L. Zingales, LA MAFIA NEGLI ANNI ’60 IN SICILIA

Caltanissetta, Terzo Millennio, 2003, pagg. 280. 

Leone Zingales, giornalista e scrittore, con una serie di pubblicazioni analizza e mette a fuoco il problema della mafia. Il mestiere di cronista lo aiuta molto, perché ha spesso notizie di prima mano che gli permettono di formulare ipotesi e, soprattutto, di delineare un quadro chiaro e sempre più ricco di risvolti del fenomeno mafioso in Sicilia. 

In questo suo ultimo libro, La mafia negli anni 60 in Sicilia. Dagli affari nell’edilizia alla prima “guerra” tra clan fino al processo di Catanzaro, edito da Terzo Millennio, molto sensibile ed aperto alle problematiche sociali, Zingales offre una panoramica d’insieme della mafia, quale si venne gradatamente a delineare, dagli ultimi anni ’50, dietro lo stimolo di Cosa Nostra americana. 

Il libro, a parte la premessa e l’introduzione, consta di tre sezioni ed inizia con: Com’era la mafia tra gli anni ’50 e gli anni ’60, in cui, oltre a mettere in evidenza il passaggio dalla vecchia alla nuova mafia, l’A. si sofferma a trattare dei rapporti bene intrecciati tra la mafia siciliana e quella d’oltre Oceano, segno dei mutati interessi e di un rinnovamento in negativo che avrebbe portato ad innumerevoli morti ammazzati e ad una marea di azioni criminose. 

Evidentemente va anche detto che allora in Sicilia e nel Meridione era in atto un cambiamento socio-economico dovuto all’abbandono delle terre, ad opera dei contadini che prima avevano invocato la riforma agraria e la spartizione della terra, ma poi, ottenutala, per mancanza delle nuove infrastrutture e una serie di cose, preferiscono andare a lavorare altrove. Le campagne non renderanno più come prima ed, inoltre, si spopoleranno, spostando l’asse degli interessi nelle città, compreso quello dei malavitosi, che sperimentano anche loro, come già gli amici americani, la possibilità di più facili e lucrosi introiti. 

La seconda sezione è costituita da: La prima guerra di mafia, 1959-1963, ed elenca tutta la serie di omicidi ed attentati, che portarono alla ribalta i “Corleonesi”, disposti a recludere a chiunque il loro spazio vitale, a costo di imporsi ancora con le armi, le intimidazioni e le stragi, le quali seminarono sangue e panico anche tra gente onesta e innocente. 

Nella terza ed ultima sezione (Anni ’60. Scontro tra clan) viene riportato il processo di Catanzaro, con le sentenza e la relativa condanna. A leggere il voluminoso fascicolo ci si fa chiara idea della guerra che si combatté in quegli anni, con nomi di capi e di gregari, retroscena e luoghi dove i responsabili consumarono delitti e stragi. Quello che ne risulta è un quadro abbastanza movimentato, ricco di particolari, e di aiuto alla comprensione del fenomeno mafioso, come risulterà negli anni a venire, con le dichiarazioni di Tommaso Buscetta e le informazioni dei pentiti. 

Leone Zingales propone con questo suo libro una pagina sanguinante della storia siciliana, ma è una pagina vera (collusione mafia-politica, riciclaggio di denaro, contrabbando, estorsioni), che deve far riflettere per migliorare e per ritrovare quel senso di rispetto della persona, garante d’un vivere sociale onesto e rispettoso del diritto. 

U. Carruba




 H. e D. Koenigsberger, Atmosfere di Sicilia

Caltanissetta, Terzo Millennio, 2002, pagg. 128. 

«Helli e Dorothy Koenigsberger risultano da queste pagine due visitatori insoliti: non trascurano niente e, in cambio, tutto li interessa. Se tanti preferiscono questo o quell’aspetto, trascurandone altri, essi tengono conto della storia intesa come continuo mutare delle cose e degli uomini, ma anche come fedeltà alle abitudini che il tempo consolida, nonostante avanzi il nuovo con la sua azione demolitrice. 

Se è vero che il siciliano parlato non è più quello della prima metà del secolo scorso, è anche vero che il carattere dei Siciliani non solo rimarrà inalterato, ma ne uscirà arricchito dai nuovi apporti e manterrà le sue caratteristiche che lo distinguono dagli altri popoli: l’ospitalità e l’umanità che gli sono proprie» . 

Ma il libro è tutto da leggere; il quadro che ne viene fuori è quello di una Sicilia insolita, scritta a due mani e vista da occhi disinvolti eppure attenti ed abbastanza obiettivi. 

Ugo Carruba




Giampaolo Pansa, Carte false Milano, B.U.R. 

La gente onesta, che è pure tanta, vive tra le nuvole? 

A leggere questo libro di Pansa, penso sia proprio così, fuori come essa è dal mondo degli imbrogli e dai traffici traffichini. Essa tutto può immaginare che uomini apparentemente integri siano corrotti e intricati in una ragnatela viziosa da cui sembra 

impossibile potere uscire. 

Il giornalismo italiano, con un tono ora ironico, ma sempre pacato, ora pungente, non risparmiando accuse ben precise, viene messo allo scoperto, non perché l’autore vuole denigrarlo, ma perché gli si è rivelato una forte delusione. 

Ne risulta che la libertà dell’informazione è solo apparente, perché essa viene manipolata e gestita dalle forze del potere, palesi o nascoste che siano, per cui il lettore viene stornato dalla verità e disorientato. 

Questo Carte false va letto anche se lascerà disgustati. Se poi non si vuole seguire l’ordine dei capitoli, si legga prima quello degli editori «impuri» e poi quello della «Palude». Gli altri verranno da sé. 

Da “Spiragli”, anno I, n.2, 1989, pagg. 45-46.




G. Trainito, Le mani degli angeli

In versi liberi, lontani da ogni pretesa, ma classicamente armoniosi e sentiti, è la poesia di questa silloge di Gaetano Trainito. 

Il poeta, che tale è, a onta di quanti si atteggiano a frequentatori del Parnaso, affida alla parola concisa ed essenziale il suo senso dell’umano e l’ansia esistenziale, e tende allo scavo interiore che spesso diviene ricerca e comunicazione. 

Ben vengano altri libri di Trainito, ma abbiano anche maggiore diffusione per essere letti e apprezzati da un più vasto pubblico di lettori che ancora crede nella poesia e nella sua opera di promozione umana e sociale. 

Salvatore Vecchio

 




G. Salucci, Bibbia, Vangelo, Corano, Roma, E.I.L.E.S., pagg. 112.

Nota comune e dominante di questi tre libri sacri è l’amore che, quando non è stato ben compreso, ha provocato anche odio e guerre tra gli uomini. Come mai da tanto amore è potuto scaturire tanto odio? Salucci fa notare che, oltre all’amore, sono presenti in essi spunti che possono portare ad una interpretazione opposta della vita e dello stesso concetto di Dio. 

L’Autore, evidentemente, vuole fare opera di conciliazione tra quanti amano Dio e vogliono la pace. Per questo ha concepito questo libro, che è come introduzione ad un lavoro ben più ampio, in tre volumi, indirizzato proprio a chi ha veramente a cuore le sorti della nostra travagliata umanità.

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno IX, n.2, 1997, pag. 61.




G. Giannone, La polvere del tempo, Firenze, L’autore Libri, 1997, pagg. 68.

Come viene scritto nella prefazione, diversi sono i temi di fondo di questa silloge di poesie di G. Giannone. Predominanti sono l’amore, racchiuso in versi in cui i sensi vengono dominati, non spenti, e la commossa partecipazione agli “eventi” che caratterizzano il nostro tempo. 

Ma più toccanti sono quei componimenti in cui il poeta palesa la nostalgia della terra natia e il ricordo diventa più vivo e pressante, con le voci, le persone e i luoghi cari e familiari che gli affollano la mente e lo fanno soffrire, come in “Quando le sere d’inverno” o, ancora, in “Sibiliana”, dove meglio è reso .questo sentimento. Nell’uno e nell’altro componimento c’è, comunque, una sofferenza sofferta che domina qua e là su tutto il libro. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno IX, n.1, 1997, pagg. 44-45.




G. Pelligra Maltese, Itinerari, Palermo,«Ottagono letterario».

Un libro-testimonianza non solo delle capacità artistico-letterarie e culturali di G. Pelligra Maltese (Ispica 1931 – Palermo 1985), ma della stima e dell’amicizia che gli amici soci del sodalizio «Ottagono letterario» gli tributano a quattro anni dallascomparsa.

Sono scritti vari, occasionali, editi o no, che trovano piena giustificazione nel titolo Itinerari (poesie, archeologia, critica d’arte), quasi a sottolineare la versatilità del loro autore.

L’amore per la sua Ispica lo porta a scavare nelle origini di quest’isola meravigliosa e sia in poesia che in prosa («Ho nel cuore / ulivi / al sole / e biondo grano / e l’africo mare») la canta con affetto di figlio.

Nella sezione Itinerari artistici vengono inserite alcune presentazioni o recensioni di artisti noti o poco noti. In ogni caso, l’Autore è spinto sempre dal fascino del bello, dando importanza anche ai piccoli particolari, pur di scrutare il pittore preso in considerazione ed entrare nel vivo della sua arte. Fantuzzi, Guaschino, Quaglia; per citarne alcuni. A proposito di Guaschino, il critico coglie nel segno l’arte di questo pittore quando dice che «non potrebbe essere un sintetista o un simbolista: egli ama leggere il libro in cui sono scritti i tormenti e le sofferenze del vero senza mai curarsi delle fattezze in senso classico… Guaschino crea un’arte squisitamente personale e tutta vera: arte di pittore e di poeta che riempie di umana e profonda angoscia».

Il libro è arricchito di fotografie e di opere degli artisti recensiti.

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno II, n.1, 1990, pagg. 73-74.




G. Garcia Marquez, Il generale nel suo labirinto (trad. di A. Morino), Milano, Mondadori, 1989, pagg. 287. 

Simon Bolivar, il leggendario Liberador dei Paesi latino-americani, rivive nei suoi giorni terreni in questo stupendo libro di G. Garcia Marquez, Il generale nel suo labirinto. 

Se lo scopo era quello di darci un ritratto umano di Bolivar, Marquez è riuscito brillantemente nel suo intento. 

Lo scrittore ci narra l’ultimo viaggio di Bolivar, abbandonato il potere, e seguito da un gruppo di fidati, da Santa Fé de Bogotà a Santa Marta, nel Venezuela, dove morirà, sfibrato dagli acciacchi e dalle malattie, nella villa di San Pedro Alejandrino il 17 dicembre del 1830. 

Un viaggio breve (era iniziato 1’8 maggio dello stesso anno), un labirinto senza alcuna possibilità di scampo, nel quale il protagonista, uscito dall’alone mitico che lo aveva sempre circondato, quasi per un miracolo della penna di Marquez, ci si presenta umanamente umano, con i suoi ardori, le sue debolezze, i suoi amori, le sue nostalgie. 

Un romanzo avvincente, sul filo della storia, piacevole, vuoi per la capacità creativa che per i luoghi in cui si svolge l’azione e, soprattutto, per l’immagine nuova del leggendario Bolivar, lontano dai rumori del palazzo e spesso solo con se stesso, in balia dei ricordi che lo agitano e non lo lasciano in pace. 

Da “Spiragli”, anno II, n.1, 1990, pag. 73.




G. Falciani, Dove finisce l’arcobaleno, Firenze, Ediz. Polistampa, 1996, pagg. 68.

In “Questo flusso prezioso” c’è, in sintesi, il filo conduttore della silloge Dove finisce l’arcobaleno di Gianna Falciani. 

Il ricordo, che caratterizza tutta la prima parte e, quindi, il passato, emergono rischiarati dalla luce della saggezza propria di chi, conoscendo la vita, la ama e, amandola, vorrebbe che, perlomeno, si apprezzasse come un dono accetto e gradito. 

I vecchi album di famiglia, le foto ingiallite, i ricordi, che anch’essi sanno di un tempo che fu, sono rivissuti in questa prospettiva e sotto questo segno trovano la loro giusta dimensione nell’aprire un varco di congiunzione tra il passato e il presente, senza alcun rammarico, senza rancore. 

Solo così, se al suo apparire apre alla speranza, “finendo,” l’arcobaleno può indicare la via nell’armonia e nella pace o, in una parola, nell’accettazione di sé e di tutto ciò che ci circonda. 

Ugo Carruba 

Da “Spiragli”, anno IX, n.1, 1997, pag. 45.




 FRANCESCO OLIVIERO, Acqua e coscienza

Vita in movimento: materia e spirito 

Acqua e coscienza è un libro che suscita curiosità, perché è insolito nella tematica o, meglio, nell’abbinamento che fa tra l’acqua, come elemento fondamentale per la vita del mondo, e la coscienza, che è il sentire dell’uomo, la caratteristica che lo fa essere quello che è. Sembra non abbiano niente in comune, eppure un accostamento si può fare, e c’è, in teoria, anche se spesso siamo noi a condizionarlo e a non tenerne conto. Se l’acqua è vita e la coscienza è l’essere individuale in divenire, non c’è dubbio che entrambe sono energie che operano in direzione del Bene; quando, invece, tra loro non c’è corrispondenza vuoi dire che si è smarrita la giusta direzione, e siamo all’opposto, coincidente con il male, fisico o spirituale. È, questa, una motivazione che sicuramente ha spinto Francesco Oliviero alla stesura di questo libro che, come con i lavori precedenti (Benattia e Messaggio di una vita), tende a ridare fiducia all’uomo, allontanandolo dalla paura della malattia, e aprirlo alla vita autentica, a cui dovremmo aspirare. Se, poi, vogliamo trovare ancora altre motivazioni all’assunto che il libro sviluppa, basti citare l’inizio della creazione o il pensiero degli uomini antichissimi. I versetti della Genesi, relativi al primo giorno della creazione: «Sia fatta la luce, e lo spirito di Dio aleggiava nell’acqua » fanno riferimento alla luce e all’acqua, 

entrambe fonti di vita. La luce non è soltanto in Dio, ma in ciascuno di noi che vi ve nel bene, così l’acqua è pregna di Dio, iniziatore e datore della vita, e noi partecipiamo di questa pienezza. Ma bisogna avere l’animo sgombro di ogni miseria, e puro, per poterne godere. Il Poverello d’Assisi, con occhi bambini, è riuscito a coglierla in tutta la sua magnificenza, e con umiltà la cantò nella sua preghiera che è un inno alla vita, oltre che uno dei primissimi della letteratura volgare. 

La filosofia antica dà forza a queste affermazioni con Talete (VII sec. a.C.), che non solo riteneva l’acqua il principio primo, ma che fosse in essa una potenza divina che impregnasse di sé ogni cosa, per cui tutto è vita, forza dirompente, anima che nutre ogni cosa (panpsichismo) ed è «pieno di dèi». L’acqua, elemento portante del mondo fisico, è così correlata a Dio, che è coscienza universale, e all’uomo, coscienza individuale. L’acqua e la coscienza rappresentano vita in movimento, dinamismo che coinvolge il corpo e lo spirito, l’anima, questo vento vitale che tutto avvolge e tutto orienta. Corpo e spirito operano all’unisono, sempre che si voglia. La libertà, contrastata nella vita d’ogni giorno, è la conditio sine qua non di questa simbiosi che esalta l’uomo, lo innalza al cospetto di Dio e lo rende partecipe di Dio stesso. 

Acqua e coscienza è un libro interessante, che offre tanti spunti alla riflessione, ma è soprattutto un libro attuale e valido, il cui contenuto è stato sempre oggetto di dibattito culturale. Infatti, più che mai, dal secolo scorso ad oggi, la scienza, la letteratura, la filosofia, hanno messo al centro dei loro interessi la condizione umana, perché il loro obiettivo è ridare all’uomo la dignità e il rispetto che gli sono propri. 

Oliviero, dal punto di vista medico-scientifico, si muove su questa direzione, puntando sul paziente-uomo che abbisogna di supporti che lo facciano muovere e interagire con la realtà di ogni giorno per riscoprire le potenzialità che sono in lui ed essere felice. E non occorre gran che per esserlo! Già Democrito, l’atomista greco del VI sec. a. C., asseriva che «non è la ricchezza a farci felici, bensì l’anima, che è la dimora della nostra sorte» (fr. 171, Diels-Kranz). 

È un discorso che affascina e che invita alla riflessione, cosa che non c’è al giorno di oggi, nell’epoca della globalizzazione che tutto mercifica; perciò non è facile portare avanti un discorso di tal genere; è difficile persino essere se stessi, si agisce come automi, non si è capaci di decidere, e spesso sono gli altri a farlo per noi. È questa la finalità degli umani? Il libro di Francesco Oliviero, partendo da questi presupposti, vuole spianarci la strada per una vita più autentica, veramente e pienamente vissuta, nel segno dell’amore di sé e degli altri, della libertà da ogni forma di condizionamento, che, se non è manifesta, per lo meno relega e impedisce di essere quelli che dovremmo e finisce col far dimenticare di essere. Ne erano convinti gli esistenzialisti, lo era Heidegger, e lo è Oliviero. Tutti asseriscono che l’uomo ha dimenticato di essere, e se vuole vivere 

da “Spiragli”, 2009, Schede 

nel senso pieno del termine, deve recuperare il suo essere, e tutti indicano una strada. Per questo, ad inizio della «Introduzione » il Nostro scrive: «Questo libro è stato scritto per arrivare alla coscienza delle persone e dare un contributo al senso della vita, facendo riferimento all’elemento più abbondante nel pianeta e in noi stessi, l’acqua, la grande madre, che è generatrice di vita e della nostra origine, sostiene il nostro presente ed è la chiave per comprendere il nostro futuro.» 

Da medico specialista qual è, ci si aspetterebbe che parlasse di espedienti medici per risolvere i problemi legati alla salute, non di quelli che sono in noi in quanto uomini. Ma lui, smettendo il camice medico, parla da uomo ad uomo, elimina la distanza che separa il medico dal paziente, gli si mette dinanzi e innesca un dialogo salutare, se non per il corpo per la stessa anima che, nonostante la sofferenza di cui risente in stato di malattia, si ritrova e trova la forza di continuare a pulsare e infondere vita. 

Il libro, che parla di acqua, dei suoibenefici, e del metodo usato per vitalizzarla, si fa paladino di una parola buona medico-scientifica che ha l’ intento di mettere in osmosi con il mondo che ci circonda e di riportarci al senso della vita. Esso è pervaso da questa filosofia che non annienta, anzi mette chiunque voglia nelle condizioni di risalire la china con consapevolezza e responsabilità, senza altra via di scampo in un futuro a venire o in un passato che non c’è più, bensì nel presente, perché è nel presente che si vive, che bisogna fare le proprie scelte, che bisogna essere. E si è solo quando consapevolmente si elimina ogni forma sclerotica che impedisce di innalzarci e cogliere la parte buona, divina che è in noi. Ha ragione Agostino, ha ragione Plotino, ma si trovano nel giusto tutti i filosofi che hanno messo al centro della loro ricerca l’uomo, perché è l’uomo col suo slancio interiore che, se non Dio, coglie il senso della vita e se lo spiega. È una filosofia che non ha niente di trascendente, anche se poi vi si arriva, perché poggia tutta sull’uomo e dall ‘uomo dipende nel bene o nel male. 

Ugo Carruba 

da “Spiragli”, 2009, Schede