Stefano Bissi, Lu munnu ca firria (Il mondo che gira), Agrigento, s.d.

Nell’accostarmi a questo autentico poemetto mi sovviene il nome di quel Cielo d’Alcamo che per primo in seno alla Scuola Siciliana usò il volgare per esaltare la natura e la vita rude della sua gente. Parafrasando il Carducci potrei asserire che 

Stefano Bissi, seguace della lingua siciliana delle più autentiche voci, è e resta “di Sicilia il vate o la stagion più dura”, 

Con il linguaggio più schietto e coerente all’autentico dialetto della terra delle zagare, il poeta di Siculiana inizia il suo “poema di fede” vindice e nume, poeta e uomo, nel quale traccia il cammino di una nuova, vigorosa e necessaria strada verso la rigenerazione dei costumi, pur attraverso l’analisi di “ogni aspetto del nostro vivere civile di ogni giorno”: esaltazione della conquista della scienza che rende più gioiosa la quotidianità. dunque. e al contempo denuncia del degrado globale sovrastarci. 

Un poema. o una pregevole raccolta, questa del Bissi, nella quale il poeta recupera fondamentalmente il valore della disciplina formale e del rigore che deve riguardare la scrittura poetica in dialetto. 

Infatti egli, trattando con sapienza misurata gli endecasillabi e la rima, scrive la maggior parte dei suoi componimenti nella struttura del sonetto e dell’ottava. Ciò significa che il Bissi vuole affermare una precisa idea di poesia, ed è quella legata alla disciplina del verso e della parola nonché della musicalità tutta affidata al ritmo vincolante della metrica classica. 

Il poeta inoltre trae ispirazione dai ricordi, dalla memoria e dalle immagini in un “flash beack” che lo fa in pari tempo interprete e cantore della gente semplice, che è poi la gente del popolo. di ieri magari. Se quella del Bissi, dunque, non è ovviamente poesia popolare, è certamente poesia apertissima ai sentimenti del popolo e il suo mondo ruota sempre attorno ai valori essenziali della vita: l’amore, la famiglia, l’amicizia, il lavoro, i mestieri, la fatica: ma la vera protagonista delle liriche è una soltanto, la Sicilia. 

Sicilianità forte, dunque, di cui è espressione questo volume dal titolo Lu munnu ca firria, dove ai motivi tradizionali della ispirazione del nostro autore si accompagnano più diversamente motivi sociali incentrati sulla condizione umana nel nostro presente. 

Un libro con la bellezza della parlata agrigentina piegato all’armonia della creatività del poeta. E ancora: la profonda saggezza umana di cui è forte la poesia del Bissi. e il mondo degli uomini incontrati nella semplicità del vivere quotidiano. 

Bissi vi canta liberamente il mondo ricco dei propri sentimenti e della propria malinconia, e si rivela un filosofo dell’esistenza prima che un cantore della vita forte di quella saggezza che hanno spesso i poeti. 

Trovo che la produzione poetica di Stefano Bissi sia ormai molto consistente e che le prove della sua validità letteraria siano state abbondantemente date. Segnalo anch’io, perciò, i risultati importanti di questo Autore completo che spero “incontrare” ancora. 

Lina Riccobene

Da “Spiragli”, anno VIII, n.1, 1996, pagg. 46-47.




Significato di Dante nella società contemporanea 

 Da più parti si sostiene, e la verifica lo dimostrerebbe, che in un momento di profonda crisi sociale, morale, politica, dal messaggio e dalla forza della cultura è ipotizzabile la ricomposizione dell’immagine di una Nazione che va seriamente disintegrandosi nell’intera sua struttura istituzionale, economica, progettuale. «É, quindi, dal dibattito’ culturale che scaturisce l’immagine nuova di un Paese, perché’ il nuovo tessuto culturale e morale imprigiona le responsabilità personali che ciascuno deve assumersi- (A. Bonito Oliva). 

In questa visione, costante di ogni momento storico controverso, il recupero e l’attualità del significato di un grande, il più grande poeta italiano, Dante Alighieri, riemerge prepotente e si collega oggi, come ieri, quale paradigma di ogni stagione, buona per la sua valenza universale. Distaccato con la forza della poesia dalle passioni e dalle miserie della vita, l’ideale di umanità, di giustizia si eleva a compendiare l’umanità intera (in senso cosmico e globale), analizzando gli errori imputabili al potere temporale e a quello, spirituale, divenendo nel suo “viaggio” trascendente, profeta di una sicura redenzione dell’umanità perduta. 

Tenendo conto che la scrittura, e la poesia in particolare, per Dante va intesa secondo i quattro sensi: letterale, allegorico, morale e aJ1,Q.logico, (quest’ultimo considerato come il “sovrasenso”), determinante diviene un ulteriore significato, quello per il quale Dante si identifica in ~anto uomo, con il disordine sociale e politico, la “selva” nel Medioevo, Tangentopoli oggi; tende come anelito all’ordine e al benessere della giustizia (Mani Pulite nell’ottica odierna) “il colle illuminato”. A questo si pone come impedimento la democrazia bloccata (“la lonza”), il potere inquisito (“il leone”), il Clero corrotto (“la lupa”). Per il conseguimento del cambiamento sociale e morale occorre la scelta di un Governo-guida rinnovato (Virgilio) e quello dell’amore (Beatrice). Così soltanto, in analogia con i temi del grande poema, anche oggi l’umanità perduta potrà riacquistare la dignità smarrita, acquetare l’odio e il sangue delle guerre uscendo dall’Inferno e, pentendosi dei suoi errori e misfatti (Purgatorio), aspirare alla libertà in piena democrazia, nella giustizia e nella pace sociale, nel benessere e nella felicità (Paradiso). 

Nella Firenze della seconda metà del Duecento l’aristocrazia di sangue aveva ceduto il passo all’aristocrazia del denaro. Ma già la poesia del Dolce stil Novo, di cui Dante sarà alfiere, rispecchia un ambiente dove il mito del blasone è tramontato. Il cor gentile del poeta non è tale per lignaggio, ma per doti morali, che prescindono la nascita. Anche in questa concezione la modernità di Dante appare in tutta la sua lucidità. Contro le fazioni che generano violenza, scissioni, tendenze separatistiche, Dante accoglie la strada dell’esilio. Gli schemi rigidi contrapposti nella battaglia politica tra Papa Bonifacio VIII e Dante, che vuole ben distinti i poteri, con autonomia propria, sembrano non comprendere le grandi trasformazioni politiche che si stanno compiendo in Europa, la nascita delle unità nazionali, il tramonto dell’impero “sacro e romano”. Dal dissidio ideologico e dallo sdegno per la corruzione di molti ambienti del potere, nasce il giudizio di condanna che coinvolge lo stesso Bonifacio VIll. 

Nel corso della Commedia il modificarsi e l’arricchirsi del concetto morale, politico e religioso nell’invenzione del poema con il suo grandioso assunto dottrinale, trascendendo i propositi e la materia lirica, si espande in una sfera universale e simbolica. Il nodo di esperienze autobiografiche, che ripropone il tema del sentimento come condizione privilegiata, riassorbe nella coscienza tutti i temi e gli aspetti di una crisi che agitavano la civiltà del tempo. 

Il poema riassume in una sintesi suprema tutta la problematica della civiltà del Medioevo, dove è facile rispecchiare anche le motivazioni metaforiche della stessa problematica che investe il mondo moderno. Dante avverte dolorosamente la frattura tra il sistema e la realtà effettuale del suo tempo, proponendo la necessità e la possibilità di una sintesi intellettuale, che si proponga come mezzo di giudizio severo e guida sicura per una umanità che non può più esprimersi nell’ambito di una astrazione concettuale, ma che deve disporsi a tutte le applicazioni e compromissioni, sul terreno della realtà, ma con un’attenzione sempre più forte ed esclusiva verso i problemi etici e civili. 

L’orizzonte vastissimo della Commedia spazia e accoglie una complessità e molteplicità di temi concreti e attuali e tende a riassumere su un piano di universalità tutta l’esperienza morale ed esistenziale del poeta. La prospettiva dei fatti e dei personaggi, nella metafora solenne che è insita nell’invenzione del viaggio oltremondano, è proiettata su uno sfondo di eternità, come già vide Hegel. 

La lucida coscienza di una crisi che investe tutti gli aspetti della società confina in quell’ordine morale che tra cultura e fede deve rendere l’uomo degno di contemplare la luce di Dio, con un processo di purificazione che configura l’arduo cammino dell’umanità, sorretta dalla dottrina filosofica. 

Il vigore e l’intensità della fantasia di Dante, che traduce in termini sensibili e corposi anche i dati più filosofiCi ed astratti della sua esperienza, intervengono a imprimere poeticità ad ogni minimo particolare, in seno, ma anche oltre la trama compositiva o la struttura a monte del Poema. In questo senso la contemporaneità di Dante, la si potrebbe scorgere non solo nell’eccezionalità del suo messaggio metaforico, concettuale e tematico (quello che appartiene all’uomo di sempre), ma anche nella peculiare struttura letteraria, che non a caso riappare come puntello e modello del libro più sconvolgente e innovativo dell’era moderna, quell’ Ulysses di Joyce, che in quanto spartiacque tra la letteratura moderna e tutta quella del passato, proprio a Dante, si sente di pagare il tributo più alto. 

Il viaggio odisseico di Bloom appartiene, pure nella struttura, certo più a Dante che allo stesso Omero, che ne costituisce il referente immediato. Il peregrinare dell’Ulisse moderno tra le strade di Dublino presenta moltissime analogie, non solo strutturali, con la molteplicità di incontri che Dante effettua nel suo viaggio, ma anche la tecnica innovativa ioyceana del monologo interiore certamente appartiene allo smarrimento poetico che Dante accoglie e inquadra nella vastità e varietà di esperienze che lo coinvolgono come uomo e come poeta, investendo tutti gli aspetti della realtà dai più umili ai più alti, dai più semplici ai più complessi. 

Ancora oggi ogni lettore ritrova facilmente nella propria memoria gli aspetti vari, la casistica e la tipologia della vita umana in senso universale e, come tale, sempre attuale, perennemente contemporaneo, Dante risulta referente e faro di ogni epoca, per l’universalità della sua poesia, ma anche per l’enciclopedismo esistenziale che la sua opera contiene e come tale vive del suo presente, ingloba il suo passato e proietta il suo futuro. Non c’è esperienza intellettuale, morale, sociale, religiosa, filosofica, sentimentale, che non ci allinea in parallelo a Dante. che nel suo pensiero e nella sua poesia ha compendiato lo scibile umano e in ogni occasione ci può fornire l’analogia giusta. la citazione idonea, la similitudine efficace. Quella di Dante è l’ultima, magnanima voce dell’universalismo medievale che ancora si alza ai nostri giorni. 

Che l’ardua dialettica fra la concezione universalistica e l’insoppremibile 

necessità di dirottare verso le soluzioni dei gravi problemi attuali e sociali sia importante, nonché che la suprema dignità della responsabilità personale sia problema di fondo degli anni di Dante come degli anni di ciascuno di noi, sono le condizioni di crescita da porre di continuo, sotto le più diverse forme espressive e comunque da finalizzare ad un approfondimento dello spirito socio-culturale d’ogni uomo e d’ogni cittadino. 

L’ideale uomo che nasce dalle pagine dantesche è colui che vive con pienezza, non rifugge da alcun dovere – spirituale, morale, pratico – che la vita gli impone, affronta fermamente ogni responsabilità, anche la più rischiosa: e tuttavia non pensa mai solo a se stesso; sa che il suo .pensiero e la sua azione sono la particella d’un ordine universale. Da questo punto di vista ci si chiariscono anche il pensiero e l’azione propriamente politici di Dante. Nessun poeta è più fiorentino e più municipale di lui; da Firenze e dai suoi contemporanei trae la maggiore parte dei suoi personaggi; a Firenze vanno costantemente il suo nostalgico amore e la sua cruda rampogna. Farebbe così anche per l’Italia attuale. Ne sono certa. Eppure nessun egoismo municipale alimenta l’amore e lo sdegno: egli rimprovera Firenze peccatrice nella sua vita interna; più ancora la rimprovera quando la vede recalcitrare a lasciar sommergere la sua libertà e fisionomia comunale nell’ordine imperiale. Vissuto nella piena maturità del Comune, nel sorgere delle Signorie, cioè in un’età d’intransigenti particolarismi, si può dire che Dante non abbia occhi per quel che di fecondamente positivo pur era in quei particolarismi; giunge sino a sprezzare le nuove classi sociali borghesi, la gente intesa “ai subiti guadagni”, che del Comune erano il nerbo. 

Firenze? L’Italia di oggi? Uno Stato? Cosa cambia?, mi chiedo. Dante farebbe così anche per l’Italia attuale. L’Italia, ogni Stato del mondo, deve affrontare la propria responsabilità, in piena libertà: ma insieme sentirsi parte d’un tutto: e la meta ultima d’ogni particolare politica non può essere che il bene universale: “NOS CUI MUNDUS EST PATRIA, VELUT PISCIBUS EQUOR”, dice nel De Vulgari eloquentia. 

Eppure, è dalla continua lettura della Commedia che il lettore, a mio avviso, trae un’espressione apparentemente in sé contraddittoria: quella d’un mondo spirituale e fisico sterminatamente vario e complesso, e insieme quella d’una salda e quasi lineare ed elementare unità. Il lettore, infatti, scende nel buio seno della terra, risale all’aperto su una montagna alta e aperta alla luce, sola nell’oceano sconfinato, penetra corporeamente nella densa e pur non corporea luce del Paradiso; dovunque ci sono bufere, fetide piogge, brulicar di serpenti, guizzare di fiamme parlanti; livide paludi, paesaggi solari; ma anche visioni del vasto cielo stellato, valli fiorite, musicali foreste, infinite feste di luci: mille aperture sui più vari orizzonti, nelle comparizioni dei personaggi e degli eventi. 

E tutto ciò è racchiuso entro una struttura semplicissima: una voragine che scende verso il centro della terra, una montagna che nell’altro emisfero sale verso l’alto; nove cieli che girano veloci intorno al tutto; un decimo cielo immobile, che tutto racchiude. 

Così per la nostra società contemporanea. Non c’è moto della sua anima e dell’intelligenza umana, nel male e nel bene, che Dante non rappresenti: l’ebbrezza della passione di Francesca e la sozzura della meretrice Tàide (metafora della morte per dedizione come dei cittadini consacrati all’onestà e alla correttezza, nonché al sacrificio della propria vita, e metafora della perfidia umana e dell’ingordigia dei nostri politici capaci da soli, pur di divenire i favoriti, di distruggere lo stesso palazzo delle poltrone rosse da loro occupate); l’amor di 

patria e il doloroso peso della responsabilità fermamente assunto da Farinata e la grandezza fosca e colpevole di Bonifacio VIII (metafora di chi contribuisce, in questa società, attivamente, alle vittorie quotidiane sui sorprusi degli stessi cittadini indirizzati a scelte poco corrette e un po’ mafiose (si può scrivere questa parola?), a costo di esser condannati come eretici d’una giustizia solo agognata, e la metafora della grandezza dell’esercizio della giustizia: la Clericis Laicos (bolla del 18 Nov.1302) proibiva al clero di versare a qualsiasi autorità laica denaro a titolo di tasse e sovvenzioni (e le tangenti di oggi, dove le mettiamo?); gli occhi lucenti di lacrime di Beatrice e la sconcia cennamella di Barbariccia (metafora della purezza, la prima, e dell’ambiguità diabolica di chi suona apparentemente note dolcissime e si gonfia, invece, come otre per finire quindi nella quinta bolgia del cerchio ottavo dell’Inferno, e dell’inferno dei miserabili, ascrivo); e ancora, la tracotanza violenta e disperata di Capaneo e di Vanni Fucci e la fragilità di Pia e Piccarda (metafora della sfIda al Dio, e agli dei, alla religione o al credo, dunque, e la metafora nella remissività strappata anche con violenza alla promessa di fedeltà agli ideali); il generoso ardore di conoscenza di Ulisse e l’aspettare neghittoso di Belacqua (metafora della prodezza e sagacità, contrapposta alla pigrizia, alla lentezza e all’essere infingardi di molti responsabili della cosa amministrativa); lo strazio paterno di Ugolino e la dolcezza del ricordo e della nostalgia di tanti amici evocati, specie nel Purgatorio (metafora di chi può, paternamente straziato, ispirare trentaseiesimi e più canti dell’Inferno e dell’inferno della quotidianità, come ogni padre che non sa quale avvenire garantire, oggi, ai propri figli, e la metafora di quanti, come noi, si proiettano nel passato, e nel ricordo di tempi più sereni, per sperare bene nel domani assai incerto): dunque, ansia di conquistare fama presso coloro che questo tempo chiameranno antico, e coscienza che il “mondan romore” non è altro che fiato di vento. Rappresentazione, allucinante per evidenza di particolari, delle mutazioni e trasmutazioni dei ladri e delle mutilazioni dei seminatori di discordie, e delucidazione dei più ardui e astratti veri scientifici, filosofici, teologici: il vUlanello che si batte l’anca disperato nel vedere il suo campo coperto di neve, e il volo dell’aquila romana, voluto da Dio. L’infinitamente piccolo e sfuggente e labile, quindi, e l’infinitamente grande ed eterno. 

Dante è poeta di ogni società. Nessun dubbio turba mai il poeta, che pure sa e rappresenta la fragilità del cuore, il pericoloso pencolare della superba intelligenza degli uomini verso l’errore. Esamina e giudica, inflessibile, piccoli e grandi; i singoli e tutto il suo tempo: Impero e Chiesa: e il lettore di oggi non si domanda mai se quel giudizio così reciso sia legittimo: non ha mai l’impressione che sia pretenzioso e fatuo e unilaterale: tanta è la saldezza della fede e delle convinzioni da cui deriva, che essa passa nel lettore, il quale avverte che a giudicare non è Dante: che egli è solo l’interprete sicuro d’una legge che deve potere essere indiscutibile anche per noi. Nessuno più razionale, quadrato, consequenziale di Dante. Ma la sua razionalità sbocca nel sentimento, e si fonde con esso. E una volta raggiunto – quali che siano stati i travagli sentimentali e intellettuali che l’hanno caratterizzata -, quello che conta è che diventi poesia. Annullato ogni dissidio, come in Dante, si plachi il nostro, sino ad annullarsi nella poesia, e ogni cosa si comporrà nella morale. Naturale e tipico è, infatti, lo sprezzo dei poeti di oggi e di sempre, per gli ignavi, per chi rifugge dall’assumersi delle responsabilità della piena vita, delle decisioni supreme, cioè dell’azione. 

Dante del Convivio e della Commedia ha pietà: di chi non ha amore per la scienza, e non solo quella teologica, ma anche quella fisica e naturale, e non solo lusso di erudizione e di sottigliezza, ma senza l’impegno morale, la scienza, pane degli angeli, non sarà mai gustata, e chi non ne gusta, resterà un misero e un infelice. 

In questa società scienza, morale e religione sono oggi, come la poesia, una sola cosa. E ancora: la salvezza spirituale s’identifica con la libertà individuale, cioè con la conquista di se stesso, con la capacità dell’animo a vincere le battaglie. Beatrice ha mosso Virgilio, ma è da lui preceduta nell’opera di elevazione e di sublimazione di sé e di tutti gli uomini che Dante canta nel suo poema. Il simbolo della stessa regione è un poeta; pensiero e sentimento non cozzano tra loro, ma costituiscono una salda unità: e la stessa poesia è concepita non come sogno, ma come una battaglia, con precisi obiettivi pratici di ammaestramento e ammonimento che Dante ha e, ancora oggi, cura di mettere in luce, ricordandoci che, nonostante il disordine delle passioni umane, c’è un ordine supremo e che ogni creatura, seppure per poteri diversi, giunge sempre ad un’unica riva e che la corda dell’arco divino porta ogni essere irresistibilmente al sito per lui decretato, che è la felicità e la perfezione; e se taluno dèvia, ciò è per colpa sua; perciò non ha fatto il suo dovere. Di qui la concezione dell’ordine dell’universo che giunge fino a Dante, esule immeritevole, colpito dall’ingiustizia, tradito dagli uomini per il suo amore per essi, e spettatore lucido e angosciato del male sempre caratterizzato dalla sua virile certezza di giustizia. 

Ma questa giustizia, a noi, da chi verrà? Dante si fa profeta della certezza che essa può e deve venire solo da Dio, che cielo e terra si salderanno. Noi lo speriamo davvero. E mi sento d’asserire che il primo e più alto messaggio del poema dantesco è forse proprio questa certezza. 

L’attualità di Dante ancora oggi diviene il referente più accreditato da parte della cultura nipponica, con le recenti dichiarazioni del più grande scrittore giapponese vivente, Kenzaburo Oe, che, vincendo il premio Mondello, ha sottolineato come dal nostro più grande poeta sia possibile realizzare un’esperienza eccezionale e unica, per la capacità di estrarre dal suo poema un’infinita catena di immagini e di metafore. Da ogni sua terzina, afferma Oe, è possibile ricavare più materia di un racconto. Da certe figure di angeli è possibile trarre immagini fortemente indipendenti, sia dalla parte di Dio, sia dalla parte di Lucifero. La profondissima nostalgia e la fortissima tensione accompagnano la stesura dei romanzi di OE, ed è da Dante che deriva la sua esaltante iniziazione alla letteratura europea. 

Un altro grandissimo autore contemporaneo, certo il più grande autore irlandese vivente, anche lui premiato con il Mondello, si è dichiarato innamorato di Dante, il cui itinerario attraversa in filigrana l’intera tessitura del suo capolavoro“Station Island”, per il modo in cui la Divina Commedia riesce a conciliare la sfera politica a quella trascendente. Per lo scrittore irlandese, Dante, diviene esempio senza eguali, tanto che da questo amore scaturtranno delle mirabili traduzioni, come quella celeberrima del Conte Ugolino, sull’insegnamento dei romantici inglesi e del modernismo di Thomas Eliot o Ezra Pound. 

Se immensa è l’influenza e la significazione del messaggio di Dante nella vita, nella politica, nella tematica, altrettanto sterminata appare, come mostrato con i due esempi succitati, quella sullo sviluppo e sulle componenti strettamente letterarie di tutto il Novecento. Come dire che la Commedia diviene madre di tutte le poetiche, passate, presenti e future. 

Lina Riccobene

Da “Spiragli”, anno VII, n.1, 1995, pagg. 29-36.