E. Bonventre, Leone assiro, ed. Tracce, Pescara, 1993, pagg. 36
Rileggere le poesie di E. Bonventre alla luce del quadro interpretativo offerto da P. Valery per guardare la complessità – l’imprevedibilità essenziale -, questa è l’intuizione che mi è rimasta dopo la lettura.
I titoli delle poesie fanno da cornice certa e referenza culturale classica inequivocabile per seguire lo stile del verso che, tra il modello epigrammatico e quello aforismatico, snoda il dis-corso delle emergenze poetiche. La figurazione e
riconfigurazione possibile e continua dell’immaginario-reale, che vitalizza le poesie, si esistenzia però nell’incertezza dei paradossi autoriflessivi – (<< ••• / La Storia non consiste! / Ciò che pensa il grande Fratello / è sempre più Storia della Storia di prima») – o prende voce nella seduzione errante con cui, personificati metaforicamente gli elementi e fattane trasgressione semantica, il poeta, vago ed evocativo, sogna di una zeriba che raccoglie la voce del vento della “libertà Mandela” o di una chimera: «Un’altalena il mare / unico amico il mare / perché ti ricordo?».
Intreccio di classico e di contemporaneo, la poesia di Bonventre è certamente traccia e testimonianza di come il linguaggio poetico, accanto agli altri linguaggi della società tecnologica, conservi intatta la propria vitalità e una propria ricerca ineliminabile per dire la pluralità delle cose.
Antonino Contiliano
Da “Spiragli”, anno V, n.2, 1993, pag. 48.