Il poeta contadino: una nuova specie da salvare? 

Se c’è una cosa che oggi non va, questa è che tutti vogliono far tutto, e nessuno vuol far più quello per cui è portato. Cosicché si assiste al paradosso, in altri tempi inconcepibile, che il «dottore» semilaureato, magrolino e macilento, con gli occhiali spessi due dita, è costretto a scaricare cassette di frutta ai mercati generali. Mentre l’opposto tipo più grosso e robusto, «contadino» ante litteram dai muscoli possenti, sta in ufficio, con quei grossi ditoni, seduto sempre alla macchina per scrivere. 

Ormai oggi tutto si è capovolto, e niente sta più al suo vero posto. Perché ormai la gente ha preso gusto al potere dei «soldi», complici la tivù e i mass-media e tutti si sentono «signori», destinati ad essere pagati senza far niente, ragion per cui dover lavorare li «offende». 

Quindi lavorano poco e male: avete presente come, in quei negozi che fanno fotocopie a pagamento, vi guardino tutti dall’alto in basso, a voi che siete i clienti, come se loro fossero quasi dei nuovi «nobili» su questa terra? 

E le cose, però, non andavano meglio prima: basti solo pensare ai due tipi classici, del «professore» e del «contadino». Il primo, alieno da qualsiasi commistione con la terra, e che si guarda bene anche dal prendere in mano uno strumento di lavoro, la «zappa» per intenderci. Magro e pallido, quasi lunare, la voce fioca e acerba, il classico «topo di biblioteca». E che magari, quando va in campagna e prova a zappare la terra, in due secondi cade a terra stravolto. A tale categoria appartenevano anche i grandi poeti della patria, e tutti li conosciamo, che cantavano il nobile lavoro nei campi. ..degli altri! Va da sé che il professore è spesso un poeta. Poi c’è l’opposto tipo del «contadino», classico tipo ignorante e poco istruito, che ha un enorme rispetto per gli «uomini di cultura», in quanto tutto ciò che non capisce è per lui superiore, disprezzandoli solo di fronte al lavor dei campi, lui sempre instancabile, legato quasi visceralmente alla terra, e «suda» per ore quando deve scrivere una lettera. 

La dualità «professore-contadino» si è mantenuta costante fino ad oggi, anche se, forse grazie a una nuova mutazione genetica, o solo semplicemente al migliore livello dell’istruzione generale, si è assistito alla nascita di un tipo nuovo, anzi di due nuovi tipi, che sono poi uno solo. Il primo è il contadino che, fuori da quanto detto sopra, scopre d’un tratto di essere un «poeta». E già anche la tivù, complice il «Maurizio Costanzo Show», ci ha mostrato questi tipi. Come il contadino che, dopo anni e anni di mestiere, anzi di professione, grazie alla nuova cultura, si scopre artista, dipinge, scrive e compone poesie, trovando anche qualche editore di larghe vedute che gliele pubblica. Oppure il pastore, amico delle pecore, che tutto un tratto scopre che la musica che ha sempre fatto è cultura: e allora, grazie all’arrivismo di tanti cantautori, si fa cantautore anche lui, ci parla del suo tamburo o del suo flauto, e dei racconti che gli narrava il nonno, le sue tradizioni che adesso rinascono e vengono rivalutate. È da notare inoltre, in entrambi le due varianti del primo tipo, che l’«eloquio», pur restando rozzo, è sempre più «colto», e risente della nuova cultura. E all’opposto, esistono degli uomini di cultura, dei professori, studiosi di classicità o autodidatti, che dalla loro cultura hanno dedotto la necessità di trasformarla in azione, cioè di tornare alla terra. 

E così, come il contadino diventa poeta, dall’altra, il poeta si fa contadino. Si inventano ecologie alternative, studi storici diversi e naturali, fattorie che rinascono dalla terra, piene di gente colta che lavora i campi. E dato che sappiamo bene comè il pastore o il contadino, l’uomo della terra, sia sempre stato un 

«sapiente», avendo delle conoscenze intuitive «corporee», profonde e innate, che la mente normale ignora, così, il fatto che oggi le conoscenze corporee e quelle mentali, quelle storiche e quelle metastoriche, quelle fisiche e quelle spirituali, si uniscano, questo significa che forse è nato un nuovo tipo umano, una nuova razza spirituale: quella del «contadino poeta» o del «poeta contadino». Forse una nuova specie da salvare? 

Luigi Moretti

Da “Spiragli”, anno II, n.2, 1990, pagg. 39-40.

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