Nel complesso e contraddittorio panorama dell’arte contemporanea una posizione di non secondaria importanza acquista la presenza di Luigi Marcucci, un nome, come tanti, sconosciuto al grosso pubblico, ma noto a quanti apprezzano il tracciato preciso dei suoi paesaggi, ispirati ad un impressionismo tutto soggettivo, lontano dai rigidi schemi d’una logorante, asfittica ed esausta tradizione scolastica.
Parlare, oggi, d’un artista che coltiva con amore e dedizione la pittura e avanza sicuro nel complesso mondo dell’arte contemporanea, è estremamente arduo e difficile e per i risvolti non sempre chiari e per le antinomie che ogni corrente e manifestazione necessariamente genera e vivifica. Ma parlare di Luigi Marcucci, che non pochi hanno apprezzato in diverse mostre e concorsi di pittura, consente al critico, anche più severo ed esigente, di leggere manifestazioni artistiche non ancora inquinate da esperienze e da ispirazioni pseudoculturali che. in un impasto cromatico non sempre chiaro e lineare, rivelano spesso mancanza di senso artistico e di ispirazione e, soprattutto, di gusto non solo nella scelta, ma anche nella trattazione degli argomenti; permette a quanti amano il paesaggio e la natura morta di immergersi in un’idillica campagna ancora vergine, dove l’uomo ritrova per un attimo se stesso, in stretto contatto con la parte più intima della sua psiche.
Queste componenti, primarie per l’aggettivazione d’un complesso e, sovente, indecifrabile mondo interiore, da cui prende vita e via ogni movimento esteriore, sottendono un’accurata ricerca. sceverando quanto non è pertinente con i moti propri della psiche colta nella sua diacronica realizzazione. La lettura e scelta dei temi è dettata dal moto interiore, cui sono legate vicende ed esigenze che, non di rado, rimangono oscure allo stesso operatore finché non realizza con il suo linguaggio quanto urge e travaglia il SUO spirito creativo. È, questo, quanto si può leggere nella pittura di Luigi Marcucci, che alterna a periodi di pacata riflessione momenti d’impulsiva e rapida realizzazione, con tratti sicuri e incisivi tendenti a innervare e rendere immediatamente leggibili gli incontrollati moti d’una natura non ancora doma dal razionalismo di schemi precostituiti.
Lo studio accurato del vero, esaminato con impressione ed esattezza quasi fotografica, offre all’Artista una tavolozza piena di cromie, che, ora calde, ora tenue, ora violente si fissano sulla tela di getto, filtrate da un’innata sensibilità, avvezza ad avvertire anche le sfumature più impercettibili. Nascono così i meravigliosi paesaggi, che si colgono al primo chiarore d’un frizzante mattino di novembre o nell’impercettibile penombra della sera o nelle assolate giornate agostane. Nel rendere l’esatta volumetria delle case l’Artista si ispira, per lo più, all’Ottocento italiano, senza legarsi ad una corrente o ad un maestro preciso. Tutto è mediato dal contatto continuo con l’ambiente, vissuto sempre con drammatica concentrazione, e quando il paesaggio sfuma nelle tenui nebbie mattutine e quando evoca la selvaggia solitudine di distese inondate di luce. I morbidi contrasti tonali, che inondano l’opera e disvelano, in volumi tendenti verso reali punti focali, costituiti, per lo più, da chiese o cascine con i segni tangibili della laboriosità e presenza umana, rivelano l’intenso travaglio interiore: la luce soffusa di tenui paesaggi tipicamente virgiliani, che, vibranti di intensi e vigorosi contrasti tonali, ammorbiditi da un’equilibrata fuga d’alberi e case, trasmettono viva la sensazione d’una ricerca di un pacato equilibrio sempre teso alla sublimazione di una realtà che, dominata e sconvolta dalla contingenza, si presenta allettante nelle sue periodiche e necessarie evoluzioni.
Si legge nell’opera pittorica di Luigi Marcucci un equilibrato sviluppo diacronico della tematica propria di un’indole spontaneamente e naturalmente portata alla riflessione sui più autentici valori della vita: non a caso nelle opere espressivamente più mature e più vive per la solita impostazione e rappresentazione figurale e volumetrica, il punto focale è rappresentato dalla chiesa, dalla cascina o dalla sofferta espressione del Cristo flagellato o dallo sguardo perduto nel nulla d’un anziano che attende appoggiato alla balaustra o al balcone ciò che non verrà più: la vita. Proprio in questo punto, in cui convergono e in cui dipartono dense sintesi di travagliata meditazione, le coordinate che sfociano nell’affermazione inconscia del Principio regolatore e dell’esistenza e dell’ispirazione.
Nell’opera di Luigi Marcucci domina la complessa e sofferta affermazione della dimensione umana, che, sottesa al luminoso colore d’un ricco impasto cromatico, svela un profondo travaglio interiore, non sempre appagato, ma dominata da sentimento e intelligenza. La materia, trasfigurata dall’ispirazione, ricrea effetti propri d’una sensibilità ignota alle elucubrazioni accademiche su problemi pseudoesistenziali, che rendono l’opera pressocché illeggibile e indecifrabile per la sua collocazione fuori dei limiti dianoetici facilmente accessibili.
Un discorso a parte meritano le nature morte, nelle quali Marcucci riesce a cogliere la straordinaria capacità esecutiva e inventiva, unitamente alla bravura d’interpretare frammenti di natura con una sensibilità e partecipazione pregne d’intenso lirismo. Stilisticamente e coloristicamente ineccepibili, i pezzi di natura morta si impongono per la capacità di svolgere un discorso narratologico mediante una sintassi scarna ed essenziale, basata su linee quasi impercettibili che i diversi volumi, soli o affiancati, emanano con intensità cattivante. Se nei paesaggi e nella struttura iconografica traspare qualche incertezza e durezza. avvertibili immediatamente grazie alla sicurezza del tracciato, nella natura morta Luigi Marcucci realizza con maggior semplicità e con immediatezza un discorso completo. I motivi vengono trattati senza retorica, senza gli orpelli d’un accademismo asfittico, per permettere al fruitore di raccogliere con un colpo d’occhio il complesso mondo interiore dell’uomo e dell’artista. Il discorso, allora, diviene più semplice e stilisticamente più accattivante. Percorrendo questa strada, più che nei paesaggi e nelle rappresentazioni iconografiche. Luigi Marcucci può raggiungere vertici difficilmente eguagliabili per la purezza formale e stilistica con cui esegue quanto l’ispirazione gli detta e impone di realizzare.
Antonio Orazio Bologna
Da “Spiragli”, anno IV, n.2, 1992, pagg. 57-59