Modern Love di George Meredith:  il canzoniere d’amore dalle passioni mute 

He felt the wild beast in him betweenwhiles 
So masterfully rude, that he would grieve 
To see the helpless delicate thing receive 
His guardianship through certa in dark defiles. 
Had he not teeth to rend, and hunger too? 
But stili he spared her. Once: ‘Have you no fear?’ 
He said: ‘twas dusk; she in his grasp; none near. 
She laughed: ‘No, surely, am I not with you?’ 
And uttering that soft starry ‘you’ , she lean ‘ d 
Her gentle body near him, looking up; 
And from her eyes, as from a poison-cup, 

He drank until the flittering eyelids screen’ d. 
Devilish malignant witch! And oh, young beam 
Of Heaven ‘s circle-glory! Here thy shape 

To squeeze like an intoxicating grape – 
I might, and yet thou goest safe , supreme.1 

Torna in primo piano, dopo più di due secoli, con la poesia vittoriana, il canzoniere d’amore. Se i canzonieri della tradizione cortese esploravano le forme dell’ amore declinandole secondo l’idea platonica dell’unione degli amanti e dell’immutabilità del sentimento, la sequenza dei sonetti di George Meredith, Modern Love (1862), ripropone della poesia d’amore tutti i suoi topoi, rovesciandoli e negandoli, però, alla luce della vanificazione di quegli ideali. L’amore, quello ‘moderno’, precisa Meredith nella sequenza stessa, non conosce più leggi, ma solo la mutevolezza degli ‘umori’, sentimenti e passioni contrastanti e insondabili («Prepare, you 10- vers, to know Love a thing of moods»). Il moderno canzoniere indaga, perciò, i motivi della crisi dell ‘esperienza sentimentale che si profila sin dal titolo tipica dell’ epoca e ritrae la varietà degli stati d’animo nel turbamento della rottura. 

In particolare, il romanzo in versi di Meredith, ispirato alla propria vicenda autobiografica2, costruisce in modo allusivo e talvolta ellittico, la storia della tragica conclusione del matrimonio di una coppia che ha condiviso l’illusione sentimentale di un amore romantico. Incapaci di accettare le leggi del mutamento nella nostalgia di un passato perfetto, i due protagonisti scavano nel proprio dolore e diventano, in un complesso gioco di inganni, autoinganni e dissimulazioni, vittime l’uno dell’altro. 

L’estrema tensione della sofferenza è sperimentata in ambito domestico. Ogni sonetto in una forma lirico-narrativa fa progredire l’intreccio drammatico di questa tragedia solo in superficie dell’infedeltà coniugale e, al contempo, apre squarci di esplosioni emotive. 

Il sonetto 93 , benché introdotto da una voce narrante, pone in primo piano i pensieri del marito, i suoi stati d’animo, la sua prospettiva interpretati va sugli eventi e, soprattutto, la percezione che egli ha degli stati emotivi e psicologici della donna. Pertanto, la voce di un apparente narratore esterno, che evoca, pur con brevissimi accenni, un episodio di vita domestica, transita impercettibilmente nell’ultima quartina nella forma soggettiva di un monologo mentale in prima persona. È un dramma muto, infatti, quello che si consuma tra i due coniugi. I silenzi separano e allontanano i due sin dalle prime rivelazioni della crisi. Ogni tentativo di comunicazione è soffocato e taciuto. Si comprende, perciò, che non si tratta solo di una storia di adulterio da parte della moglie, ma anche del logoramento di un rapporto nel tempo. 

In tale isolamento egli si ammala («he sickened»4), sopraffatto da sentimenti contrastanti di rimorso per il fallimento, di gelosia violenta, di desiderio inappagato, di rabbia, di pietà, di sadico piacere per le sofferenze di lei. 

Nel canzoniere di Meredith si profila, dunque, un ‘moderno’ trattamento della vicenda sentimentale: nel rapporto tra uomo e donna irrompono forze psichiche che corrodono il legame d’amore. Ancora una volta pene d’amore, ma di un amore come forza distruttiva che si nutre di conflitti personali, nevrosi, contraddizioni psicologiche ed emotive. 

Queste le oscure gole, i «dark defiles», gli oscuri e misteriosi tumulti del profondo in cui ci si inoltra. Nel sonetto qui proposto, la voce narrante ricompare per l’ultima volta in un tentativo di presentazione oggettivante di un io che sta per perdersi nei labirinti confusi e ingannevoli del proprio inconscio. Con la modalità narrativa di una registrazione di un’esperienza passata è detto ciò che «lui talvolta sentiva in sé» («He felt [ … ] in him betweenwhile»). Sentiva dentro di sé la prepotente aggressività di una bestia selvaggia capace di uccidere. Sentiva come un Otello5 furioso una voglia di vendetta divampare con famelica animalità. L’impeto, però, di quell’istinto brutale, è trattenuto da un nuovo bagliore percettivo. La moglie, ora, gli appare come essere indifeso e delicato. Potrebbe colpirla, ma la risparmia. Si incunea a questo punto del sonetto il ricordo di un episodio cruciale, evocato da un semplice «once» e fatto di un unico e brevissimo scambio verbale, per di più, tra i pochissimi presenti nel poemetto, in cui è rappresentato in forma drammatica il raggelarsi degli impulsi più violenti al cospetto di lei. Incapace di autoanalisi, egli decide di investigare nel profondo delle emozioni della sua donna, perciò, rimodula e porge a lei l’interrogativo irrisolto poco prima volto a se stesso: non ha fame di lei? E lei non ha paura di lui? 

Sono interrogativi posti nella luce declinante del crepuscolo («dusk»), nell’ora in cui la forza della ragione sta per cedere al buio («dark») delle passioni incontrollate; prima, insomma, che l’intimità domestica possa diventare un luogo adatto per un delitto («she is in his grasp; none near»). Con la consueta dissimulazione tra i due, però, lei ride, dicendosi tranquilla accanto a lui. Ed è uno dei tanti risi che comprimono e contengono i turbamenti trattenuti della coppia. Non solo non ha paura, ma gli si avvicina, seducendolo col movimento sinuoso del corpo («she leaned her gentle body near him»), con lo sguardo e con l’invocazione dello ‘you’ che giunge a lui come dolce e stellare, evocativo di antiche tenerezze e intimità. 

Alle immagini del buio, ricorrenti nell’intera sequenza, che figurativamente avvolgono pensieri ed emozioni inesprimibili, fanno da contrappunto quelle della luce. La luce dell’amore ideale e romantico che un tempo li aveva uniti riemerge dalle tenebre per brevi momenti come una stella, un raggio. La brevità di quella illusione percettiva è resa poeticamente con echi di stilemi e modalità propri della lirica amorosa: la registrazione delle sue movenze gentili, i suoi sorrisi, la ridondanza pronominale dello ‘you’. Soprattutto gli occhi. Topos della tradizione petrarchesca, organo privilegiato della percezione che apre l’accesso all’amore verso il cuore. Nella tragedia dell’ amore moderno, però, dagli occhi pieni di seduzione, sempre in primo piano in tutto il poemetto e sineddoche per la donna, egli beve come da una tazza velenosa. 

La profondità dello sguardo di lei lo travolge nel turbamento di una bellezza ambigua e sollecita le inquietudini e i pensieri nascosti di lui. A palpebre chiuse restano in lui due opposte e inconciliabili immagini di donna («thy shape») – come nei tanti ritratti pittorici di donna pre-raffaelliti – quella angelicata, tramite tra l’uomo e Dio («young beam of heaven circe-glory») e quella demoniaca, creata dalla pulsione di un desiderio tormentato («devilish malignant witch» ). 

La sensualità femminile ha, dunque, un fascino contaminato, è come una «intoxicating grape», come un’uva che, nell’ambivalenza semantica aggettivale, allo stesso tempo inebria e intossica. Ancora una volta nella sequenza, la imagery del gusto esprime l’essere in balia dei sensi. La metafora naturale, invece, richiama l’identificazione donna-natura. 

Se, dopo The Origins of Species, la natura è associata all’animalità dell’uomo, la seduzione femminile incarna, in epoca vittoriana, la resa alle leggi puramente fisiche che sembrano governare la vita. Donna e natura, ormai minacciose e misteriose, rappresentano la paura di regressione verso gli istinti brutali, l’animalità dalla quale si teme di provenire, la parte oscura dell’uomo, morbosa, incontrollabile e inquietante.  

Si legge in una lettera di Meredith del 1861: «Voglio far scoccare la scintilla poetica dell’autentica argilla umana.» L’immagine dell’argilla biblica affiora più volte nel poemetto. A tal proposito Serpieri commenta: «La mente, lo spirito, dell’uomo può credere di dominare la sua natura materiale, l’argilla biblica da cui è stato creato, ma inevitabilmente da quella primigenia materialità sarà contagiato»6. Il protagonista maschile di Modem Lave, infatti, esprimerà disprezzo ogni qual volta la donna tenterà di travolgerlo con la sua femminilità sinistra nel giogo di una seduzione demoniaca, così come ripudierà nella liaison con la Lady il risolversi del rapporto in pura attrazione carnale. 

A conclusione del sonetto 9, nel dissidio tra natura e cultura sembrano prevalere le forze dell’intelletto e della ragione, e la donna va via da quel luogo di possibile pericolo salva e «suprema». Nel momento in cui, però, la mente sembra dominare l’argilla («while mind is mastering clay»), essa è invasa dalla sua greve materialità («gross clay invades it»)7. Restano in lui emozioni contrastanti ed esasperate, trattenute sì, ma gridate mentalmente. Alle passioni e ai sentimenti non si dà sfogo, sono destinati a rimanere oscuri e contratti nelle tenebre del profondo. Il sonetto, dunque, non volge verso una risoluzione drammatica. L’ultima unità metrica, in estensione pari alle altre (diversamente dalla tradizione sonettistica elisabettiana e petrarchesca) asseconda, invece, un flusso di emozioni disparate. Tutto è lasciato in sospeso, come spesso accade in questo romanzo lirico-drammatico, in un punto di snodo psicologico decisivo. Lo sviluppo narrativo verso l’epilogo tragico8 è tessuto da sentimenti esacerbati, inconfessati e inespressi: «Passions spin the plot.» 

Tiziana Ingravallo 

NOTE 

1 G. Meredith, Modern Love, London, Syrens, 1995, p. IO. Tr.it. : Lui sentiva in sé talvolta la selvaggia bestia / così prepotentemente rude che gli doleva vedere / quell’essere indifeso e delicato accettare / la sua protezione in certe oscure gole. / Non aveva denti per sbranare, e fame anche? / Ma tuttavia la risparmiava. Una volta: «Non hai paura?» disse; era il crepuscolo, lei in suo potere; nessuno accanto. / Lei rise: «No, certamente, non sono qui con te?» / E pronunciando quel dolce «te» stellare, accanto a lui / piegò il suo corpo gentile, guardandolo dal basso; / e dai suoi occhi, come da una tazza velenosa, / lui bevve finché gli fecero schermo le palpebre tremanti. / Diabolica strega malvagia! E, oh, giovane raggio della rotonda gioia del cielo! Qui, la tua figura, stritolare come un’uva intossicante / io potrei, e invece tu ne vai salva, suprema. – L’amore moderno (a cura di A. Serpieri), Milano, BUR, 1999, p. 71. 
2 George Meredith si separò da Mary Ellen Nicolls (figlia di Thomas Love Peacock) nel 1857, dopo un tormentato matrimonio. La sequenza di sonetti Modern Lave fu scritta nel 1861 , in occasione della morte di lei. Mary aveva abbandonato il marito per una relazione con il pittore preraffaellita Renry Wallis. Meredith si ri fiutò, perciò, di rivederla anche durante l’ aggravarsi della sua malattia. 
3 Si è scelto di porre al centro della nostra analisi il sonetto 9, perché riteniamo sia la chiave di volta tematica dell’intera sequenza. 
4 Cfr. Sonetto 2, vv. 6-9: «Re sicken’d as at breath of poison-flowers: / A languid humour stole among the hours, / And if their smiles encounter’d, he went mad, / And raged, deep inward.» 
5 L’immagine di un Otello tormentato da percezioni contrastanti e distorte, secondo la lettura romantica e vittoriana del personaggio shakespeariano, echeggia più volte nella sequenza. A tal proposito si veda P. Fletcher, Trifles Lights as Ain> in Meredith ‘s Modern Love, in «Victorian Poetry», Spring, 1996, pp. 87-99. 
6 A. Serpieri, op. cit., p. 118. 
7 Sonetto 33, vv. 14-15. 
8 Sarà la donna-demone a soccombere, invece, sopraffatta dal demonismo maschile «<the passion of a demon»). A metà della sequenza, infatti, i ruoli si invertono. Egli raggela ogni tentativo della moglie di aprirsi e comunicare e le nega ogni possibilità di aiuto al presentimento di un suicidio. 

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pagg. 29-32.

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