Calogero Messina, storico dell’anima siciliana, recupera «La Plebe» di Lorenzo Panepinto. 

In giro per la Sicilia con «La Plebe» (1902-1905). Un giornale dell’agrigentino introvabile. Herbita editrice, Palermo, 1985, pagg. 390. 

Dobbiamo alla tenace passione e all’acume di ricerca di Calogero Messina se a distanza di oltre ottanta anni non sono andate definitivamente perdute le annate del periodico fondato e diretto da Lorenzo Panepinto e se ancora possono essere consultate dagli studiosi del movimento contadino e delle origini del socialismo siciliano. 

Il curatore del volume, infatti, ha piena consapevolezza che la sua fatica non è soltanto un contributo alla tutela della memoria storica ma anche un apporto non irrilevante alla migliore comprensione dell’operato politico del suo illustre concittadino. Avere raccolto e pubblicato la «Plebe» è certamente un’impresa meritoria che fa onore a chi vi ha dedicato tante energie perché, in questo modo, è stato sottratto ai guasti del tempo e all’offesa della dimenticanza un cospicuo materiale documentario che appartiene a pieno titolo al più interessante patrimonio della storia della Sicilia contemporanea. 

La «Plebe» è un giornale dell’agrigentino: un giornale introvabile, come esattamente sottolinea Calogero Messina, quasi perduto nei labirinti di un ricordo che andavano pazientemente frugati, diligentemente investigati, e lucidamente rischiarati. Questo giornale irreperibile, aggiungiamo noi che da tempo sollecitammo l’amico e collega ad intraprendere siffatto lavoro, è stato quasi gelosamente custodito tra gli affetti più intimi di un popolo, considerato e preservato come un bene prezioso. 

La storia di questo giornale, quindi, non si circoscrive al pur breve ma intenso triennio della sua vita, ma è anche la storia del suo silenzio, della sua seconda venuta alla luce in una cornice di senso di padroneggiamento del tempo ritrovato. Artefice di questa operazione, Messina ha per un verso squarciato il velo d’oblio che il tempo impietosamente stendeva sulle pagine ingiallite della «Plebe», per altro verso ci fa guadagnare una dimensione cronologica che sembrava remota alla nostra sensibilità attuale. 

La sua ricerca di un giornale introvabile ha perciò lo stesso valore di una ricerca del tempo ritrovato, tant’è che appaiono assai commoventi la cura, la dedizione, la speranza e l’inevitabile delusione da cui è stato sorretto ed in cui si è dibattuto. «È stato un lavoro di una ventina d’anni – ci rammenta l’autore -. In quante biblioteche, in quanti archivi, in quante case abbandonate e abitate l’ho ricercato! Quanti libri ho sfogliato, con quante persone ne ho parlato! Più l’esito è stato deludente, più mi sono accanito nel mio impegno (mi capita spesso!), soprattutto dopo che sono riuscito a leggere qualche pagina della «Plebe». Pareva che fosse già stata condannata alla dimenticanza. Nemmeno una notizia nei lavori dei cosiddetti specialisti». 

Invece la «Plebe» è una fonte storiografica importantissima: attraverso i suoi fogli scopriamo una realtà sociale e politica ricca di fermenti, dominata dal bisogno, ansiosa di rinnovamento. Ne emerge un quadro nitido delle contraddizioni oggettive in cui si muovono i protagonisti dell’epoca e dell’articolazione dei rapporti sociali sul territorio. Pur essendo un giornale di provincia, la «Plebe» non è mai un angusto giornale provinciale dal momento che riesce sempre a coniugare il localismo con un progetto di formazione politica di più ampio respiro. In tal senso 1’ideale socia1isteggiante prospetta un punto di riferimento che può conferire una suggestione di coesione a quelle masse di diseredati e di proletariato rurale cui si rivolge il giornale quasi programmaticamente nella sua significativa intestazione. 

Gli emarginati del latifondo, che sono appunto la nuova plebe siciliana, trovano nel periodico di Panepinto un moderno mezzo di diffusione delle loro istanze ed un efficace mezzo di informazione della loro condizione presso l’opinione pubblica. Grazie alla «Plebe» essi stessi diventano opinione pubblica e perciò in qualche modo voce che fa sentire il proprio parere e la propria presa di posizione ora sui patti agrari, ora sulle scelte dei candidati alle elezioni, ora sui problemi dell’economia mineraria, ora sulle questioni dell’istruzione pubblica. 

Il giornale è moderno nella sua impostazione: vuol essere una palestra di dibattito per tutti i socialisti dell’area bivonese, ma anche un raccordo con il socialismo siciliano e quello nazionale. Per questo motivo si dà ampio spazio alla polemica, ma soprattutto alle conquiste salariali ed ai progressi effettuati sul piano dell’organizzazione delle leghe e delle cooperative di mutuo soccorso, di produzione e di consumo. I testi delle risoluzioni adottate dal movimento contadino nei convegni tenutisi in quegli anni sono pubblicati con grande rilievo e costituiscono oggi, per gli addetti ai lavori, documentazione essenziale per la comprensione delle alterne fortune del socialismo siciliano. 

Accanto a questa ispirazione squisitamente politica non va sottaciuta l’esigenza che Panepinto avvertì sempre in maniera consapevole di un più vasto coordinamento con gruppi e luoghi affini per problemi e situazioni. 

È interessante notare come la «Plebe» si avvalse di una fitta rete di corrispondenti di ogni centro dell’Isola e come mantenne vivo un flusso di notizie tra le due sponde dell’Atlantico abitate da cittadini stefanesi. La lotta per l’esistenza, ci mostra la «Plebe», è la stessa sia in terra di Sicilia sia a Tampa negli Stati Uniti. Sotto questo punto di vista il giornale di Panepinto fu una fiaccola di sentimenti comuni tra chi restava e chi emigrava e contribuì potentemente a mantenere vive le radici di italianità e quelle più autenticamente popolari della nostra gente. 

Calogero Messina, che è storico tra i più attenti dell’anima del nostro popolo, ha reso pubblico, con la collaborazione di un editore illuminato, il testamento spirituale di Lorenzo Panepinto, la cui piena fruibilità non può che essere di incitamento per nuovi studi. 

Manlio Corselli 

Da “Spiragli”, anno I, n.1, 1989, pagg. 59-61.