Nello Sàito, Com’è bello morire (1986), in «Ridotto», settembre-ottobre 1988, pagg. 14-31.
Nello Sàito, Premio Viareggio nel 1970 per il romanzo Dentro e fuori, è un commediografo di indubbia levatura che affronta temi sempre nuovi e interessanti.
Diciamo che è il primo autore italiano a sviluppare (La speranza, 1978, Un re, 1975, Déjeuner sur l’herbe, 1980) il tema della morte, sia perché incute paura, sia perché spesso si è presi da interessi più idonei a soddisfare le richieste del mercato.
In questa pièce, Com’è bello morire, pochi personaggi – come, del resto, negli altri lavori teatrali – appena «morti», vengono catapultati, uno per volta, nella scena che funge da anticamera del regno dell’al di là, dinanzi ad un pubblico invisibile, ma disturbati dalla «Voce» che di tanto in tanto vorrebbe loro incutere paura. Ognuno di essi si dice contento di essere morto, stanco come è di una vita di miserie, di bugie e di mascheramenti.
La morte viene vista come liberazione da ogni meschinità che attanaglia gli uomini: nessun rimpianto, nessuna nostalgia per la vita che si è rivelata malvagia e sopraffattrice. Soltanto Teresa, nonostante il suo passato libertino, vorrebbe riavere la vita che le è stata tolta. Mentre un altro grande drammaturgo contemporaneo, Ionesco, per farli ravvedere, pone i suoi personaggi dinanzi alla morte che inavvertita e inesorabile si avvicina, Nello Sàito non ha la pretesa di insegnare niente a nessuno, ma lascia ancor più disorientati, e fa riflettere, anche se siamo tutti presi da un progresso apparente e inumano.
Ugo Carruba
Da “Spiragli”, anno I, n.3, 1989, pagg. 66-67