad aprire alla fede gli uomini, l’encomiaste invoca il Santo, perché lo faccia avanzare nella conoscenza, per rendersi degno e potersi avvicinare a Dio, e insieme con lui le genti affidategli e la Sicilia, perché prosperino e crescano nella fede. 

È una preghiera entrata a far parte della liturgia bizantina, segno di una grande spiritualità, propria di quell’epoca,in cui le eresie e il paganesimo ritornante, mettendo a dura prova i credenti, ne corroboravano la fede e inculcavano loro una forte vitalità. 

Salvatore Vecchio 

La fulgida roccia, il principe supremo 

degli apostoli, 

dalle terre d’Oriente 

te, come più splendida stella 

di Cristo nostro Dio sole di giustizia, 

agli uomini d’ Occidente 

inviò come raggio profetico 

per illuminare i loro pensieri 

indirizzandoli alla conoscenza divina; 

e per mezzo di tali pii propositi 

da te inculcati, 

confermandolo nella retta fede, 

tu tempri e riscaldi il tuo gregge, 

o santissimo Marciano, 

svolgendo assiduamente le tue funzioni 

di intermediario a favore di tutti noi. 

Tu che hai acquisito l’arcana sapienza, 

tu che tutti hai sopravanzato 

nel protenderti 

verso il destino ultimo dell’ anima, 

o venerabile e santo Marciano, 

sii ora mediatore di grazia 

nell’infondermi la conoscenza 

del verbo divino, 

nel far risuonare il tuo nome, o padre, 

davanti alla santa Trinità, 

al cui cospetto ti sei elevato 

e accostato, 

nel liberarmi da tutte le passioni 

corporee 

e dai legami materiali, nel farmi tornare, 

allontanandomi dall’apatica 

indifferenza, 

al cammino che conduce verso Dio, 

nel quale tu sei stato stimato degno 

di precederci, 

svolgendo assiduamente le tue funzioni 

di intermediario a favore di tutti noi. 

Tu che detieni il bastone del comando, 

che hai fatto tua la croce del Signore, 

sei stato scelto come guida 

e compagno di viaggio 

per i suoi seguaci: 

infatti il nostro benefattore, inchiodato 

alla croce, 

risvegliatosi dal sepolcro e sconfitta 

la morte, 

come investito ormai di pieni poteri 

sul mondo ha mandato i suoi discepoli 

a battezzare tutte le genti 

nel nome del Padre, del figlio 

e dello Spirito Santo: 

dalle quali potenze celesti 

anche tu inviato 

come battezzatore dei popoli 

hai accumulato ingenti ricchezze 

spirituali 

svolgendo assiduamente le tue funzioni 

di intermediario a favore di tutti noi. 

Queste parole Pietro udì dal Signore: 

«Se mi sei sinceramente devoto 

e mi ami ardentemente, 

pascola le mie greggi, 

impartisci loro insegnamenti, 

facendo sì che maturino e procedano 

dall’ ignoranza alla conoscenza 

della santa Trinità.» 

Da quella stessa fonte tu, 

avendo ricevuto il mandato divino, 

lo adempisti zelantemente, 

come si addice a un capo e a un iniziato; 

e a te è stata affidata 

quest’isola di noi Siciliani, 

e tu hai ricevuto e accettato 

quest’eredità, o lume di sapienza, 

svolgendo assiduamemente 

le tue funzioni 

di intermediario a favore di tutti noi. 

(Trad. di O. Carbonero) 

Dello stesso autore: 

Fatalis occursus




HAIKUUM LATINORUM EXPERIMENTA 

Cerebri vires 
cotidiana rodit 
meditatio. 
Quoad humanum 
in terris erit genus, 
caedes edentur. 
Nemo re vera 
ad obeundam mortem 
paratus venit. 
Sunt a filio 
severis parentibus 
grates agendae. 
Qui plures usque 
divitias esurit, 
non satiatur. 
Pessime vivunt 
improbis pollentibus 
homines probi. 
Ab historia, 
qua sumus tarditate, 
nihil discimus. 
Rude donati 
nihil iam prospiciunt, 
retrorsum spectant. 
Caro debilis 
consilia frustratur 
mentis elata. 
His taetris annis 
fit omnis merx carior, 
vilescit virtus. 
Vivere solus 
quam cum falsis amicis 
equidem malo. 
Nil iucundius 
Est contemplatione 

Caeli sereni. 

Prove di Haikai latini. La mental forza / l’assidua corrode / meditazione. / Finché nel mondo / uomini resteranno,/ stragi faranno. / Nessun davvero / ad affrontar la morte / arriva pronto. / Deve il garzon / ai genitor severi / riconoscenza. / Chi di ricchezze / solamente ha fame /mai si sazia. / Mal se la passa, / ov’il figuro vince, / il galantuomo. / Dalla storia, / ottusi come siamo, / nulla impariamo. / I pensionati / nulla han davanti a sé / tutto dietro. / La debil carne / gli impulsi vanifica / dello spirito. / In questi anni bui / piùcare son le merci, / meno la virtù / Viver da solo / che con falsi amici / io preferisco. / Null’è più bel / che il contemplare / il ciel seren. 

(versione it. di O. C.) 

Da “Spiragli”, anno XXII, n.1, 2010, pag. 52.




FATALIS OCCURSUS

L’argomento di questo poemetto in esametri si riferisce al periodo compreso fra l’avvento del regime fascista e la sua caduta, con particolare attenzione per le leggi razziali del 1938 e l’occu-pazione nazista dell’Italia settentrionale fra il 1943 e il 1945. La vicenda narrata corrisponde so-stanzialmente a fatti reali, ma l’Autore si è concessa qualche libertà sulla caratterizzazione dei per-sonaggi, e ha mutato i nomi dei protagonisti e dei luoghi nei quali essi hanno operato. 

Tutto si basa sulle esperienze drammatiche di Anna e Marco, dapprima distanti e indipendenti e quindi esaminate separatamente mediante la tecnica dell’alternanza: il momento culminante è l’incontro fra i due, veramente «fatalis», voluto cioè dal destino o, per chi crede nell’intervento di Dio nella storia degli uomini, nella Provvidenza. 

Iudaeo Genuae de sangui ne nata peramplo, 
cum patre chirurgo praestanti nomine claro 
cui grates cives permulti sospite vita 
pergebant meritas post lustra exacta referre, 
matris freta suae tenerae ductu sapienti 
quae nummis et agris pariter florebat abundans, 
Annula terreni paradisi gaudia quaedam 
ter senos ignara mali perceperat annos. 
A genitrice sua perdiscere coeperat artes, 
pingendi imprimis, saltandi, dramata agendi; 
instituit genitor gnatam ut misceret avitos 
mores et ritus hodierni sensibus aevi; 
lautitiae addantur regales, grati a magna, 
certus apud populum favor assiduique clientes: 
munditiis puris circumdata vixerat Anna. 
Dissimilem numquam se senserat esse iuvencis 
in quorum villis horas degebat amoenas. 
Militiae assueto praedurae semine Marcus 
portus erat, bellis terra pelagoque peractis 
perbene de patria merito phalerisque superbo; 
unus amor fuerat cunctis maioribus eius 
excutere Italiae primo servile capistrum, 
dein decus huic populo prolapso reddere priscum. 
Impenso incensus gentis languentis amore, 
cui nihil externos domitores tandem aliquando 
profuerat pepulisse procul victricibus arrnis, 
Europa surdas nostris praebente querelis 
legitimis aures terrasque negante cupitasl, 
restitui fasces gavisus pectore forti 
turmis constituit Marcus coniungere sese 
indutis thorace nigro baculoque minaci. 
Adspersos sputis reduces membris mutilatos, 
vastantem saxis plebem facibusque tabernas, 
invadi pingues alienos undique fundos: 
omnia committi delicta aspexerat atra, 
publica quae posset iam vis compescere 
nulla. Confertas acies inimicas solus adortus, 
luctatur rabide per vicos, compita, rura; 
debilibus parcens, robustos sponte lacessit; 
consertas rixas existimat esse palaestram; 
vexillis rubeis exsultat corde potitus. 
Romana exoptans renovari antiqua tropaea, 
imperium valde gaudet fundare novellum 
Aethiopum in terris Ducis armatas legiones. 
Gaudia concedi constat mortali bus aegris, 
quae fatum mutabile mox furetur inique. 
occursus Annae timidi comites, quasi lepra 
mortifera aegrotans diro contamine obesset. 
«Lex nova te prohibet studiis incumbere amatis; 
malueram exitio perimi iuvenilibus annis, 
istius potius quam cogerer esse minister 
iniusti iussi, quod me observare necesse est»: 
vix retinere valet lacrimas praeses valedicens 
discipulae, cuius dotes laudaverat amplas. 
Filiolae frustra tristem lenire parentes 
maestitiam blandis ambo studuere susurris; 
in cassum vero solantia verba cadebant, 
cum spes iam sortis melioris nulla maneret. 
Fortunae adversae nequedum cogno verat imum 
tot vexata maIis insons virguncula fundum: 
transactis annis vixdum nam quinque, peric1um 
impendens gravius propere vacuare penates 
Iudaeos cogit procul et sperare salutem. 
Indiciis multis praedicta scelesta procella 
postremo exarsit vastantis fulminis instar: 
saeviit in gentem tranquille vivere suetam,
annorum luxu longorum denique fractam. 
Commodius possunt seiuncti eludere vinc1a: 
Alpina in casula genitor materque tenentur, 
Augustae Taurinorum petit Anna recessum. 
Secreto hospitio fruitur sutoris amici 
aedibus in parvis, dapibus contenta modestis. 
Fumosum prope stans pannis induta caminum, 
rarius ad caelum vitrea levat ora fenestra; 
ancillae similis digitis insistere summis 
suetae, ne strepitum faciens durae mala dicta 
perpetiatur erae, lamentum comprimit urgens. 
Haud procul hinc habitat crepidarum venditor alter, 
invidia pridem iam concru~iatus acerba; 
pectore lividulum fel nunc demum evomit imo: 
litterulas furtim turpes sine nomine mittens, 
Germanis latebrae sedem dominumque revelat. 
Compede vincta pedes, caris abstracta propinquis, 
carceris obscuri in cellam detruditur udam; 
nec tantum mortem quam suppIicium timet atrox, 
quod Mosis fama est subolem exspectare luendum. 
Forte tamen fuerat custodia tradita Marco, 
cui minime caedes iam praedonesque placebant: 
tot promissa Duci velit obiectare redacta 
in fumum aut prorsus tota in contraria versa. 
Russica iam c1ades pectus prostraverat audax: 
haerebant oculis glacie profugi rigefacti,
panis ab indigenis sicci fragmenta petentes. 
Iudaeos putat insontes persolvere poenas, 
ut vesana sitis saturetur saeva cruoris, 
quam Romanorum decet oppugnare2 nepotes. 
Postibus extemplo sic fatur Marcus apertis: 
«Hinc discede prius nece quam perimaris inermis». 
«Si quis me vinclis cognoverit esse solutam, 
nonne mea vice tu capitis damnaberis ipse?» 
«Vivere non operae pretium est, ubi vita negatur 
nil meritae puerae: nobis ignosce scelestis.» 
Ventorum celeres flatus superat fugiendo, 
nec retro spectat num quis post terga sequatur. 
Dux caelestis adest currenti providus Annae: 
non aliter potuit per sii vas, flumina, montes 
ad fines reperire viam quae duceret Alpis3. 
Protegit hos miseros profugos Helvetica terra: 
bellanti neutri parti sociata, benignis 
suppeditat mani bus cuivis solacia egeno. 
Deliciis mundis omnino e mente revulsis, 
aequanima Anna coquae patitur iam munere fungi; 
ignotas vitae curas sentire4 coacta, 
quot sibi contigerint comprendit gaudia quondam, 
quae mens pro nihilo levi or ducebat inepte. 
Libertas lustris quinque exoptata revertit, 
sternuntur saxis monumenta tyrannidis atrae; 
exulibus reditus prompte patet ecce misellis, 
aedes ut proprias erus unusquisque revisat, 
nil ubi praedonum rabies indemne reliquit. 
Vindictas victor de victis sumit amaras; 
vexati fiunt vexatores male sani; 
sanguinat urbs odiis taetre laniata vetustis; 
non patrem subolis miseret iam nec patris, eheu, 
ingratam prolem: scelerata triumphat Erinys. 
Iam profligatis dignatur parcere nemo: 
plumbea glans aufert, verno dum flore virescunt, 
complures iuvenes veniam a tortore precantes. 
Discursu anxifero benefactorem cupit illum, 
cui grates magnas reddat, revidere puella, 
etsi mens praesaga timet ne fata benigno 
sint servatori immerito rniseranda tributa. 
Nuntia nulla vagans de milite comperit Anna: 
desinit indago desperata ante sepulcrum. 
Nil aliud restat, cinerem nisi frigore mutum 
fasciculo florum lacrimis donare madenti; 
impulsuque novo Christi mox se cruce signat. 

NOTE 

1 Priore inter omnes gentes bello confecto, de «victoria mutilata» ardentissimi patriae cultores loquebantur, Dalmatiam imprimis Italis denega-tam querentes. 
2 Simili in contextu transitive adhibuit Plautus, MOSI. 685: «Ita mea consilia undique oppugnas male». 
3 Singulari numero reperitur apud Lucanum I, 481: «inter Rhenum populos Alpemque iacentes». 4 Cfr Liv. XXV, 13, 1: «iam famem Campani sentiebant». 

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pagg. 50-51.